LA RELIGIONE ORTODOSSA
Il giro dell’Anello D’Oro costituisce una occasione unica per apprezzare lo spirito religioso del popolo russo. Oltre al famoso monastero di San Sergio (cosiddetto ‘’vaticano russo’’), l’intero Anello D’Oro di Russia costituisce di per sè una ‘regione santa’, in quanto costellata di antichi monasteri che custodiscono reliquie di importanti santi ortodossi, oggetto di pellegrinaggio di pellerini provenienti da ogni parte di questo grande paese.
L’Anello D’Oro costituisce il centro della religione ortodossa che fa capo al Patriarca di Mosca.
LO SCISMA (DEL FILIOQUE) TRA CRISTIANESIMO ED ORTODOSSIA
E’ bene a questo punto accennare alla storia che portò alla separazione della religione ortodossa da quella cattolica, anche per capire le differenze fra i due credi.
La data di riferimento a cui si fa riselire tale separazione è il 1054, anno in cui avvenne lo scisma tra le diocesi slave e la Chiesa di Roma. Alla base dello scisma vi fu il mancato riconoscimento da parte dei vescovi slavi della traduzione in latino dal greco approvata dal papa della preghiera del Credo. In particolare la frase ‘incriminata’ fu quella nella quale si affermava che lo ‘Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio’: il motivo di disputa derivava dalla presunzione di violazione del dogma della Trinità (intesa come Entità composta di tre Figure Sacre allo stesso livello), nel momento in cui si professava lo Spirito Santo come una entità in subordine rispetto al Padre ed al Figlio, in quanto discendente da essi. Lo scisma passò alla storia come scisma del filioque (l’ablativo di filius con il quale terminava la frase della preghiera).
In realtà, sia per la religione cattolica che per la religione ortodossa la definizione del dogma della Trinità è simile e concorde. Tuttavia vi era l’esigenza da parte dei vescovi slavi di creare un conflitto con il papa, (il cosiddetto casus belli,) affinchè il papa come poi successo, scomunicasse i vescovi slavi sul presupposto che, non accettando la traduzione latina del papa, automaticamente disconoscevano l’autorità dello stesso papa.
Non a caso i motivi di dissidio fra le diocesi slave e l’autorità del papato andavano ben oltre le dispute di carattere teologico. Vi era infatti una forte avversione da parte dei vescovi slavi ad essere sottomessi all’autorità di un papa di Roma che nel corso dei secoli si era dato un primato sulle altre diocesi che non trovava un fondamento nelle Sacre Scritture. Lamentavano infatti i vescovi slavi,fedeli osservanti del testo letterale dei vangeli, che da nessuna partenelle Sacre Scritture Cristo aveva inviato gli apostoli a diffondere il Vangelo, affermando contemporaneamente un primato dell’apostolo Pietro sugli altri. Infatti le comunità cristiane dei primi secoli erano diocesi autonome le une dalle altre rette da vescovi indipendenti tra di loro: vi era ad esempio la chiesa cristiana di Alessandria, quella di Antiochia, quella di Roma, quella di Milano, ma mai il vescovo di Roma aveva affermato un primato su quelli delle altre diocesi. Solo a partire dal 5/6 secolo il vescovo di Roma, probabilmente influenzato dal potere temporale che si andava affermando nei vari regni che nascevano all’interno del mondo cristiano, cominciò ad affermare una popria autorità sulle altre diocesi cristiane fino a giungere ad una situazione di totale gerarchizzazione della chiesa al cui vertice vi era l’ex vescovo di Roma, ormai papa di tutta la Cristianità, da quale derivavano i poteri di imperio sulle varie comunicatà locali, di nomina dei vari vescovi, e di scomunica di tutti coloro che si opponevano in vario modo all’autorità del papa.
Pertanto una volta ottenuta la scomunica da parte del papa, le diocesi slave si costituirono in comunità autonome le une dalle altre reintroducendo il concetto teologico di chiesa autocefala, ossia di chiesa che si autogoverna senza subire l’influenza di un’autorità ecclesiastica esterna.
Da questo si capisce perché ancora ai nostri giorni, il mondo delle religioni ortodosse, si compone di una molteplicità dichiese autonome, ognuna retta da un suo patriarca: la chiesa ortodossa russa, la chiesa ortodossa rumena, la chiesa ortodossa serba, la chiesa ortodossa di Costantinopoli…
Pertanto la prima diretta conseguenza dello scisma fu il disconoscimento del potere gerarchico istituito dai papi e la costituizione in comunità religiose autonome (autocefale), indipendenti le une dalle altre.
