0

SanPietroburgo.it s.r.l. - Via San Senatore n. 2 - 20122 Milano - Tel: 02-867211 / 02-84256650 - Fax: 02-700434094

ORARI APERTURA:
LAVORIAMO IN SMARTWORKING, CONTATTATECI VIA WHATSAPP. +39 327 3288498 O PER EMAIL
. IN UFFICIO RICEVIAMO SU APPUNTAMENTO.
RILASCIAMO TUTTI I TIPI DI VISTI PER LA RUSSIA E ORGANIZZIAMO TUTTI I TOUR PRESENTI NELLE OFFERTE

Home       Chi Siamo      Newsletter      Offerte       Area Downloads       Scarica il catalogo       Contatti

Tour individuali in hotel
Tour di gruppo in hotel
Viaggi in Camper
Viaggi a Samarcanda
Crociere Fluviali in Russia
Viaggi in moto
Transiberiana
Viaggi di Nozze in Russia
Viaggi in Cina
  Tour Georgia e Armenia
Viaggi di istruzione
Studiare Russo
  Visti per la Russia
  Altri visti
  Voli per la Russia
  Prenotazione Hotel
  Appartamenti
  Treni russi
  Vendita immobili
  Notti Bianche
  Hermitage
  Rivoluzione russa 1917-2017
  Auto d'epoca
  Anello d'Oro
  Cultura
  Vivere SPB
  Foto Gallery
  Saintpetersbourg.net
  Salento Viaggi Vacanze
  Appartamenti Otranto
  Scambio link




Da 1290 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

valida fino al

31/07/2022

Da 1190 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

valida fino al

31/05/2022

Da 1490 euro

valida fino al 30/06/2020

Da 2040 euro

valida fino al 31/10/2024

Da 1190 euro

valida fino al

31/05/2022

   Da 1190 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

valida fino al

31/05/2022

   Da 1190 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

valida fino al

31/05/2022

1490 euro

valida fino al

30/06/2020

2040 euro

valida fino al

31/10/2024

1290 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

fino al 31/07/2022

1190 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

fino al 31/05/2022

790 euro - tutto compreso!

offerta tutto compreso

fino al 30/04/2024

1190 euro (PRENOTAZIONE ENTRO IL 31.05)

fino al 31/05/2022

790 euro - tutto compreso!

offerta tutto compreso

fino al 30/04/2024

Scopri tutte le nostre offerte del mese!


Cultura a San Pietroburgo
Letteratura russa Musica e teatri Musei Architettura
La musica russa Chaikovskij Glinka Musorgskij
Rimskij-Korsakov Borodin Rubinstein Balakirev
Shostakovich Stravinskij Teatri a San Pietroburgo Ballerini famosi

 

MODEST PETROVICH MUSORGSKIJ

MODEST PETROVICH MUSORGSKIJ

Modest Petrovich Musorgskij (nato il 21 marzo 1839, morto 28 marzo 1881) era un compositore dello stile romantico, da ricordare come un compositore del "Gruppo dei Cinque" (compositori che nella loro musica lasciavano un impronta nazionale, anche nazionalista, intesa come scoperta delle musiche russe e del loro impatto sulla cultura nazionale ).

Era destinato ad una carriera militare, ma il suo interesse principale era la musica, segui quindi questa sua passione anche se essa gli procurò una vita misera. I suoi brani, come vuole il romanticismo, esprimono l'inquietudine dell'uomo, le sue opere sono state sempre abbastanza macabre e tristi (da ricordare: Canzone e danza dei morti o Una notte sul Monte Calvo).

Il suo progetto di maggior valore è stato il Pictures at an Exhibition ("Quadri di un'esposizione"), una descrizione musicale che Musorgski dà a dei quadri dell'artista Victor Hartman, orchestrata anche dal famoso Maurice Ravel, l'autore del celebre Bolero.

