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CENTO ANNI FA LA RIVOLUZIONE RUSSA 1917 - 2017
La rivoluzione
1917 - 2017
La storia I protagonisti I luoghi della rivoluzione Viaggi ed iniziative

I FATTI STORICI DELLA RIVOLUZIONE RUSSA DEL 1917
La rivoluzione russa del 1917 fu la naturale conseguenza di un periodo molto difficile per il Paese sotto diversi punti di vista.
Innanzitutto da un punto di vista politico, la Russia, come gli altri Paesi europei, era in piena guerra mondiale. Aveva subito, e continuava a subire, moltissime perdite. Lo stesso zar Nicola II si trovava al fronte, a Mogilev, nell’attuale Bielorussia. Il reclutamento di massa di cittadini aveva creato da un lato mancanza nella forza lavoro nelle campagne e dall’altro lato un forte malcontento tra i contadini che vivevano in uno stato di grande disagio sociale.
La situazione economica era, infatti, critica: mancavano i viveri principali e i collegamenti tra le città erano precari. Per questo, soprattutto nelle zone più remote del grande impero russo, gli approvvigionamenti diventavano via via più difficili. Lo zar Nicola, lontano dalla capitale, non aveva il controllo della situazione e persino le comunicazioni con i suoi collaboratori erano difficoltosi. Infine le ingenti spese richieste per la continuazione della guerra avevano portato a una fortissima crisi economica e a un aumento vertiginoso dell’inflazione.
E’ chiaro come in questo clima di esasperazione si potessero creare le basi per la rivoluzione russa.
I fatti che si sono svolti in Russia nel 1917 sono universalmente noti come “rivoluzione russa”. Non tutti però sanno che, in realtà, le rivoluzioni furono due; una a febbraio, l’altra a ottobre.
La rivoluzione russa di febbraio nasce appunto da questo forte malcontento e dalle condizioni precarie in cui si trovavano in quei mesi sia i contadini nelle campagne che gli operai delle grandi fabbriche cittadine. In una di queste, le famose officine Putilov di San Pietroburgo (allora denominata ancora Pietrogrado, secondo l’antica denominazione russa “gorod “ in russo significa “città”), il diciotto febbraio del 1917 venne indetto uno sciopero da parte degli operai. La rivolta venne repressa duramente, tanto è vero che quasi tremila operai vennero licenziati. Tuttavia questo non fermò l’ondata di rivolta. Infatti nei giorni successivi anche in altre fabbriche di San Pietroburgo vennero indetti altri scioperi, finché non si arrivò alla proclamazione di uno sciopero generale il ventitré febbraio. I rivoltosi chiedevano allo zar, che si trovava al fronte a Mogilev, alcune concessioni. Nicola II, però, non comprese la gravità della situazione e diede ordine ai suoi rappresentanti in città di reprimere queste rivolte con la forza. Tre giorni dopo la guardia imperiale represse una sciopero in corso sulla prospettiva Nevskij e uccise decine di persone. Tuttavia il malcontento popolare era penetrato anche tra i soldati i quali aiutarono il popolo fornendo loro armi per la rivolta. Il presidente della Duma Rodzianko cercò di far capire al sovrano che la situazione era critica: la popolazione era davvero allo stremo, non si trattava di episodi sporadici, ma vigeva un forte malcontento popolare a vari livelli. Lo zar doveva intervenire facendo delle concessioni al popolo, altrimenti la situazione sarebbe precipitata velocemente. Nicola II, tuttavia, restò inamovibile. Rimaneva convinto di poter mantenere il potere con la forza. Invece il 27 febbraio, un gruppo di operai, appoggiati da soldati, entrò nella duma, il parlamento russo, la cui sede era al palazzo della Tauride a San Pietroburgo.
La rivoluzione russa di febbraio non si limitò, però, alla sola capitale, San Pietroburgo, ma ebbe dei fuochi anche nell’altra grande città russa, Mosca. Anche qui vennero indetti una serie di scioperi e scoppiarono diverse rivolte. In entrambe le città, quindi, si susseguirono anche nei giorni seguenti una serie di rivolte che portarono lo zar Nicola II ad abdicare in favore del fratello, il granduca Mikhail. Quest’ultimo, però, rinunciò al trono. Tutta la famiglia imperiale venne arrestata e verrà poi giustiziata a Ekaterinburg. Dopo tre secoli di regno, la dinastia dei Romanov perdeva il potere in Russia.