L'INTERPRETAZIONE DELLE SACRE SCRITTURE
Altro importante effetto dello scisma fu il rifiuto assoluto di interpretazione delle sacre scritture. Secondo i vescovi slavi infati i papi avevano peccato di aver strumentalizzato le Sacre Scritture interpretandole ben oltre il loro significato letterale per affermare il loro potere ed autorità in merito ai dogmi di fede. Per gli ortodossi infatti le verità di fede vanno ricavate dal puro testo delle Sacre Scritture senza nessuna aggiunta o interpretazione : per semplificare, se Cristo e i profeti avessero voluto affermare precetti di fede ulteriori rispetto a quelli desumibili dall’analisi letterale del testo dlele sacre scritture, ci avrebbero tramandato queste verità di fede direttamente nel testo stesso.
SALTI CATTOLICI E SANTI ORTODOSSI
Altro effetto dell scisma fu la diretta conseguenza del mancato rconoscimento delle autorità dei papi e quindi i loro pronunciamenti dal successore di San Pietro in poi.
Proprio tra i vari pronunciamenti dei papi, uno dei più importanti riguarda le cause di beatificazione dei santi. Tutti i santi nominati dai papi di Roma da dopo San Pietro alla data dello scisma,vennero disconosciuti e sottoposti al vaglio di una apposita commissione di prelati slavi, che alla luce dei precetti dell’ortodossia valutarono caso per caso se confermare la santità delle diverse figure religiose dei primi mille anni di cristianità.
Pertanto abbiamo figure di Santi con la doppia canonizzazione, quella cattolica e quella ortodossa, fra cui possiamo citare San Nicola e San Giorgio, tra quelli universalmente più venerati. Molto interessante in proposito la causa di santità di Sant’Agostino alla luce della concezione ortodossa. Sant’Agostino è uno dei ‘Padri’ della Chiesa, autore di testi di esegesi biblica, ossia di interpretazione delle sacre scritture.
Quando la sua causa di santità venne analizzata dall’Ortodossia, il risultato fu il seguente: per la vita santa e i miracoli che gli vengono attribuiti, Sant’Agostino è stato considerato beato dagli ortodossi, ma per il fatto di aver “peccato” nell’interpretazione delle sacre scritture, non ha raggiunto la santità.
Di seguito altre differenze tra Ortodossia e Cristianesimo
L’IMMACOLATA CONCEZIONE
Un’altra differenza importante riguarda il dogma dell’immacolata concezione della Vergine. Questa interpretazione riguarda il fatto se Maria sia nata con o senza peccato originale.
Per gli ortodossi, Maria fa parte del genere umano, è stata concepita come ogni uomo e per questo è stata soggetta alle conseguenze del peccato fino al momento in cui ha detto il suo “sì “ all’annuncio dell’arcangelo Gabriele che partorirà Gesù Cristo.
La Chiesa cattolica sostiene una tesi diversa, ufficializzata con una enciclica papale di Pio IX del 1854, che proclamò di propria autorità come dogma di fede cattolica la dottrina secondo la quale Maria nacque senza peccato originale, quindi Immacolata, e non lo divenne dopo con l'Annunciazione.
IL PURGATORIO
Anche la questione del purgatorio rappresenta un punto di differenziazione rispetto alla Chiesa ortodossa.
La Chiesa cattolica riconosce l’esistenza del Purgatorio, come luogo di espiazione o purificazione temporanea dopo la morte in attesa del giudizio universale.
La teologia Ortodossa distingue due stati dell’aldilà: da una parte la benedizione del paradiso; dall’altra la sofferenza di cui l’anima può liberarsi grazie alle preghiere della Chiesa e grazie anche al mutamento interiore dell’anima medesima. La Chiesa Ortodossa non riconosce il purgatorio in quanto luogo o stato speciale, poichè non ci sono motivi biblici o dogmatici per ammettere l’esistenza di un “terzo luogo” di questa specie (cioè in nessun Testo Sacro si parla di Purgatorio, per cui non bisogna immaginarlo se non è scritto da nessuna parte).