 

 

 

 

 

 

VITA DI MODEST PETROVICH MUSORGSKIJ

Modest nacque a Karevo nel 1839, figlio di un ricco proprietario terriero: fu avviato alla carriera militare, ma continuò nel contempo a studiare pianoforte con Anton Herke, il più famoso insegnante di Pietroburgo; dal 1856 si dedicò completamente alla musica.

Nel 1856 iniziò a frequentare l'ambiente da ufficiale, e conobbe il musicista Dargomyzskij: quest'ultimo gli consentì di venire a contatto con il gruppo di musicisti in seguito noto come "gruppo dei cinque" o "Russian Five" che, con la sua partecipazione, si impegnò a cambiare le caratteristiche della musica composta in Russia. I musicisti furono Cui, Borodin, Balakirev e Rimskij-Korsakov; in particolare Balakirev fu anche suo maestro di composizione.

Nel 1861, però, in seguito all'approvazione della legge che abolì la servitù della gleba, il suo reddito si ridusse notevolmente, e fu costretto ad abbandonare la vita in città, troppo dispendiosa, e a ritirarsi in campagna. Questo passaggio fu fondamentale per lo sviluppo della sua creatività musicale: il contatto più diretto con i canti e le danze popolari della sua terra segnò in maniera indelebile la sua produzione.

Nel 1863, essendo sopraggiunte altre difficoltà economiche, accettò un impiego presso un ufficio governativo.
Dopo la morte della madre, con la quale aveva avuto un rapporto molto intenso, cominciò ad aumentare il consumo di alcol.

Dal 1867, dopo aver abbandonato l'impiego, si dedicò completamente ai suoi lavori musicali, di compositore e concertista: il vizio dell'alcol, purtroppo, lo portò a un rapido degrado fisico, quindi al ricovero in ospedale e alla morte avvenuta nel 1881.



OPERE

La musica di Musorgsky fu molto in anticipo sul suo tempo, sia sul piano ritmico che quello armonico: in particolare nei fraseggi vocali e strumentali si riscontra la tendenza a riprodurre le inflessioni del parlare quotidiano della lingua russa.

La sua musica
, comunque, non fu sufficientemente apprezzata dalla critica ufficiale a lui contemporanea, ed alcuni eventi personali (in particolare la scomparsa della madre e della donna amata), lo fecero precipitare in uno stato depressivo e favorirono la tendenza all’alcolismo. In seguito ad un attacco epilettico, a solo quarantadue anni, morì nella solitudine in un ospedale militare. Sembra che, in punto di morte, Mussorgskij abbia pronunciato la drammatica frase "Tutto è finito, il dolore sono Io!".

Le sue opere Boris Godunov (1869), Kovancina (1880, incompiuta) e La fiera di Sorocinski (1880) appaiono oggi felicissime invenzioni musicali. Mussorgski compose anche affascinanti pagine per canto e pianoforte, tra cui i tre cicli di liriche La camera dei fanciulli (1868-1872), Senza sole (1874) e i Canti e danze della morte (1875-1877), oltre a numerosi lavori corali e strumentali, fra i quali Una notte sul monte Calvo (1867) e Quadri di un'esposizione (1874), orchestrata da Ravel nel 1922.

 

 

Boris Godunov MussorgskyBoris Godunov


librettodi Modest Mussorgsky, dalla tragedia omonima di Aleksandr Puskin e dalla Storia dello stato russo di Nikolaij Karamzin

