IL PALAZZO D'INVERNO E LO SCOPPIO DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA
Il
Palazzo d'Inverno (in russo Zimnyi Dvorets) è la prima residenza
dello Zar, che domina la piazza del Palazzo da un lato ed il fiume
Neva dall'altro. La costruzione visibile oggi è la quarta
e ultima modifica apportata dall'architetto italiano Bartolomeo
Rastrelli e completata nel 1762. Si tratta di un classico esempio
dell'arte barocca; il palazzo, dipinto di bianco e verde, possiede
1786 stanze e ben 1945 finestre. La regina Caterina II di Russia
ne fu la prima inquilina stabile. Questo palazzo ha sempre rivestito
nella storia della Russia una notevole importanza come simbolo,
infatti fu la sua conquista da parte dei rivoluzionari, il 26 ottobre
1917, a segnare una tappa importante della rivoluzione russa. Dopo
la rivoluzione d'ottobre il museo che era ospitato all'interno del
palazzo fu notevolmente esteso, ed oggi l'Hermitage rappresenta
una delle più famose collezioni d'arte a livello mondiale.
Il Palazzo d'Inverno è carico di storia tanto quanto di
dorature e stucchi, essendo stato la residenza invernale di tutti
gli zar e le zarine da Pietro il Grande in avanti, per non parlare
della corte e dei 1500 servitori. Anche se Pietro aveva sempre preferito
vivere a Monplaisir, morì nel secondo Palazzo d'Inverno,
e il suo fu il primo di una serie di illustri decessi imperiali
legati al palazzo.
Il primo zar che abitò la struttura attuale fu Pietro III,
che viveva con la sua amante, Elisabetta Vorontsova, nell'ala sud-est
del secondo piano, mentre la moglie, la futura Caterina la Grande,
risiedeva sul lato opposto del cortile. Quando salì al trono,
Caterina rinnovò le stanze di Pietro e vi si insediò,
assegnando al suo amante, Grigorij Orlov, le stanze direttamente
sottostanti alle sue. Decenni più tardi, dopo la visita di
uno dei suoi ultimi amanti, Platon Zubov, l'imperatrice fu trovata
svenuta sul pavimento della stanza da letto e poco dopo morì.
Dato che aveva 67 anni, è difficile credere alla scurrile
leggenda, probabilmente inventata dai prussiani, secondo cui sarebbe
morta mentre cercava di copulare con uno stallone che, rottasi l'imbragatura
che lo teneva appeso al soffitto, l'avrebbe schiacciata cadendo.
Nonostante l'ampia gamma di sfarzosi appartamenti fra cui poteva
scegliere, Nicola I decise di stabilirsi in uno non più grande
di una sala da pranzo di Bloomsbury, arredato con austerità
militaresca, dove lavorava, mangiava, dormiva e si intratteneva
con la sua amante e dove alla fine morì di influenza nel
bel mezzo della guerra di Crimea. AI contrario, la moglie Alessandra
non badò a spese nella decorazione della sua sala di rappresentanza,
il Salotto di Malachite, in verde smeraldo e oro.
Anche Alessandro II scelse di risiedere in un angolo remoto del
palazzo, arredato non con i Rembrandt o i Rubens che aveva a disposizione
ma secondo la semplice e insipida moda borghese del tempo. Nel 1880
un membro del gruppo rivoluzionario Narodnaja Volja mise una bomba
sotto la sala da pranzo imperiale; nell'attentato morirono undici
soldati, ma lo zar, che aveva fatto una pausa fra una portata e
l'altra, ne uscì indenne. Un anno dopo, tuttavia, un nuovo
attentato ebbe successo e il sovrano morì per le ferite riportate
nell'appartamento all'angolo sud-occidentale del palazzo.
