NIKOLAI VASILIEVIC GOGOL
Il maggiore narratore russo del primo XIX secolo è sicuramente Nikolai Gogol (1809-1852). Nonostante le sue opere presentino spesso elementi fantastici, Gogol è considerato liniziatore della prosa moderna russa e della grande stagione del Realismo russo.
Occupa un posto importantissimo nella letteratura russa, non solo per la sua fantasia e per la sua capacità di mostrare la mediocrità umana tramite figure comico-mostruose, ma per la forma assolutamente innovativa della sua prosa che gli valse la stima dei suoi contemporanei e l'ammirazione dei posteri.
VITA
Nikolaj Vasiljevitch Gogol nacque il 20 Marzo ( il 1°Aprile, secondo il nuovo calendario) 1809 a Sorotchintsy, nel governatorato di Poltava, in Ucraina, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Trascorse l'infanzia vicino a Mirgorod, a Vasilevka, una delle proprietà del padre, un brav'uomo dal carattere allegro, appassionato del folklore locale, che si dilettava a scrivere. Quanto il padre era buontempone, tanto la madre di Gogol era pia, severa e intransigente. Gogol, naturalmente attratto dal padre, stimò moltissimo la madre e, in qualche modo, le anime dei genitori si ritrovano in molti tratti della sua opera.
Accade anche ai nostri giorni, che qualcuno si creda uno scrittore e poi si accorga... di non avere fiato. A Gogol accadde invece il contrario, tutto pensava di essere fuor che un letterato, considerava l'arte nient'altro che un gioco.
Si credette dapprima un politico, un riformatore sociale, tanto che lasciò l'Ucraina dov'era nato per trasferirsi a Pietroburgo, e impiegarsi presso un ministero. Ma fu una grama vita, stentava a mettere insieme il pranzo con la cena. Per non sentire il freddo e la solitudine della modesta camera d'affitto buttò giù dei racconti ambientandoli in un'Ucraina al tempo stesso reale e favolosa, rivissuta con nostalgia ironica. Nauseato dalla vita d'ufficio, a un certo punto scappò in Germania, ma spese tutti i soldi e dovette tornare al detestato impiego.
Quando però uscirono i suoi racconti col titolo Veglie alla fattoria presso Dikan'ka, il successo fu grande, e tale da procurare al loro autore amicizie influenti, grazie alle quali ottenne un posto di professore di storia al Collegio delle ragazze nobili. Gogol si esaltò, si credette uno storico, meditò di scrivere ponderose opere (è di quel tempo il romanzo storico Taras Bul'ba, una vigorosa e colorita rievocazione della vita dei cosacchi). Ma Gogol non sapeva parlar bene, timido com'era si sentiva in soggezione quando doveva interrogare le allieve, così dette le dimissioni: "Senza gloria sono salito sulla cattedra, senza gloria ne discendo", scrisse ad un amico.
Tornò alla penna e mentre scriveva I racconti di Pietroburgo si persuase finalmente di essere uno scrittore. Anche questi racconti piacquero molto, vi era descritta una capitale opprimente, ambigua ed emblematica, coi suoi piccoli funzionari, i mediocri intellettuali, un'umanità vinta e avvilita. E' qui, in questi racconti, che fa la sua comparsa quel "riso attraverso le lagrime" tipicamente gogoliano, in cui si mescolano l'ironia, l'umorismo, il grottesco.
In un certo senso Gogol tornò alla primitiva vocazione di riformatore sociale quando scrisse la commedia L'ispettore, una satira della rozza patriarcale società russa. Ma, rappresentata nel 1836, ebbe ostili accoglienze: chi era stato messo alla berlina si offese a morte, ci fu chi disse che i personaggi "erano dei mostri disumani e assurdi".
Fu un brutto colpo per Gogol. Sorprendendo gli amici, lasciò la Russia, riparò in Germania, poi a Parigi dove lo raggiunse la notizia della morte di Puskin (conosciuto a Pietroburgo, e che ammirava molto). Era spaventato dal pensiero di aver commesso un sacrilegio proprio quando aveva inteso compiere un'opera di redenzione.