Dopo la rivoluzione di febbraio, nel palazzo della Tauride, venne convocata la prima assemblea dei soviet. Il soviet di San Pietroburgo era costituito in maggioranza dai menscevichi. Contrariamente a quanto si possa pensare, infatti, i bolscevichi non ricoprirono il ruolo principale nella rivoluzione russa di febbraio. Questo perché la maggior parte dei capi del partito bolscevico non si trovava in Russia, bensì in esilio, chi in Siberia, chi (i più fortunati) all’estero. Tra questi Lenin si trovava in Svizzera. Dopo essere giunto a conoscenza dei fatti della rivoluzione russa di febbraio, Lenin decise subito di rientrare in patria per guidare i bolscevichi al governo del Paese. Il problema era come raggiungere la Russia e attraversare un Europa divisa dalla prima guerra mondiale. La Francia e l’Inghilterra impedirono a Lenin di rientrare in Russia, passando sui loro territori. Questo perché temevano che, una volta rientrato, avrebbe stipulato una pace con la Germania in quanto la Russia era allo stremo e doveva interrompere immediatamente il suo impegno nel conflitto. Francia e Inghilterra, infatti, avevano l’interesse che la Russia restasse in guerra per tenere la Germania impegnata sul fronte orientale. Al contrario la Germania, desiderosa di chiudere il fronte orientale, concesse a Lenin di rientrare in Russia in treno passando attraverso i propri territori. Fu così che Lenin, su un treno blindato che non aveva possibilità di scambi con l’esterno, rientrò a San Pietroburgo e giunse nella capitale il 3 aprile alla stazione Finlandskij. Ad accoglierlo c’era una folla immensa e Lenin potè constatare la vittoria della rivoluzione. Venne fatto salire su un carro armato e da qui pronunciò un discorso alla folla. Lo stesso discorso venne tenuto il giorno successivo in una conferenza del partito bolscevico. Sono le cosiddette “tesi di aprile” di Lenin. Si trattava di dieci punti fondamentali, conseguenza diretta della rivoluzione russa di febbraio. Gli aspetti principali che lo statista russo evidenziò nelle tesi di aprile furono:
- L’uscita immediata della Russia dal conflitto mondiale che aveva provocato ingenti perdite per l’esercito russo e aveva trascinato il Paese in una crisi economica drammatica
- L’abbattimento del governo provvisorio. Tutto il potere doveva passare ai soviet. Questo punto in particolare non fu particolarmente gradito ai menscevichi, i quali si sentirono messi da parte dopo aver avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione russa di febbraio
- Anche le terre dovevano diventare del popolo. I contadini dovevano occupare le terre che durante l’impero erano appartenute ai grandi proprietari.
- Lenin propose di cambiare il nome del partito bolscevico. Da allora in avanti avrebbe dovuto chiamarsi “partito comunista”

Tuttavia il potere era ancora in mano al governo provvisorio al quale la figura di Lenin risultava scomoda. Il ministro della guerra Kerenskij incitava a continuare la guerra, ma l’esercito stesso era spaccato. Spesso vi erano ribellioni e i piccoli soldati arrivavano ad uccidere il proprio superiore. Gli operai continuavano gli scioperi e alcune fabbriche furono costrette a chiudere. Nelle campagne, invece, era in atto la rivolta dei contadini che, sotto la spinta delle tesi di aprile di Lenin, avevano cominciato a ribellarsi, occupando terre e anche conventi che vennero espropriati alla Chiesa. Le tesi di Lenin e dei bolscevichi avevano, quindi, sempre più seguito.
Erano queste le premesse a un’altra rivoluzione, quella di luglio, che però fallì. Lenin e i bolscevichi ritenevano che fosse ancora troppo presto per prendere il potere, ma, di fronte, alla volontà degli operai di rovesciare il governo, non si opposero e appoggiarono questa ennesima rivoluzione russa che però non ebbe questa volta esito positivo. Il 3 luglio, infatti, venne nuovamente attaccato il palazzo della Tauride, ma l’esercito rimasto fedele al governo provvisorio, retto all’epoca dal principe Lvov, represse la rivolta. Tutti i principali membri del partito bolscevico vennero arrestati, tranne Lenin, che riuscì a scappare in Finlandia sotto le sembianze di un operaio. Lenin venne accusato di alto tradimento da Kerenskij. In particolare venne accusato di corruzione, di aver causato una rivolta in Russia per costringere il Paese a ritirasi dalla guerra e di aver per questo accettato denaro dalla Germania.
In questa situazione difficile di disordine economico e sociale, Kerenskij assunse il ruolo di Primo Ministro e cercò di rafforzare il governo provvisorio isolando la minaccia del partito bolscevico. Infatti Lenin, dal suo esilio in Finlandia, invitava i suoi sostenitori a spingere per arrivare a un colpo di stato che instaurasse il potere del popolo. In particolare Kerenskij ripristinò la pena di morte per i soldati che si ribellavano ai propri ufficiali. Affermò, quindi, che la Russia avrebbe continuato il conflitto mondiale e represse le rivolte dei contadini nelle campagne.