Sulla sorte delle anime dopo la morte, vi sono molte divergenze con la dottrina cattolica. Generalmente i teologi ortodossi negano che alla morte segua subito un giudizio definitivo sul destino eterno dell’anima e tendono ad ammettere che il giudizio sia provvisorio, e con questo l'anima si limita a prendere conoscenza del premio, o della pena che ha meritato. In attesa del giudizio finale, le anime dei morti rimarrebbero in uno stato intermedio detto ade, in cui non possono né meritare né espiare: possono però essere aiutate a cambiare la loro situazione e a essere liberate, anche dal peccato mortale, dalle preghiere e dai suffragi dei vivi. La dottrina ortodossa sulla condizione intermedia dell’anima esclude perciò l’idea di un purgatorio, così come è concepito dalla teologia occidentale. Diffusa è pure l’opinione che non si possa parlare di pene eterne e di peccato eterno. Pochi tra gli ortodossi sono disposti ad ammettere tranquillamente e in senso assoluto, che vi siano anime dannate in eterno: ciò sarebbe contrario all’immenso amore di Dio.
La dottrina del Purgatorio portò di conseguenza l’eresia delle Indulgenze che provocarono la Rivoluzione Protestante che spaccò in due il Cattolicesimo romano. La teoria delle indulgenze consisteva nella pratica di pagare sotto forma di offerte alla Chiesa per ottenere la cancellazione dei peccati. Da qui la corruzione di cui fu spesso accusata la Chiesa Cattolica.
CALENDARIO GREGORIANO E CALENDARIO GIULIANO
Una differenza evidente tra religione cattolica e religione ortodossa consiste nelle date delle feste religiose. Ad esempio il Natale ortodosso cade il 7 gennaio al posto del 25 dicembre. Così anche le altre festività. Questa differenza è dovuta al fatto che gli ortodossi, non riconoscendo l’autorità del Papa, non si sono uniformati alla riforma del calendario giuliano promossa dal Papa Gregorio XIII nel 1582, che introdusse il calendario Gregoriano (dal suo nome).
Prima del 1582 il calendario di riferimento era quello Giuliano, introdotto da Giulio Cesare nell’antica Roma intorno all’anno 50 avanti Cristo. Secondo il calendario giuliano, sono bisestili gli anni la cui numerazione è multipla di 4: l'anno giuliano medio dura quindi 365 giorni e 6 ore (la media di tre anni di 365 giorni e uno di 366). Questa durata non corrisponde esattamente a quella dell’anno solare medio, che si ricava dalle osservazioni astronomiche: quest'ultimo infatti è più corto di 11 minuti e 14 secondi. Di conseguenza, il calendario giuliano accumula un giorno di ritardo ogni circa 128 anni rispetto al trascorrere delle stagioni
Nel 1582 si era ormai accumulata una differenza di circa 10 giorni. Questo significava, ad esempio, che la primavera, in base alle osservazioni astronomiche, non risultava più iniziare il 21 marzo, ma l'11 marzo. Così la Pasqua, che avrebbe dovuto cadere la prima domenica dopo il plenilunio di primavera, veniva spesso a cadere nella data sbagliata.
Venne dunque stabilito di recuperare i giorni perduti, in modo da riallineare la data d'inizio delle stagioni con quella che si aveva nel 325 all’epoca del Concilio di Nicea. Per recuperare i dieci giorni perduti, si stabilì che il giorno successivo al 4 ottobre 1582 fosse il 15 ottobre anziché il 5. Il secondo provvedimento del Papa fu quello di modificare la regola dei giorni bisestili per evitare che lo slittamento della data tornasse a verificarsi nel futuro.
Anche i Paesi che adottarono il calendario gregoriano successivamente dovettero stabilire un analogo "salto di giorni" per riallinearsi. In Russia il calendario gregoriano è entrato in vigore nel 1918, subito dopo la rivoluzione. Le chiese ortodosse hanno però mantenuto il vecchio metodo di calcolo del giorno di Pasqua e le vecchie date delle festività religiose.
LA QUESTIONE DEI PRETI SPOSATI
Altro aspetto legato al non riconoscimento dell’autorità del Papa è il seguire da parte degli ortodossi le regole della tradizione antica in tema di preti sposati.