A Roma giunse il Sabato Santo del 1837 e si sentì subito placato, in pace con se stesso, quasi in stato di grazia. E fu qui che scrisse la prima parte di Le anime morte, l'opera che avrebbe dovuto cancellare il peccato commesso con L'ispettore. Tornò in Russia nel '41 e fu ripreso dalla sua mistica angoscia. I critici russi si domandarono la ragione del grande amore di Gogol per Roma e per l'Italia. La verità era una sola. Gogol amò l'Italia perché amò gli italiani, li amò perché ebbe stima di loro e ne ebbe stima perché li conobbe per averli studiati, per aver studiato la loro letteratura, appresa la loro lingua, per averne capito i difetti, per aver costatato con sorpresa che i nostri peggiori difetti sono spesso le nostre migliori qualità. Gogol, curioso di tutto, parlava con tutti, scrittori e popolani, borghesi e alti porporati, si mescolava alla folla per le vie cittadine, frequentava le osterie di campagna, discuteva ai tavoli del Caffé Greco...
Le anime morte uscì nel '42. Nello stesso anno uscì anche Il cappotto, un racconto che eserciterà una profonda impressione sui narratori russi della generazione futura a cominciare da Dostoevskij. E' la storia di un povero impiegato vittima delle angherie del capoufficio e dei colleghi; con enormi sacrifici riesce a comprarsi un bellissimo cappotto. Lo indosserà con legittimo orgoglio, ma la sua gioia durerà poco, perché il cappotto gli verrà rubato. La sottile arte gogoliana aveva fatto sì che un personaggio minimo diventasse il simbolo di una disperante condizione umana.
Le anime morte, intanto, avevano rivelato la Russia ai russi e la cultura militante e progressista vi aveva visto una denuncia feroce e geniale dei mali della società, ma fu subito delusa dall'atteggiamento di Gogol che, nella corrispondenza con gli amici, rinnegò il significato del suo capolavoro.
Gogol fu nuovamente travolto da una crisi religiosa e partì per la Palestina. Quando ne tornò (1848) volle dare alle fiamme la seconda parte de Le anime morte, che rimane comunque, anche così mutilato, uno dei più straordinari libri della letteratura mondiale. Narra in chiave grottesca le vicende di Cicikov, un possidente russo che compra a vil prezzo i servi della gleba morti, considerati vivi ai fini fiscali, per ottenere a condizioni favorevoli nuove terre.
Più che un romanzo (non vi è un vero intreccio), o un poema (come Gogol l'aveva chiamato) è una collana di racconti, una galleria di persone, accomunati da un itinerario geografico e legati col filo rosso della persona di Cicikov, finché in un capitolo a sé l'autore si decide ad isolare il suo protagonista. Sulla narrazione aleggia un suggestivo trascinante tono di miracolo.
Dopo che il fuoco, in quella drammatica notte, ebbe compiuto, secondo Gogol, la sua opera di purificazione, il grande scrittore poté dormire in pace, una pace che precedette di poco il riposo eterno. Gogol morì a Mosca il 21 febbraio 1852 (il 4 marzo, secondo il nuovo calendario). E' sepolto nel cimitero del Monastero Novodevicij (il monastero è comunemente conosciuto anche come il monastero delle Vergini, perchè vi erano chiuse le monache), a Mosca.
OPERE
I racconti
La sua prima opera pubblicata fu il poema Hans Küchelgarten, stampato a sue spese a Pietroburgo nel 1829. Fu un insuccesso. Nel 1831 uscì la prima parte di Veglie alla fattoria presso Dikan'ka: fu il suo vero ingresso nel mondo letterario pietroburghese. Nel 1832 è la seconda parte, e la fama. "Veglie" è una raccolta di racconti ispirati al folklore, alle leggende e al mondo fantastico ucraino, trasformato nella fantasia gogoliana in utopistico universo semplice e spensierato, dove i rapporti umani hanno serenità, immediatezza, armonia.
Nel 1835 uscirono quasi contemporaneamente altre due raccolte: Mirgorod e Arabeschi.
Mirgorod comprende quattro racconti, è il seguito del discorso iniziato con Veglie, ma il tono è completamente cambiato. L'uomo non è più libero e sereno, è calato nella storia, si scontra con la realtà sociale e i suoi conflitti, perde la spontaneità dei rapporti primordiali. Uno dei racconti è Taras Bul'ba: siamo nell'Ucraina del XV secolo devastata da tartari e turchi, signoreggiata dai polacchi.