Il 12 agosto del 1917 Kerenskij convocò al teatro Bolshoj di Mosca il famoso “Consiglio di Stato” a cui parteciparono tutti gli esponenti dei partiti politici russi, ad esclusione di quelli del partito bolscevico, e i rappresentanti dell’esercito, degli imprenditori e dei proprietari terrieri. Lo scopo era quello di consolidare il governo provvisorio e trovare soluzioni per reprimere le rivolte e gli scioperi. Tra i vari rappresentanti emerse la figura del generale Kornilov che sosteneva il pugno di ferro sia in guerra sia in patria contro le rivolte e contro la propaganda dei bolscevichi. Il generale Kornilov venne nominato, quindi, comandante supremo dell’esercito. La situazione al fronte, però, non migliorò. Infatti il 19 agosto il generale Kornilov dovette cedere Riga alla Germania e fuggì dirigendosi verso la capitale, San Pietroburgo. Raccolse dei soldati a lui fedeli e cominciò la marcia sulla città con il tentativo di annientare i bolscevichi e assumere il potere nella capitale. Questo provocò l’ira di Kerenskij, il quale accusò il generale di tradimento. Infatti Kerenskij aveva inizialmente appoggiato il generale Kornilov solo perché sperava con il suo aiuto e con l’aiuto dell’esercito di reprimere definitivamente i bolscevichi. Nel momento in cui capì le ambizioni del generale Kornilov, Kerenskij gli intimò di bloccare la sua marcia su San Pietroburgo e lo esonerò dal suo incarico di comandante in capo dell’esercito. Tuttavia il generale Kornilov si rifiutò di lasciare l’incarico e tentò un vero e proprio colpo di stato. A questo punto furono i bolscevichi che si impegnarono per la difesa della città di San Pietroburgo. In particolare riunirono un consiglio di guerra per la difesa della città e reclutarono un gruppo di soldati della guardia rossa che dovevano contrastare l’offensiva del generale Kornilov. Gli operai delle offine Putilov, coloro che con il loro primo sciopero avevano dato il via alla rivoluzione russa di febbraio, costruirono alcuni cannoni per difendere la città.
Grazie all’impegno dei bolscevichi e della popolazione di San Pietroburgo il colpo di stato del generale Kornilov fallì. Lo stesso Kornilov, insieme agli altri ufficiali del suo esercito che lo avevano appoggiato, vennero arrestati. Il potere rimase in mano a Kerenskij, il quale aveva perso di fatto ogni credibilità agli occhi non solo della popolazione, ma anche degli altri membri del governo provvisorio. Infatti non aveva saputo reagire al colpo di stato del generale Kornilov e organizzare una difesa della città di San Pietroburgo.
Il fallito colpo di stato aveva, quindi, fatto emergere come il partito bolscevico fosse l’unica forza in grado di governare il paese. Lo stesso Lenin, in esilio, cercò di convincere i suoi compagni che era giunta l’ora di procedere al colpo di stato prima delle elezioni dell’assemblea costituente.
Il 10 ottobre Lenin riuscì in incognito a rientrare a San Pietroburgo e si rifugiò all’istituto Smolnij che era diventata la nuova sede del partito bolscevico. In questo periodo fece la sua comparsa sulla scena politica anche la figura di Trotzi che fu nominato capo del comitato militare rivoluzionario. Questo comitato si occupò di organizzare i bolscevichi e attrezzarli per il colpo di stato. Furono, infatti, reclutati una serie di soldati, in parte dal fronte baltico, in parte dai disertori dell’esercito del governo provvisorio. Gli operai delle principali officine di San Pietroburgo si occuparono della forgiatura di armi, cannoni e munizioni.
Tutto era pronto per la cosiddetta rivoluzione russa di ottobre. Il 24 di questo mese la guardia rossa occupò tutti i principali punti di San Pietroburgo, tra cui le stazioni ferroviarie, le fabbriche e le banche. Nessuno oppose resistenza a conferma del fatto che ormai il partito dei bolscevichi era visto come l’unica alternativa credibile. Kerenskij fuggì dalla città grazie all’appoggio dell’ambasciata americana. Gli altri ministri del governo provvisorio, invece, rimasero barricati nel palazzo d’inverno, l’attuale museo dell’Ermitage, e cercarono di radunare quei pochi soldati dell’esercito rimasti ancora fedeli al governo provvisorio. I bolscevichi accerchiarono il palazzo d’inverno e intimarono i membri del governo provvisorio ad arrendersi. In caso contrario i ribelli avrebbero aperto il fuoco dalle navi da guerra giunte in città dal Baltico. Di fronte a una mancata risposta, l’incrociatore Aurora sparò la cannonata che diede il via alla rivoluzione russa d’ottobre. Lo scontro, però, durò pochissimo. Infatti i bolscevichi penetrarono nel palazzo di inverno e tutti i ministri del governo provvisorio vennero arrestati e rinchiusi nella fortezza di Pietro e Paolo.