Nicola II abitò negli appartamenti sopra il Salotto di Malachite
fino al 1904, quando la crescente agitazione sociale costrinse la
famiglia imperiale a ritirarsi a Tsarskoe Selo, ritornando nella
capitale solo per le funzioni di stato. Allo scoppio della prima
guerra mondiale, lo zar si impegnò di fronte a cinquemila
persone nella Sala di San Giorgio del palazzo a non firmare alcuna
pace finché il nemico sia sul suolo patrio, come aveva fatto
Alessandro I quando Napoleone aveva invaso il paese nel 1812. Durante
la guerra le grandi sale di rappresentanza del secondo piano furono
occupate a lungo da un ospedale per invalidi istituito dalla zarina
e, durante la Rivoluzione di Febbraio, le truppe lealiste fecero
qui un ultimo, disperato tentativo di resistenza.
Nel luglio del 1917 il governo provvisorio mosse il fatale passo
dal Palazzo Mariinskij al Palazzo d'Inverno. Kerenskij si insediò
in quelle che erano state le stanze della zarina e dormì
persino nel suo letto a baldacchino. I suoi ministri si riunivano
nel Salotto di Malachite, e nelle prime ore del 26 ottobre furono
arrestati dai bolscevichi in una sala da pranzo adiacente. Gli attivisti
di partito misero immediatamente fine ai saccheggi, tranne che nelle
cantine imperiali, dove tutte le unità di guardia, senza
eccezione, si presero una solenne sbornia e dodici persone affogarono.
Entro il 1922 quasi tutto il palazzo era stato ceduto per ospitare
la collezione d'arte dell'Ermitage, mentre un'altra parte fu occupata
fra le due guerre dal Museo della Grande Rivoluzione Socialista
di Ottobre.
La
rivoluzione dOttobre (7 novembre 1917) è la presa
del potere da parte dei bolscevichi in Russia ed è così
chiamata perché realizzata tra il 25 e il 26 ottobre secondo
il calendario giuliano, allora in vigore in tutti i territori già
facenti parte dell'impero zarista. Essa costituì la conclusione
del percorso di profonda trasformazione dello stato e del potere
iniziato con la rivoluzione di febbraio di quello stesso anno. I
governi provvisori nel frattempo succedutisi non erano riusciti
a risolvere i gravi problemi della popolazione (in primo luogo le
conseguenze negative della guerra sui livelli materiali di vita)
e a interrompere il progressivo deteriorarsi dell'autorità
politica e della credibilità delle istituzioni. I bolscevichi,
sotto la direzione di Lenin, rientrato in marzo dall'esilio, divennero
in pochi mesi la forza politica attorno cui si coagulò lo
scontento, aumentando progressivamente la propria forza e influenza
tra i settori popolari delle principali città e negli organismi
di rappresentanza di recente formazione. Con un programma sintetizzato
nello slogan "tutto il potere ai soviet" (in particolare:
nazionalizzazione delle banche e della terra, fine immediata della
guerra in corso dal 1914 e costituzione di una repubblica dei soviet),
i bolscevichi si presentarono come la componente più compatta
e decisa tra i partiti russi, i soli a essere dotati di una precisa
strategia politica. Queste caratteristiche, elementi caratterizzanti
del leninismo, rivelarono il loro peso durante la crisi precipitata
dall'estate del 1917. Dopo la fallita offensiva russa di giugno
sul fronte tedesco, i bolscevichi decisero di passare all'azione
dando vita a violente manifestazioni di piazza che a Pietrogrado
furono duramente represse dall'intervento dell'esercito (3-4 luglio).