I seminomadi cosacchi hanno dato vita alle orde guerriere degli Zaporoghi. Uno dei capi è il bellicoso Taras Bul'ba che insieme ai figli Ostap e Andrea guida con altri cosacchi l'assedio alla città di Dubno, per rappresaglia dopo recenti saccheggi polacchi. Sotto Dubno, Ostap è catturato e deportato a Varsavia: al suo orribile supplizio assiste non visto il padre, che giura vendetta: riesce a sollevare tutti i cosacchi, e semina la strage fino a Cracovia.
Lo ferma il generale Potocki che lo condanna al rogo. Tra gli altri personaggi del racconto, quello del riflessivo comandante cosacco Kirdjaga.
Arabeschi riunisce saggi critici e tre racconti: La prospettiva Nevskij, Diario di un pazzo, e la prima redazione de Il ritratto. Essi saranno poi riuniti dopo la morte di Gogol sotto il titolo comune di Racconti di Pietroburgo. Gogol arriva alla radice vera del male, della corruzione, dell'infelicità umana. E' la città con la sua ambiguità, le sue apparenze pompose e le sue realtà disperate. I piccoli impiegati pietroburghesi si scontrano con una macchina spietata che li stritola: la burocrazia, il grado, a cui tutto viene sacrificato e da cui tutto dipende: felicità, salute, ricchezza. L'unico modo per sottrarsi a questo scontro intollerabile è la morte (Il ritratto) o la follia (Diario di un pazzo): solo così si può rivendicare il proprio diritto di esseri umani.
Oltre ai tre racconti di Arabeschi, fanno parte dei Racconti di Pietroburgo anche Il naso e Il calesse, usciti nel 1836 sulla rivista «Il Contemporaneo» (diretta da Puskin). E Il cappotto, pubblicato per la prima volta nel 1842 (nel terzo volume delle opere).
Il naso è la storia dell'assessore collegiale Kovalev che una mattina si sveglia senza naso. Esce imbacuccato e vergognoso per la sua solita passeggiata, incontra il proprio Naso in alta uniforme da consigliere di stato, che con alterigia lo respinge e si allontana. Dopo molti tentativi di rintracciarlo, e molte congetture sull'autore del singolare furto, un gendarme riporta a Kovalev il Naso, acciuffato mentre tentava di espatriare. Un medico cerca invano di riappiccicare il Naso al suo posto. Il problema è risolto dal Naso stesso che spontaneamente ritorna sulla faccia di Kovalev.
Il racconto è pieno di macchiette: tra queste, il barbiere Ivan Jakovlevic che trova il Naso in un panino all'inizio del racconto.
Il cappotto, scritto da Gogol nel 1837, è la storia di Akakij Akakievic Basmackin, uomo mite e solitario, bersaglio favorito dei colleghi d'ufficio, che lavora alla copiatura delle lettere in una divisione ministeriale.
E' tanto povero che deve affrontare un anno di privazioni prima che il sarto Petrovic gli possa fare un bel cappotto nuovo. La felicità di sfoggiarlo dura un solo giorno: viene assalito per strada la sera stessa e derubato del cappotto.
La polizia lo accoglie male, il 'pezzo grosso' cui si rivolge perché si interessi al suo caso lo scaccia, una colletta tra i colleghi va a vuoto.
Akakij muore dopo pochi giorni di disperazione e di freddo. Ma il suo fantasma, che ha acquistato l'aggressività che gli era mancata in vita, comincia a vagare per le vie di Pietroburgo strappando i cappotti ai passanti (compreso al 'pezzo grosso').
Le commedie
Nel 1836 andò in scena a Pietroburgo L'ispettore. Scritta in pochi mesi, fu la prima commedia che Gogol portò a termine. Siamo in una città di provincia. Il podestà Skvoznik-Dmuchanovskij è informato del prossimo arrivo di un ispettore del governo, probabilmente in incognito.
I corrotti notabili del paese, il giudice Ljapkin-Tjapkin, il direttore scolastico Chlopov, Zemljanika sovrintendente alle opere pie ecc., scambiano per il misterioso ispettore un giovane impiegato pietroburghese, Chlestakov, di passaggio in città.
Chlestakov è invitato a casa del podestà, soffocato di omaggi, allettato da offerte di denaro prima timide e poi sfacciate. Capisce l'equivoco, aiutato dal servo Osip che, nelle situazioni pratiche è più astuto del padrone, e sfrutta più che può la situazione. Parte proprio prima che l'ufficiale postale apra, per inveterata abitudine, una sua lettera, scoprendo l'inganno. Intanto, viene annunciato l'arrivo del vero ispettore.