Il 26 ottobre fu convocato il consiglio dei soviet presso l’istituto Smolnij. Il presidente Kamenev fece rapporto sull’esito della rivoluzione russa d’ottobre e dichiarò la nascita della Repubblica dei Soviet.
La sera toccò a Lenin salire sul palco e dettare le leggi del nuovo stato. Il grande statista della rivoluzione russa annunciò i seguenti provvedimenti:

- Immediata cessazione della guerra mondiale
- Espropriazione delle terre che dovevano essere ridistribuite tra tutti i contadini
- Rinnovamento del sistema di sicurezza. La milizia doveva essere composta da operai
- Nelle fabbriche e nelle officine la giornata lavorativa non doveva superare le otto ore
- Le donne ottenevano la parità dei diritti di fronte alla legge. Veniva introdotto anche il divorzio e il matrimonio civile
- Separazione definitiva tra Stato e Chiesa
- Le ferrovie e le banche diventavano statali
- Il commercio estero diveniva monopolio statale
- Infine Lenin sosteneva che questa rivoluzione socialista avrebbe dovuto essere trasportata anche all’esterno dei confini russi, fino in Germania e in Italia.

I PERSONAGGI DELLA RIVOLUZIONE RUSSA

NICOLA II
Lo zar Nicola II Romanov fu non solo l’ultimo zar del grande impero russo, ma anche l’ultimo dei Romanov, una dinastia che prese il potere in Russia nel 1613 e che governò, quindi, il Paese per trecento anni.
Il suo regno durò vent’uno anni, dal 1896, anno della sua fastosa incoronazione, al 1917, anno in cui è costretto ad abdicare a seguito della rivoluzione russa di febbraio.
L’ultimo zar di Russia nacque a Zarskoe Selo, un villaggio a una trentina di chilometri da San Pietroburgo, sede del palazzo omonimo dove è possibile ammirare la famosa camera d’ambra, il 18 maggio del 1868. Era figlio primogenito dello zar Alessandro III a cui succedette nel 1896 a causa della morte di quest’ultimo. Fin da piccolo Nicola II riceve un’istruzione che spaziava in tutti i campi, dalla religione all’esercito, dalle finanze all’economia. Questo perché il padre lo fece entrare in contatto con le personalità più importanti del suo governo, al fine di indirizzarlo, fin da bambino, verso i binari del potere. In realtà l’indole di Nicola II è piuttosto tranquilla e semplice. Un esempio di questo suo carattere poco consono alla vita mondana e di potere è il fatto che sposò, contro il volere del padre, la principessa Alice d’Assia. Il primo incontro tra i due avvenne quando l’erede al trono aveva solo sedici anni. Da quel giorno non dimenticò più la ragazza e, alcuni anni dopo, nel 1894, la sposò. Negli anni precedenti lo zar Alessandro III aveva cercato di spingere il figlio verso una vita più mondana portandolo tra le braccia della famosissima prima ballerina del teatro Marinskij di San Pietroburgo, Matilde Kscesinskaya. Dopo una relazione durata alcuni anni con la ballerina, lo zar Nicola II ottiene, nel 1890, il permesso da parte del padre di fidanzarsi con la principessa Alice, la quale rinuncia alla propria religione protestante e si converte a quella ortodossa con il nome di Aleksandra Fedorovna. Il 14 novembre i due convolano a nozze nel palazzo d’inverno, oggi sede dell’Ermitage a San Pietroburgo. Sempre nel novembre del 1894 le condizioni del padre peggiorarono notevolmente fino a che non sopraggiunse la morte del sovrano. Nicola II ottiene il titolo di zar anche se l’incoronazione ufficiale avverrà solo nel maggio del 1896.