Lenin dovette fuggire in Finlandia, mentre altri importanti dirigenti
bolscevichi, tra cui Trockij e Kamenev, venivano arrestati. Pur
in condizioni di semiclandestinità i bolscevichi incrementarono
la propria iniziativa politica d'agitazione e propaganda; in particolare
essi furono molto attivi tra gli operai dei grandi complessi industriali
e i soldati delle retrovie, arrivando ad assumere il controllo dei
"soviet dei soldati e degli operai" a Pietrogrado e Mosca;
in tal modo la dualità di potere presente in Russia dalla
rivoluzione di febbraio (soviet da un lato e governo provvisorio
dall'altro) assumeva le caratteristiche dello scontro aperto. Il
tentato colpo di stato di settembre del generale L.G. Kornilov,
che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime
zarista, determinò una polarizzazione ancor maggiore delle
posizioni. Rientrato Lenin dalla Finlandia e liberati i dirigenti
arrestati, i bolscevichi decisero di prepararsi alla presa del potere
attraverso un'insurrezione armata. Questa decisione venne presa
dal Comitato centrale del partito il 10 ottobre nonostante l'opposizione
di influenti dirigenti bolscevichi come Kamenev e Zinov'ev. Nei
giorni successivi, mentre continuavano scioperi e manifestazioni,
il piano insurrezionale venne attuato a partire dalla costituzione
del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado (16
ottobre). L'organismo, nato per difendere la rivoluzione russa dalla
ventilata possibilità di un'offensiva tedesca sulla capitale,
permise ai bolscevichi di assumere il controllo militare delle truppe
di stanza in città. Determinati a prendere il potere prima
dell'inizio del Congresso panrusso dei soviet (previsto per il 25
ottobre), i bolscevichi diedero il via all'insurrezione il 24 ottobre.
In due sole giornate, soprattutto grazie all'apporto dei marinai
della flotta della base di Kronstadt e delle "guardie rosse"
(soldati e operai armati dal soviet di Pietrogrado), il potere passava
nelle mani dei bolscevichi in modo quasi incruento: la sera del
25 ottobre il governo Kerenskij veniva destituito e i suoi ministri
arrestati durante l'assalto al Palazzo d'inverno (un avvenimento
che divenne il momento simbolico dell'insurrezione). Contemporaneamente
si apriva il Congresso panrusso dei soviet: mentre i menscevichi
abbandonavano l'aula in segno di protesta contro l'insurrezione,
la maggioranza dei delegati (bolscevichi e socialrivoluzionari di
sinistra) le forniva l'avallo "legale". Il congresso si
proclamava legittimo governo del paese e approvava i decreti sulla
pace e sulla terra che costituivano i primi atti formali del nuovo
potere sovietico. La vittoria politica, prima che militare, dei
bolscevichi veniva poi confermata dalla decisione di delegare il
consolidamento del nuovo potere al Consiglio dei commissari del
popolo, organismo esecutivo di cui Lenin venne nominato presidente
e che era composto principalmente da esponenti bolscevichi. Contro
il nuovo potere l'ex primo ministro Kerenskij tentò un'offensiva
con truppe rimastegli fedeli, ma venne sconfitto il 30 ottobre nella
battaglia di Pulkovo. Nel
resto del paese la rivoluzione incontrò una resistenza maggiore
che nella capitale. A Mosca i bolscevichi assunsero il controllo
della situazione solo il 2 novembre, dopo che il 28 ottobre la città
era stata teatro di disordini che avevano provocato numerose vittime.
Nelle altre città della Russia e nei principali distretti
industriali il potere sovietico si consolidò in tempi e modi
diversi: mentre nella gran parte del paese entro la fine del 1917
i nuovi organismi di potere si erano ormai formalmente consolidati,
in Ucraina, nell'area del Don e nel Caucaso la rivoluzione trovava
una più consistente opposizione che si protrasse, facendo
sentire le proprie conseguenze in tutta la Russia, nei tre anni
seguenti con la guerra civile russa. L'insurrezione non portò
a un'immediata concentrazione del potere nelle mani dei bolscevichi.
I socialrivoluzionari di sinistra presero parte attiva alle prime
decisioni e ai primi organismi di governo, mentre menscevichi e
socialrivoluzionari di destra iniziarono una violenta lotta al nuovo
regime. Tuttavia, mentre le opposizioni erano destinate a essere
presto messe fuorilegge sotto l'incalzare della guerra civile e
dell'emergenza alimentare, il ruolo egemonico assunto dal partito
di Lenin nella conquista del potere e le stesse modalità
attraverso cui essa era avvenuta costituirono un forte condizionamento
per il futuro. L'egemonia bolscevica (politica e militare) sui nuovi
organismi di potere, unita alla situazione d'emergenza di un paese
ridotto alla fame da anni di guerra, portarono presto a un accentramento
del potere e segnarono fin dall'inizio la storia del nascente stato
sovietico.
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