Fin dai tempi degli apostoli, infatti, la Chiesa ha permesso di diventare preti, oltre ai celibi, anche agli uomini sposati. Quando la disciplina del matrimonio fu fissata nei Concili di Ancira (314), Nicea (325), Gangra (c. 350) e nel Concilio Trullano del 692, fu rispettata questa tradizione, con la riserva di scegliere i vescovi tra gli uomini non sposati. Non era invece ammesso il matrimonio dopo l'ordinazione a prete, e se un membro del clero rimasto vedovo desiderava risposarsi, doveva accettare la riduzione allo stato laicale, cioè doveva rinunciare alla carica di prete.
La Chiesa ortodossa segue tuttora questa tradizione, senza alcuna modifica. Occorre correggere il luogo comune che parla di "preti che si sposano" nelle Chiese ortodosse: esistono preti sposati, ma non preti che si sposano (a meno di venire ridotti allo stato laicale).
Inoltre, è bene ricordare che nella Chiesa ortodossa i preti e diaconi sposati sono tenuti a offrire nella loro vita matrimoniale una immagine rigorosa e ideale del sacramento nuziale. Pertanto, non può essere ordinato agli Ordini maggiori un uomo che abbia sposato una divorziata o una vedova, o che abbia contratto un secondo matrimonio.
La chiesa cattolica romana abbandonò questa tradizione con i due Concili Lateranensi (1123 e 1139), nei quali venne stabilito il celibato sacerdotale, vale a dire potevano diventare sacerdoti solo uomini non sposati. Gli ortodossi, non riconoscendo l’autorità del Papa, non adottarono questa regola, ma rimasero fedeli alla tradizione.
ALTRE DIFFERENZE E PARTICOLARITA’
Oltre a tutte queste differenze ci sono una serie di aspetti esteriori, ossia particolari che si notano assistendo ad una funzione religiosa ortodossa.
Tali differenze riguardano il modo diverso di celebrare la messa o il modo di intendere l’arte sacra.
LE ICONE, UN CONTINUUM TRA UOMO E DIO
Le icone innanzitutto son parte integrante della vita di un fedele ortodosso.
Mentre non è inconsueto vedere cattolici romani pregare per lungo tempo di fronte a immagini sacre, si può facilmente notare come i fedeli ortodossi assumano un atteggiamento di maggiore dialogo e interazione con le icone: nella tradizione ortodossa è d'uso, entrando in una chiesa o in una casa, segnarsi di fronte alle icone, baciandole e accendendo di fronte a loro candele e lampade.
In stretta conformità con i decreti del settimo Concilio Ecumenico (Nicea, 787), il cui Sinodico fa parte integrante del culto ortodosso, la venerazione delle immagini sacre è parte integrante della vita di fede, pubblica e privata, dei cristiani ortodossi, che nella loro iconografia hanno un segno di straordinaria continuità con la fede apostolica. Questo forte senso di compenetrazione con le immagini sacre è andato sempre più affievolendosi in Occidente, con una progressiva decadenza verso un'arte naturalistica indulgente al razionalismo e al sentimentalismo, e all'uso dell'immagine come "supporto meditativo".
Il termine, letteralmente "immagine", indica nella tradizione ortodossa le "immagini sante" oggetto di venerazione nel culto cristiano. Il canone figurativo e l’archetipo iconografico, strettamente legati al culto liturgico, vennero fissati nel concilio di Nicea del IX secolo la continuità dei prototipi venne garantita dalla divulgazione dei manuali dei pittori riproducenti modelli, regole tecniche e spirituali necessarie alla corretta replica dei "tipi". In origine l’icona designava ogni tipo di immagine devozionale, comprendendo icone in diverse tecniche materiali derivate dalla tradizione ellenistica. Il modello dell’icona dipinta su tavola di formato rettangolare, ad immagine singola frontale, rimarrà il più usato anche in epoche successive, affiancato da trittici e da nuove forme e soluzioni iconografiche che andarono complicandosi progressivamente. Il ritorno ai prototipi e il ripetersi dei tipi iconografici prestabiliti fu un fattore che durò ben oltre la caduta dell’Impero di Bisanzio (1453).