La zarina Aleksandra era nipote della regina Vittoria e, come Nicola II, non amava la vita mondana e di corte. Questo portò alla decisione di vivere nel palazzo Aleksandrovskij, situato nel parco di Zarskoe Selo, lontani dalla nobiltà di corte di Mosca e San Pietroburgo. Questa riservatezza provocò fin da subito i malumori interni alla corte e i due sovrani vennero da subito criticati per il loro stile di vita così lontano da quella dei precedenti imperatori. La coppia ebbe quattro figlie e un unico figlio maschio, il famoso zarevic Aleksei che soffriva dalla nascita di una forma di emofilia, una malattia ereditata dal ramo materno e che lo metteva in pericolo di vita al minimo trauma. Infatti spesso anche un piccolo ematoma gli provocava un’emorragia interna che poteva portarlo alla morte. La malattia del piccolo Aleksei afflisse per tutta la vita la madre Aleksandra, la quale tentò di ricorrere a ogni metodo pur di salvaguardare la vita del figlio. Proprio per questo entrò a far parte dell’entourage della zarina, la tenebrosa figura di Rasputin. Rasputin era uno starec proveniente dalla Siberia che aveva fama di guaritore. La zarina lo fece arrivare a San Pietroburgo nella speranza che potesse alleviare le sofferenze del figlioletto. Egli riuscì di fatto a salvare il bambino in più di un’occasione. Questo fece sì che Aleksandra Fedorovna si affidasse ciecamente a lui includendolo nella loro vita quasi come fosse un parente. Ben presto la figura di Rasputin si impose anche sulle decisioni politiche del marito e, durante l’assenza di Nicola II, la zarina si affidò a lui completamente, tanto da far sì che nascessero voci su una presunta relazione tra Rasputin e la moglie dello zar.
Nicola II non riuscì mai a imporsi su Rasputin, tanto l’indole spirituale dello starec aveva coinvolto Aleksandra Fedorovna. A causa di questa debolezza dello zar, la popolazione cominciò a nutrire un certo malcontento nei confronti della famiglia reale e del sovrano in particolare. La rottura definitiva tra la figura dello zar Nicola II e il popolo russo avvenne a causa della famosa “domenica di sangue” del 22 gennaio 1905 quando la popolazione di San Pietroburgo marciò verso il palazzo d’Inverno per chiedere all’imperatore delle riforme. Infatti già da alcuni mesi la situazione economico-sociale del popolo era peggiorata. Lo zar che non viveva al palazzo d’inverno, bensì nella sua residenza fuori città, non fu avvertito in tempo. La rivolta fu repressa nel sangue e centinaia di persone vennero uccise. In seguito a questo brutto episodio e al malcontento sempre più crescente tra il popolo, Nicola II fu costretto a fare delle concessioni, come la costituzione di una duma, un parlamento e della figura di un primo ministro. In questo modo la Russia passava da monarchia assoluta a monarchia costituzionale. Nonostante questi interventi, però, la situazione non migliorò. Inoltre l’entrata in guerra della Russia accrebbe il debito e l’inflazione. Gli eventi precipitarono fino ad arrivare alla rivoluzione russa del 1917 a seguito della quale Nicola II fu costretto ad abdicare. In particolare il giorno 14 marzo lo zar rinunciò al trono in favore del fratello il granduca Mikhail che però rifiutò. Il potere venne affidato a un governo provvisorio che diede l’ordine di imprigionare tutta la famiglia reale e di trasferirla a Tobolsk, in Siberia. Successivamente gli ultimi Romanov vennero trasferiti a Ekaterinburg dove nella notte tra il 16 e il 17 luglio vennero fucilati. I corpi vennero depredati dei gioielli e gettati in un pozzo. I vestiti sciolti con l’acido. Soltanto tre giorni dopo il governo provvisorio informò la popolazione dell’esecuzione della famiglia reale. All’inizio degli anni Novanta degli scavi hanno portato alla luce dei resti di corpi umani che, dopo varie analisi, sono stati riconosciuti come appartenenti a Nicola II e alla sua famiglia. il 16 luglio del 1998 i resti sono stati riportati a San Pietroburgo dove alla presenza dell’allora capo dello stato Boris Eltsin sono stati sepolti nella fortezza di Pietro e Paolo insieme agli altri grandi zar russi. Il giorno della sua esecuzione, il 17 luglio, è oggi il giorno in è festeggiato come santo.

 

 

ALEKSANDR FEDOROVIC KERENSKIJ
Aleksandr Kerenskij è uno dei personaggi più importanti della rivoluzione russa del 1917. Nacque nel 1881 ad Ulianovsk, una città della provincia russa tra Kazan e Tol’iatti, ma fu a San Pietroburgo che trovò la sua fortuna come uomo politico. Qui infatti studiò giurisprudenza all’università statale e tra i suoi colleghi c’era lo stesso Lenin. A seguito di una pausa forzata dovuta a una malattia, Kerenskij si avvicinò alla letteratura russa e, in particolare, alle opere di Tolstoj, del quale apprezzava soprattutto l’attenzione per i più poveri e gli oppressi. Fu proprio grazie ai personaggi tolstojani che Kerenskij si avvicinò al popolo anche da un punto di vista politico. La sua posizione nei confronti del regime zarista fu sempre piuttosto critica. Tuttavia la sua posizione assunse un carattere radicale dopo la famosa domenica di sangue. A seguito delle repressioni ordinate da Nicola II contro un gruppo di operai che si erano recati al palazzo d’Inverno per chiedere delle riforme, Kerenskij venne arrestato e incarcerato per alcuni mesi. Negli anni tra la rivoluzione russa del 1905 e quella del 1917, Kerenskij assunse sempre più popolarità tra le masse, soprattutto tra gli operai. Incitò più di una volta il popolo a una rivoluzione contro il potere assolutistico dello zar, utilizzando la sua arte oratoria.