Nel 1833 aveva cominciato Vladimir di 3° grado, rimasta incompiuta e trasformata in una serie di atti unici: Il mattino di un uomo d'affari, Il processo, La stanza dei servitori, Frammento (vedi edizione delle opere del 1842).
Del 1833 è l'abbozzo di commedia I fidanzati, che più tardi rielaborò con il titolo di Il matrimonio. Essa uscì insieme alla commedia breve I giocatori nel 1842.
Il teatro gogoliano riprende il discorso dei racconti pietroburghesi. Non è l'uomo a essere malvagio ma la società che lo rende così. Non è Chlestakov a spacciarsi per ispettore ma la corrotta burocrazia della piccola provincia russa a imporgli quel ruolo. Alla fine c'è sempre il rovesciamento: arriva il vero ispettore, fugge il fidanzato ne Il matrimonio, si scopre l'inganno dei bari ne I giocatori". Una specie di moralità che porta alla punizione dei colpevoli, o per lo meno allo smascheramento dell'inganno. Attraverso il riso Gogol vuole indicare ai contemporanei una strada per modificare, rimuovere, correggere l'ingiustizia, il sopruso, la violenza che domina l'esistenza.
Le anime morte
In viaggio per l'Europa iniziò a scrivere "Le anime morte", a cui si dedicò soprattutto durante il soggiorno romano. L'idea era quella di comporre un poema in tre canti, di tipo dantesco: la prima parte avrebbe dovuto rappresentare l'inferno, cioè la situazione contemporanea di violenza e corruzione; poi un purgatorio (rimasto incompiuto e distrutto dall'autore) e un ipotetico paradiso dove si sarebbero messi in luce gli aspetti positivi della Russia. Il primo volume uscì nel 1842, suscitando l'entusiasmo della critica e del pubblico.
La storia è quella di Pavel Ivanovic Cicikov che viaggia attraverso la Russia comprando a poco prezzo le «anime morte», cioè i nomi dei contadini («anime» nella Russia zarista) morti dopo l'ultimo censimento e sui quali i proprietari erano tenuti a pagare la tassa governativa fino al censimento successivo. Il suo piano è quello di servirsi di quelle «anime» vive solo per legge, per ottenere le assegnazioni di terre concesse a chi dimostrava di possedere un certo numero di servi della gleba.
Il romanzo è un vasto affresco della Russia rurale e provinciale: proprietari, case, locande, cocchieri, contadini, notabili di provincia. Spiccano tra i molti personaggi i proprietari con cui Cicikov tratta: lo sdolcinato pigro e distratto Manilov, la vecchia avida e calcolatrice Korobocka, l'invadente beone e mitomane Nozdriov che è l'unico che intravede la truffa e non gli vende le «anime morte», Sobakevic uomo alla buona ma accorto negli affari, l'avarissimo Pliuskin. Cicikov riesce a passare a un certo punto per milionario nella piccola città dove dimora, viene adulato, vezzeggiato, ogni porta gli è aperta. lentamente affiora la verità e Cicikov si affretta a partire.
Della seconda parte rimangono solo frammenti, in cui meno fosco è il quadro dei difetti e dei vizi russi.
Il filo conduttore di tutto il romanzo, come di tutta l'opera gogoliana, è l'ossessione, l'orrore per la forza demoniaca del denaro, capace di far fare qualsiasi cosa agli uomini. I personaggi sembrano non avere speranza di salvezza e neppure di aiuto. La loro cristallizzazione è compiuta.
Ne deriva il giudizio d'insieme sulla società russa del tempo, che diventa simbolo della società umana: tutto concorre a impedire lo sviluppo delle autentiche qualità dell'uomo, tutto determina e accelera il processo di degenerazione spirituale cui l'uomo è già per sua natura predisposto.
Tutta l'opera è accompagnata da un motivo costante, già presente con forza lirica nelle Veglie: la descrizione precisa, lucida, ma anche commosso e esaltata, della terra russa: senza un nome di città o di villaggio, una specie di sconfinato rifugio dalle meschinità e dalle miserie degli uomini.
Le ultime opere
Pochi mesi dopo il primo volume de Le anime morte, Gogol fece uscire i quattro volumi delle Opere (1842).