La pittura di icone storicamente nasce dalla tecnica dell'affresco, ma si è evoluta in maniera abbastanza complessa, soprattutto per la preparazione della tavola, che non deve incurvarsi e deve essere resistente agli agenti atmosferici. La stesura dell'oro sul disegno, fatto a matita e poi inciso con un ago, costituisce lo sfondo. Poi l'artista dipinge servendosi di colori fatti con polveri naturali mescolate al giallo d'uovo. Quando la pittura Х terminata, si applica sulla superficie uno strato protettivo, composto del migliore olio di lino e di varie resine, come l'ambra gialla. Questa vernice imbeve i colori e ne fa una massa omogenea, dura e resistente. Alla sua superficie vengono fissate le polveri, e questo col tempo dà alla massa una tinta scura. Se la si toglie, i colori appaiono al di sotto nel loro splendore originale.
Il luogo liturgico fondamentale delle icone è il tempio e, nel tempio, anzitutto l'iconostasi, cioè la parete che separa i fedeli dal santuario ove si celebra il sacrificio. Di regola gli iconografi sono dei monaci.
Nel mondo slavo e bizantino la contemplazione delle icone aveva (ed ha) un valore salvifico pari a quello della lettura delle Sacre Scritture. Di qui l'accesa disputa passata alla storia col nome di "iconoclastia".
Tre sono le caratteristiche fondamentali di tutte le icone:
1. la luce naturale non ha alcun valore, ma sia essa che tutti i colori terreni sono soltanto luce e colori riflessi; nell'icona quindi non c'è ombra o chiaroscuro; il fondo e tutte le linee, le sottolineature d'oro vogliono proprio significare una luce sovrannaturale;
2. la prospettiva è rovesciata, poichè le linee si dirigono in senso inverso rispetto a chi guarda, cioè è non verso un punto di fuga dietro il quadro, ma proprio verso un punto esterno, che avvicina le linee allo spettatore, dando l'impressione che i personaggi gli vadano incontro (i profili infatti non esistono, se non per indicare i peccatori, nè la tridimensionalità, in quanto la profondità viene data solo spiritualmente, dall'intensità degli sguardi);
3. le proporzioni delle figure, la posizione degli oggetti, la loro grandezza non sono naturali (pesi e volumi non esistono), ma relative al valore delle persone o delle cose: non esiste naturalismo o realismo (cioè è la ritrattistica), ma solo simbolismo.
Il corpo, sempre slanciato, sottile, con testa e piedi minuscoli, è disegnato a tratti leggeri, e il più delle volte segue le linee delle volte del tempio, in quanto la pittura dipende dall'architettura. Tutto comunque è dominato dal volto, perchè è da qui che il pittore prende le mosse. Gli occhi sono molto grandi, fissi, a volte malinconici, sotto una fronte larga e alta; il naso è allungato, le labbra sono sottili, il mento è sfuggente, il collo è gonfio. Tutto per indicare ascesi, purezza, interiorità
Altro aspetto frequente che si trova nelle icone è la simmetria, che indica un centro ideale al quale tutto converge.
In Europa occidentale l'iconografia è rimasta sostanzialmente di tipo bizantino sino a Giotto, cioè sino al momento in cui si è cominciato a introdurre la prospettiva della profondità, il chiaroscuro naturalistico, il realismo ottico, perdendo così progressivamente il carattere misterico e trascendente delle rappresentazioni sacre. Il maggiore rappresentante dell’iconografia russa è senza dubbio Andrej Rublev.
Il DIGIUNO
La Chiesa cattolica, adattandosi ai tempi moderni, ha ridotto i tempi di digiuno ed aumentato il numero di cibi ammessi durante il digiuno. La Chiesa ortodossa ha invece mantenuto le rigide regole della tradizione in tema di digiuno (es. durante la Quaresima. Come per i periodi di digiuno quaresimale, si è visto nella Chiesa cattolica romana un progressivo indebolimento delle regole: con le recenti riforme il digiuno eucaristico si è ridotto a una singola ora di astinenza dai cibi e bevande, eccettuata l'acqua. Nella Chiesa ortodossa, dove l'antica pratica è invece rimasta immutata, per chi desidera comunicarsi nulla può essere mangiato o bevuto dal momento del risveglio al mattino.
In merito ai periodi di digiuno, la tradizione cattolica ha gradualmente soppresso nel tempo i periodi quaresimali di astinenza e di digiuno (tanto da arrivare ai tempi attuali a un precetto di digiuno pressoché simbolico, limitato ai venerdì di Quaresima e al Mercoledì delle Ceneri).