Grazie a questa e grazie alla sua popolarità nella scena politica russa di inizio novecento, Kerenskij divenne ministro della giustizia e in seguito ministro della guerra durante il governo provvisorio. Nel momento in cui assunse queste cariche Kerenskij cercò di mantenere una posizione intermedia per accattivarsi sia i socialisti che la borghesia. Per questo motivo non veniva visto di buon occhio dai mensceviche e dai bolscevichi. I suoi tentativi di gestione della politica interna ed estera, però, portarono anche a diversi errori. Uno su tutti fu un’offensiva militare contro le truppe austriache che secondo Kerenskij avrebbe dovuto risollevare le sorti della Russia in guerra e portarla sempre più vicina alla vittoria. Ma si trattò di un passo ormai anacronistico; infatti stava crescendo sempre più sia nell’opinione pubblica russa che tra i soldati un forte malcontento nei confronti della guerra. I bolscevichi in particola modo sostenevano che la Russia avrebbe dovuto ritirarsi dal conflitto in quanto i debiti di guerra crescevano sempre più insieme all’inflazione. Nel luglio del 1917, a seguito di un’ulteriore insurrezione poi fallita, Kerenskij diede ordine di arresto per moltissimi esponenti del partito bolscevico e, per riprendere il controllo sull’esercito e sui soldati disertori, reintrodusse la pena di morte. Kerenskij continuò poi nei messi successivi a giocare con le forze politiche emergenti, schieerandosi da un lato con i bolscevichi (in occasione del tentato colpo di stato del generale Kornilov) e dall’altro lato ostacolandoli in quanto capiva che si trattava della forza politica che aveva il maggior consenso tra il popolo. Durante la rivoluzione russa di ottobre del 1917, tuttavia, Kerenskij non riuscì a opporsi ai bolscevichi e fu costretto a lasciare San Pietroburgo, fuggendo su un’automobile inviata dall’ambasciata americana. Tentò un’estrema difesa del governo provvisorio radunando piccole truppe a lui ancora fedeli a Zarskoe Selo, poco fuori San Pietroburgo, ma dopo pochi giorni di resistenza fu costretto definitivamente a mollare e a lasciare la Russia per la Francia. Quando, nel 1940, Hitler conquistò Parigi, Kerenskij scappò negli Stati Uniti dove morì nel 1970. Anche da esiliato Kerenskij non mancò mai di offrire il suo appoggio al suo Paese di origine. In particolare, nonostante avesse sempre cercato di ribaltare il regime zarista, Kerenskij si impegnò nella difesa della famiglia reale. Propose, infatti, di mandare i Romanov in esilio in Gran Bretagna e non in Siberia dove poi vennero fucilati. In seguito inviò parecchie missive a Stalin, il quale però non gli diede mai una risposta. Si dedicò, quindi, begli ultimi anni della sua vita all’insegnamento universitario e ottenne la cattedra di Storia Russia all’università di Stanford in California.

LENIN
Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin, nasce il 22 aprile del 1870 a Ulianovsk, la stessa città in cui nacque colui che poi doventò suo nemico, Aleksandr Kerenskij, capo del governo provvisorio dopo la rivoluzione russa di febbraio del 1917.
Lenin studia giurisprudenza presso l’università di Kazan, ma da questa verrà espulso a causa di una partecipazione a diverse manifestazioni studentesche. Continua gli studi all’università di San Pietroburgo ma, di fatto, non eserciterà mai la professione di avvocato. Infatti entra subito con il movimento “emancipazione nel lavoro” di Plechanov che diventerà poi il POSDR (partito operaio socialdemocratico do Russia). Secondo molti storici la svolta nel corso della sua esistenza avviene nel momento in cui il fratello Alekseij fu impiccato per aver partecipato all’attentato allo zar Alessandro II.