Nonostante il consenso di lettori e critici, la sua salute psichica e fisica erano ormai compromesse. Cercò di riprendere il lavoro sul secondo volume de Le anime morte, angosciato dal bisogno di trasformare il proprio lavoro di scrittore in missione redentrice, capace di risvegliare le forze spirituali del lettore. Insoddisfatto di quanto scritto, nel 1845 bruciò il manoscritto del secondo volume.
Pubblicò Brani scelti della corrispondenza con gli amici (1846): raccolta di pensieri, osservazioni e massime letterarie, piene di moralismo sermoneggiante e con la preoccupazione ossessionante di agire in senso edificante sul lettore. La reazione della critica radicale, che fino ad allora aveva visto in lui il più coraggioso esponente della letteratura non allineata, fu violenta: Belinskij scrisse una famosa lettera aperta dove denunciò l'involuzione dello scrittore e la sua assunzione di posizioni filo-ortodosse e filo-zariste.
GOGOL E SAN PIETROBURGO
La statua di Gogol
A San Pietroburgo, nella Malaya Konyushennaya Ulitsa, cè una statua dello scrittore Gogol, opera dello scultore Mikhail Belov e donata alla città nel 1998. Dedicandosi a questopera, Belov si è innamorato dellaffascinante personalità di Gogol e si è ritrovato nella visione pessimistica della vita che aveva lo scrittore. Forse è per questo che il Gogol rappresentato sembra triste e perso nei suoi pensieri
Il naso di Gogol
Poteva, in questa città mancare una scultura dedicata al naso? Assolutamente no! Il gigantesco naso, in marmo rosa, spicca allangolo della piazza dove, si racconta, vivesse la donna uccisa in Delitto e castigo, . Una lastra ricorda che non si tratta di un naso qualsiasi ma quello del maggiore protagonista della celebre novella di Gogol
GOGOL E LITALIA
Monumento a Roma
In Viale Bernardotte a Roma cè unimponente statua bronzea realizzata dallo scultore Zurab Zereteh e donata dal Governo russo alla città di Roma nel 2002.
Citazione
io posso scrivere della Russia solo stando a Roma.
Solo da lì essa mi si erge dinanzi
in tutta la sua interezza, in tutta la sua vastità
(Gogol)
La Biblioteca "Gogol"
Nel 1902 la colonia russa a Roma volle celebrare degnamente il cinquantesimo anniversario della morte dello scrittore. Malgrado fosse diventata la capitale del nuovo Stato italiano unificato, la città non aveva ancora subito radicali cambiamenti e era possibile seguire facilmente le «tracce» lasciate da Gogol.
Venne scoperta una lapide bilingue sulla facciata della casa di Via Sistina in cui Gogol aveva abitato e composto Le anime morte e si tenne una solenne manifestazione a Villa Wolkonsky, dove spesso lo scrittore si era recato in visita dalla padrona di casa, la principessa Zinaida Volkonskaja. Al termine di questa manifestazione venne raccolta una rilevante somma di denaro destinata alla creazione di una biblioteca russa a Roma, che venne inaugurata nel novembre dello stesso anno in Via San Nicola da Tolentino col nome di "Biblioteka-Èital'nja imeni Gogolja" (Biblioteca-Sala di lettura "Gogol"). Nasceva così la prima biblioteca russa in Italia. Inizialmente i libri provennero da donazioni private e dai preziosi volumi del "Club dei pittori russi". Ma appena si diffuse la notizia che a Roma esisteva questa biblioteca, le principali case editrici russe cominciarono a inviare le loro pubblicazioni.
Nel 1905 la Biblioteca si costituì in Associazione e nel corso dell'assemblea dei soci venne eletto un comitato direttivo. L'anno successivo l'assemblea generale della colonia russa di Roma nominò una Direzione, tra i cui membri i soci della Biblioteca nella loro assemblea annuale potevano scegliere il Comitato della biblioteca.
Nel 1907 la Biblioteca venne trasferita prima in via Gregoriana e poi in Via delle Colonette, n. 27, in quello che era stato lo studio del Canova: «questo antico palazzo (...), situato in una via pittoresca dell'antica Roma, era molto adatto per ospitare una biblioteca russa. (...) La Biblioteca russa restò in questa casa-museo più di sessanta anni, fino al 1969».
Nel 1912 la quota associativa annuale ammontava a 15 lire, mentre l'abbonamento mensile costava 2 lire per prendere in prestito un libro e 3 lire per prenderne due. D'inverno la Biblioteca era aperta dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 22, d'estate (da maggio a ottobre) dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 20.