Gli ortodossi, in conformità con i costumi della Chiesa del primo millennio, mantengono tuttora quattro periodi quaresimali:
1- la Grande Quaresima (sette settimane prima della Pasqua, corrispondenti alla quaresima latina)
2- il Digiuno degli Apostoli (dal termine dell'ottava di Pentecoste fino alla festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 Giugno)
3- Il Digiuno dell'Assunzione (i primi 15 giorni di agosto)
4- Il Digiuno di Natale (quaranta giorni, dal 15 novembre al 24 Dicembre)
Inoltre, sono giorni di digiuno e astinenza tutti i mercoledì e i venerdì dell'anno (nei monasteri anche i lunedì), le vigilie delle grandi feste, e alcune festività particolari, come quella dell'Esaltazione della Santa Croce (14 Settembre). Le eccezioni a questi periodi di digiuno sono poche, ed è stato calcolato che nella vita degli ortodossi sono più numerosi i giorni di digiuno di quelli in cui è lecito di cibarsi di ogni cosa.
Un altro aspetto su cui desidero soffermarmi è la simbologia della croce ortodossa.
LA CROCE ORTODOSSA
La croce ortodossa, anche chiamata croce russa, è una variante della croce patriarcale.
La più diffusa nell'Ortodossia è la croce con otto bracci.
Sull'asse centrale (verticale) si trovano tre traverse orizzontali. Quella mediana è grande, per le mani del Cristo crocifisso. La traversa orizzontale superiore ricorda la tavola con la scritta: "Gesù Nazareno, Re dei Giudei". Questa scritta in tre lingue - greco, latino ed ebraico - è stata messa sulla croce di Cristo per ordine di Pilato. Era usanza romana scrivere la colpa del reo su delle tavolette. Nella tradizione ortodossa i piedi di Cristo non sono trafitti con un solo chiodo, come in quella cattolica, bensì con due chiodi, uno per ciascun piede. Come mostrano le ricerche sulla Sindone di Torino così era in realtà. La traversa orizzontale inferiore è per i piedi del Crocifisso. Un capo di essa è un pò rialzato. Questo lato rialzato mostra il cielo, verso cui è diretto il Buon Ladrone, crocifisso assieme a Cristo, l'altro capo invece è diretto verso il basso, verso l'inferno, il posto per l'altro ladrone, quello che non si è pentito.
Molte volte, al di sotto della croce, si può vedere l'immagine del teschio: è la testa di Adamo, che secondo la tradizione fu sepolto sul Golgotha, sotto il luogo dove è stato crocifisso Cristo. Dalla fenditura della roccia sotto la Croce cadde sulla testa di Adamo una goccia del sangue di Cristo ridandogli la vita, ridando la vita a Adamo: uomo e umanità.
Vicino alla croce sono presentati molte volte la Vergine Maria e il discepolo amato da Cristo: l'Apostolo Giovanni. Spesso vengono messi anche gli strumenti di morte di Cristo: la lancia con la quale hanno trafitto il suo fianco, e la canna con la spugna imbevuta d'aceto, che fu data a Cristo dal soldato romano.
A volte si può vedere anche la croce con la mezzaluna. Qualcuno pensa che questo sia il simbolo della vittoria dell'Ortodossia sull'Islamismo. Invece la croce con la mezzaluna è conosciuta molto prima del conflitto tra cristiani e musulmani, è conosciuta già dai tempi della Chiesa primitiva: la forma della croce e quella della luna unite insieme formano un'ancora, simbolo della speranza. La mezzaluna simboleggia anche il calice eucaristico con il sangue di Cristo che redime i peccati dell'uomo. Questi tipi di croce sono messi sui templi dedicati alla Vergine Maria, perchè la mezzaluna è il suo simbolo, e il sole è simbolo di Cristo.
Le tre principali interpretazioni riguardanti la simbologia della croce ortodossa sono:
La prima spiegazione molto pratica adirei, attribuisce alla croce un ruolo di identificazione, la sua funzione principale era di marcare la differenza con le chiese cattoliche che convivevano assieme a quelle ortodosse;
La seconda spiegazione è di natura ontologica, ossia la gloria divina dal cielo si irradia sulla terra;
La terza interpretazione si riferisce alla vittoria del cristianesimo sulla chiesa musulmana ed è raffigurata dal simbolo della musulmana intersecato dalla croce ortodossa.
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