Il contributo teorico di Lenin al marxismo non può certo rivaleggiare con le teorizzazioni dei due fondatori della dottrina; è innegabile d’altra parte che Lenin fece del suo meglio per adattare il marxismo alle mutate condizioni del mondo oltre che alle sue personali esperienze e con le circostanze russe, fornendo alcune importanti aggiunte e apportando certe modifiche alla dottrina di base. Di maggior interesse è il fatto che questi emendamenti sono divenuti vangelo nell’Unione Sovietica e che l’ideologia nel suo insieme è stata ridefinita “marxismo-leninismo”. Tra le componenti elaborate da Lenin, particolare attenzione meritano quelle relative al partito, alla rivoluzione e alla dittatura del proletariato, unitamente a quelle attinenti ai contadini e all’imperialismo. Fu un disaccordo circa le caratteristiche del partito che nel 1903 causò la scissione dei socialdemocratici russi in bolscevichi, guidati da Lenin, e menscevichi, tra i quali c’era anche Trotzki. Lenin insisteva sulla necessità di costituire un corpo compatto di rivoluzionari di professione dediti alla causa, con una chiara gerarchia e una salda disciplina militare. In menscevichi, invece, preferivano un’organizzazione più vasta e meno compatta. Lenin decise nel 1917 che egli e il suo partito potevano dare il via in Russia a una rivoluzione vittoriosa, sebbene in un primo momento nessuno, neppure tra i bolscevichi, fosse dello stesso parere. Quando i bolscevichi effettivamente si impadronirono del potere con la rivoluzione russa d’ottobre, Lenin accentuò il ruolo del partito e la dittatura del proletariato. Il suo ottimismo rivoluzionario derivava almeno in parte dalla revisione, da lui compiuta, della parte spettante al mondo contadino nella creazione del nuovo ordine. Marx, Engels e i marxisti in generale hanno trascurato nelle loro teorie i contadini, relegandoli nel campo della borghesia. Al contrario Lenin giunse alla conclusione che, se adeguatamente guidati dal proletariato e dal partito, i contadini poveri potevano divenire una forza rivoluzionaria e, in un secondo tempo, proclamò persino i contadini più benestanti potevano assumere una qualche utilità ai fini della creazione dello stato socialista. Quelle stesse tesi di aprile che spronavano alla trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione socialista sostenevano che i contadini poveri dovevano essere parte integrante della nuova ondata rivoluzionaria.
Lenin allargò la portata del marxismo con un secondo e ben più drastico apporto. Nel suo libro L’imperialismo come fase suprema del capitalismo scritto nel 1916 e pubblicato l’anno successivo, si provò ad aggiornare il marxismo allo scopo di dar ragione di recenti sviluppi come la febbrile rivalità tra potenze coloniali, le crisi internazionali e infine la prima guerra mondiale, e giunse alla conclusione che, nella sua fase ultima, il capitalismo si trasforma in imperialismo e il mondo passa sotto il dominio dei monopoli e del capitale finanziario. I “cartelli” si sostituiscono alla libera concorrenza e l’esportazione di capitali assume maggior peso dell’esportazione di merci. Ne consegue una spartizione economica e politica del mondo nella forma di una perenne lotta per l’espansione economica, la conquista di sfere d’influenza, colonie e analoghi possessi. Si delineano alleanze e contro alleanze internazionali; il divario tra lo sviluppo delle forze produttive dei partecipanti e la loro quota del mondo è regolato, fra stati capitalisti, mediante guerre. Al posto dell’originaria visione marxista della rivoluzione socialista vittoriosa quale semplice espropriazione di pochi supercapitalisti, Lenin descriveva la fase di tramonto del capitalismo come un’era di giganteschi conflitti, correlandole alle realtà del XX secolo. Cosa più importante ancora, questa dilatazione verso l’esterno della crisi capitalistica portava in primo piano, nel quadro, colonie e regioni sottosviluppate. Ai capitalisti si contrapponevano non solo i proletariati, ma anche i popoli stranieri da essi sfruttati, più o meno indipendentemente dall’ordine sociale e dalla fase di sviluppo dei popoli stessi. Ne conseguiva che i proletari e i popoli coloniali erano alleati naturali. Vale la pena notare che Lenin prestava assai maggiore importanza all’Asia di quanto non facessero i marxisti occidentali. Infine, con un brillante argomento dialettico, perfino il fatto che la rivoluzione socialista avvenisse in Russia, anziché in giganti industriali come Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, poteva essere spiegato con il ricorso alla teoria dell’”anello debole”, vale a dire con l’argomentazione che nell’impero dei Romanov varie forme di sfruttamento capitalistico, sia indigene sia coloniali sia semicoloniali, si combinavano a rendere il capitalismo particolarmente incongruo e instabile, ragion per cui il primo anello della catena capitalistica a spezzarsi era stato l’anello russo.