Nel 1913, su iniziativa di Maksim Gor'kij, nei locali della Biblioteca dell'Associazione "L.N. Tolstoj", si tenne a Roma il primo Congresso delle Associazioni culturali ed economiche russe. I russi presenti in città ammontavano allora a circa una cinquantina, fra cui molti studenti. E' probabile che tutti frequentassero la "Gogol". Di certo vi capitava Michail Osorgin, giornalista russo, di cui proprio in quell'anno venne pubblicato il volume Oèerki sovremennoj Italii (Schizzi dell'Italia contemporanea).
Fino al 1914 la Biblioteca svolse un'intensa attività culturale, ospitando conferenze, concerti e mostre. Gli eventi bellici e lo scoppio della rivoluzione russa provocarono un'inevitabile crisi, dovuta inizialmente al ritorno in patria di alcuni esponenti della colonia russa e alle difficoltà di comunicazione, poi alla mutata situazione politica in Russia.
Se la rivoluzione di febbraio era stata salutata con favore anche da alcuni esponenti della colonia russa, la vittoria dei bolscevichi venne accolta molto negativamente. Sebbene siano proprio questi gli anni in cui cominciano le prime serie difficoltà della Biblioteca e la sua lotta per la sopravvivenza, e' anche vero che la "Gogol"comincia ad acquistare una fisionomia nuova: non e' più soltanto il punto di riferimento di un nucleo più o meno consistente di russi che si trovano a vivere o a soggiornare a Roma, ma diviene l'erede di una tradizione storica che si assume il compito di tramandare, da un lato mantenendo fede ai valori della vecchia Russia, dall'altro testimoniando l'attività dei tanti emigrati che da Parigi, da Berlino, da Praga, da Sofia, da Belgrado tentavano di opporsi all'Unione Sovietica.
In Italia sono gli anni del fascismo, ma anche della nascita dell'Istituto per l'Europa Orientale (I.p.E.O.) e dell'istituzione delle prime cattedre di slavistica nelle Università: la "Gogol" prosegue il suo tormentato cammino, sebbene la colonia russa si assottigli sempre di più, anche per colpa del regime, con inevitabili ripercussioni sulle entrate della Biblioteca. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la "Gogol" non subisce lo stesso destino della biblioteca russa di Parigi, la Biblioteca "Turgenev", depredata dai nazisti, ma sopravvive quasi nascosta e silenziosa.
Nel secondo dopoguerra si assiste al repentino fiorire di un nuovo interesse nei confronti dell'Unione Sovietica e della cultura russa. Aumenta il numero degli studenti che studiano la lingua e la letteratura russa e nel corso del tempo si moltiplicano anche le cattedre universitarie. Il patrimonio della "Gogol" diventa sempre più prezioso per chi si voglia avvicinare allo studio del mondo russo e la Biblioteca diventa una sorta di punto di riferimento per chi desideri conoscere da vicino gli usi e i costumi di una Russia ormai scomparsa.
Paradossalmente, però, quanto più la biblioteca diviene famosa in tutta Italia per la sua unicità, tanto più diminuiscono i mezzi di sussistenza. Peraltro la storica sede della Biblioteca nello studio del Canova necessita di costosissimi lavori di ristrutturazione. Nel 1969 i locali vengono dichiarati inagibili e si paventa una possibile definitiva chiusura della Biblioteca, che viene, però, salvata da un «miracolo inatteso»: un munifico «benefattore» americano risponde all'appello lanciato per salvare la Biblioteca e comincia a inviare regolarmente un contributo in danaro.
Questo aiuto insperato permette di trovare una nuova sede prestigiosa in un bell'appartamento in Piazza San Pantaleo, dove nel 1972 la Biblioteca può festeggiare i settanta anni dalla sua fondazione, proprio nel momento in cui una nuova ondata di emigrati, soprattutto di origine ebrea, si riversa in Occidente. La Biblioteca sembra trovare una sua seppure precaria stabilità e accoglie una gamma variegata di utenti. Si tenta anche di dare alla Biblioteca una nuova struttura gestionale: nasce l'Associazione "Gogol", in cui ai membri superstiti della colonia russa si aggiungono anche docenti italiani di discipline slavistiche.