Non pochi critici hanno fatto rilevare che le particolari concezioni di Lenin, pur differendo dalle ide di Marx e Engels, trovavano la loro ragion d’essere sia nella realtà sia nella tradizione radicale russa. Paese di contadini, la Russia non poteva certo affidare il proprio futuro al solo proletariato, e perlomeno i contadini poveri, se non anche i più benestanti, dovevano essere inclusi nello schema per adeguare in qualche modo la teoria alla realtà dei fatti. Ancora, in contrasto per esempio con la Germania, nella Russia imperiale il socialismo non godette mai di riconoscimento legale o di seguito di massa, restando sostanzialmente una congiura di intellettuali. Se Lenin voleva ottenere dei risultati, doveva per forza dipendere da questi intellettuali, da un partito piccolo e devoto. Inoltre, così facendo seguiva la tradizione di Cernisevskij e di Tkacev specialmente, della Narodnaya Voljia e persino, a conti fatti, anche se egli lo avrebbe certamente negato, di populisti come Lavrov e Mikhailovskij, che esaltavano il ruolo degli individui capaci di pensare criticamente quali artefici della storia.
Lenin dedicò tutti gli anni della sua maturità alla teoria e alla prassi del marxismo che riteneva dotato di infallibile verità. Inoltre, se da un lato non si è certo obbligati a sottoscrivere l’affermazione ufficiale sovietica secondo la quale Lenin diede prova di perfetta creatività marxista, dall’altro non si può neppure aderire a quella, diffusa tra i socialdemocratici occidentali, secondo cui Lenin e il comunismo avrebbero tradito il marxismo. In effetti, sia la linea dura di Lenin che sottolineava il ruolo del partito, della rivoluzione e della spietatezza, sia l’approccio morbido dei revisionisti occidentali sono legittimamente deducibili dall’ampia massa di scritti di Marx e Engels.
Quando Lenin e i bolscevichi si impadronirono del potere in Russia, dopo la rivoluzione di ottobre del 1917, si trovò alle prese con una situazione imprevista: la rivoluzione scoppiò nel suo Paese anziché nell’Occidente industrializzato , manifestandosi in un unico paese anziché nell’intero mondo capitalista. E mentre tentava di adeguarsi a questa realtà, Lenin doveva anche affrontare altri problemi. Oltre a dover affrontare una grande e complessa guerra civile, il governo sovietico si trovò a dover combattere contro la Polonia e a confrontarsi con l’intervento alleato. I bolscevichi e Lenin mobilitarono la popolazione e le risorse nella zona di cui avevano il controllo e instaurarono un duro regime passato alla storia come “comunismo di guerra”. Questo cominciò ad acquisire una precisa fisionomia nell’estate del 1918. Ci fu la nazionalizzazione dell’industria: lo stato si impadronì delle industrie minerarie, tessili, metallurgiche, elettriche, ecc. requisì tutti gli impianti a vapore e le ferrovie. L’industria privata scomparve quasi completamente. Si procedette a una graduale soppressione degli scambi commerciali privati sostituiti dal razionamento e dalla distribuzione governativa dei viveri. Fu proclamata la nazionalizzazione delle terre che divennero tutte proprietà dello stato. I contadini però avevano ben poco interesse a fornire i prodotti della terra al governo dal momento che, dati i prezzi imposti dallo stato per gli ammassi e il crollo generale dell’economia, potevano ricavarne ben poco. Venne deciso l’ammasso forzato dei viveri: i contadini dovevano consegnare allo stato l’intera loro produzione tranne un piccolo quantitativo destinato al loro sostentamento.
Il comunismo di guerra continuò per circa tre anni fino all’avvento di un nuova politica economica, la famosa NEP. La NEP fu un compromesso intesa a dar modo al Paese di riprendersi. Lo Stato mantenne la presa esclusiva sulla finanza, la grande e media industria, i sistemi di trasporto, il commercio estero e il commercio all’ingrosso. L’esistenza di imprese private fu invece autorizzata nella piccola industria, quella con meno di 20 operai ciascuno. Per quanto riguarda la produzione dei contadini, anziché requisirne i prodotti venne stabilita una precisa imposta in natura, soprattutto cereali, in seguito sostituita da una tassa in denaro. I contadini furono autorizzati a tenere per sé e a commerciare sul mercato libero quanto restava loro dopo il pagamento dell’imposta. Questa nuova politica ebbe grande successo e contribuì alla ripresa dell’economia.
Lenin continuò ad esercitare il potere ancora per un anno, finchè nel 1922 non fu colto da un ictus che lo rese in parte paralizzato. Continuò a governare lo stato da lui creato fino al giorno della sua morte avvenuta il 21 gennaio 1924.

 

 

 


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