Agli inizi degli anni Ottanta, però, l'appartamento che ospita la Biblioteca viene reclamato dai proprietari che intimano lo sfratto. Si riesce a ottenere delle proroghe, non bastevoli, però, a trovare una soluzione definitiva tanto che alla vigilia dell'inevitabile abbandono della sede, si scopre che, di nascosto, si sta tentando di trasferire all'estero l'intero patrimonio librario della Biblioteca. Grazie all'immediato intervento di alcuni docenti italiani, si riesce a bloccare questa operazione e il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali decide di notificare la "Gogol" in data 31 ottobre 1984.
E' l'inizio di una lunga odissea. Lo sfratto esecutivo costringe a trovare soluzioni provvisorie, mentre a seguito dello 'scandalo' il «benefattore» americano interrompe le sue donazioni. La "Gogol", rinchiusa in delle casse, viene sistemata in alcuni scantinati dell'Istituto di Studi Romani, dove rimane depositata per tre anni, senza che nessuna cassa venga aperta, malgrado la Regione Lazio abbia stanziato dieci milioni per la catalogazione del fondo. Scaduta la convenzione con l'Istituto, si decide di trasferire la Biblioteca nello scantinato della Chiesa russa di Via Palestro. Si tratta di cinque locali di diversa ampiezza, attrezzati con scaffalature metalliche o di legno. Malgrado dei lavori di sistemazione, lo scantinato si presenta in uno stato di sostanziale abbandono: polveroso d'estate e umido d'inverno e' assolutamente inadatto a ospitare una biblioteca. I muri sono scrostati, l'intonaco fatiscente. Non mancano nemmeno i topi. Nonostante ciò si continua a sperare che la Biblioteca possa in qualche modo riaprire, come testimonia il fatto che i libri vengono ricollocati secondo la suddivisione tematica precedente: arte, filosofia, letteratura (opere e critica letteraria), teologia, storia, traduzioni in russo di classici stranieri, collezioni di periodici.
Ma la mancanza di personale e l'assoluta carenza di finanziamenti rendono impossibile qualsiasi ragionevole soluzione. L'Associazione "Gogol" non e' in grado di sostenere gli oneri finanziari di una possibile riapertura e, per altro, anche l'ospitalità da parte della Chiesa russa è da ritenersi provvisoria. Si comincia a ventilare l'ipotesi che la Biblioteca possa essere ceduta dall'Associazione "Gogol" per venire inglobata in altre raccolte.
Comincia a questo punto l'attività di mediazione della Sezione Lazio dell'Associazione italiana biblioteche. Una mediazione non facile perché e' necessario trovare un'istituzione bibliotecaria che sia disponibile a ospitare l'intero fondo e un finanziamento che possa consentire l'acquisizione della Biblioteca. Per di più la Regione Lazio chiede all'Associazione "Gogol" di utilizzare lo stanziamento erogato per la catalogazione o di restituirlo pagando la dovuta penale. Il primo intervento della Sezione, pertanto, si sostanzia nella schedatura di 1.200 volumi, testimoniata anche da un catalogo a stampa, in modo da soddisfare la richiesta della Regione Lazio che, peraltro, grazie alla preziosa opera dell'allora soprintendente Nicoletta Campus, si dice anche disponibile a erogare trenta milioni per l'acquisizione del fondo. A questo punto bisogna trovare gli spazi per ospitare la Biblioteca: Paolo Veneziani dà la disponibilità della Biblioteca Nazionale Centrale "Vittorio Emanuele II", che ha già accolto, con un'operazione del tutto analoga, la Biblioteca dell'Associazione Italia-URSS. Unica condizione è che i volumi vengano preventivamente sottoposti a una disinfestazione, del cui finanziamento, grazie all'intercessione di Nicoletta Campus, si fa carico direttamente il Ministero dei Beni Culturali.
Intanto l'Associazione "Gogol" viene definitivamente sciolta e la sua liquidazione consente la vendita della Biblioteca. Dopo altri lunghi mesi necessari all'attribuzione dei finanziamenti, all'espletamento della gara di disinfestazione e all'effettuazione dei lavori, finalmente il 9 aprile 1998 la Biblioteca "Gogol" e' stata trasferita dallo scantinato della Chiesa russa nei magazzini della Biblioteca Nazionale.
Le donne
Nel 1847 Gogol si è fermato a Napoli. E stato colpito non solo dai paesaggi romantici ma sopratutto dalla bellezza mediterranea delle donne. Ecco che cosa racconta: Le paesane italiane sono more, brillanti, con degli enormi occhi neri, sono vestiti di rosso pungente e con i fazzoletti bianchi come la neve.
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