Dramma musicale popolare in un prologo e quattro attiPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 27 gennaio [8 febbraio] 1874 Personaggi:
Boris Godunov, zar di Russia (B); Fëdor (Ms) e Ksenija (S), suoi figli; la nutrice di Ksenija (A); il principe Vasilij Sujskij, boiaro (T); Andrej Scelkalov, segretario della duma (Bar); Pimen, monaco e cronachista (B); il pretendente Grigorij, novizio affidato a Pimen (T); Marina Mniszech, figlia di un nobile polacco di Sandomir (Ms); Rangoni, gesuita (B); Varlaàm (B), Misail (T), vagabondi ex monaci; l’ostessa della taverna al confine lituano (Ms); l’Innocente (T); Nikitic, guardia (B); un ufficiale di polizia (B); Mitjucha, uomo del popolo (Bar); un boiaro di corte (T); Chruscov, boiaro (Bar); Lavickij, Cernikovskij, gesuiti (Bar); boiari, Strelcy, soldati, guardie, nobili polacchi, ragazze di Sandomir, pellegrini erranti, popolo di Mosca, monelli, vagabondi
________________________________________

Pietra miliare della scuola russa, destinata a influenzare una larga parte del Novecento europeo, Boris Godunof , nelle due versioni ‘autentiche’ moltiplicate dalle revisioni, è anche il prototipo del moderno ‘work in progress’. Il suo lungo e complicato cammino inizia nel settembre del 1868 in casa della sorella di Glinka, la ‘dolce colomba’ Ljudmila Sestakova che, dopo la morte del fratello, raduna attorno a sé gli artisti e gli intellettuali della nuova generazione, impegnati a realizzare una cultura autenticamente russa. In questo ambiente culturalmente e umanamente elevato, Vladimir Nikolskij, storico e studioso di Pushkin, richiama l’attenzione dell’amico Musor sul dramma della follia e della morte dello zar Boris, vergato dal sommo poeta nel 1825. Il suggerimento provoca un vivo interesse: come incoraggiamento, la Shestakova invia a Musorgskij il volume di Puskin, inserendo tra le pagine stampate alcuni fogli bianchi. Musorgski non tarderà a usarli producendo, in un quadriennio, le due versioni del suo capolavoro. Quando riceve dalla vecchia amica il prezioso testo, arricchito dai fogli candidi, il musicista non ha ancora trent’anni: ha studiato con Balakirev, si è liberato dalla sua tutela e si è lanciato alla ricerca di uno stile nazionale e popolare, lontano sia dall’opera italiana cara all’aristocrazia sia all’opera tedesca coltivata dagli occidentalisti. La produzione di liriche e l’esempio di Dargomyzskij l’hanno condotto a scoprire la potenza della parola, la ‘verità’ dei personaggi, delle situazioni, del linguaggio. Elementi da contrapporre alla mera ‘bellezza’, a tutto ciò che suona soltanto melodico e piacevole, atto a cullare l’immaginazione anziché a stimolarla. In un’ottica tanto diretta – egli stesso si definisce un cavallo lanciato in un’unica direzione – la rilettura della tragedia di Pushkin è determinante. Nella vicenda, elaborata dal poeta sulla scorta del decimo e dell’undicesimo volume della Storia dello stato russo di Nikolaij Karamzin, il musicista trova la materia necessaria a un autentico ‘dramma popolare’: un dramma di cui l’uomo russo – frate spretato, boiaro o zar – sia protagonista. Mussorgsky
L’epoca (tra il 1598 e il 1605) è tra le più fosche dello stato moscovita. Morto Ivan il Terribile nel 1584, restano due eredi: il maggiore, Fedor, figlio di primo letto, e un bimbo di due anni, Dmitrij, nato dall’ultimo matrimonio dello zar (il settimo, pare) con Maria Nagaja. La corona toccò a Fiodor, sebbene fosse debole di cervello. I sudditi lo chiamavano affettuosamente durak , ‘imbecille’, lodandone la mitezza e la religiosità. «Regnava meglio con la preghiera che con l’intelligenza», si diceva. Occorreva perciò un reggente per gli affari di stato. E questi fu, dopo un breve interregno, Boris Fedorovic Godunov, uomo di notevole carattere e abilità, che lo stesso Ivan aveva avvicinato al trono dando in moglie a Fiodor la sorella di Boris, Irene. L’alta posizione doveva provocare invidie e malcontenti, soprattutto fra i boiari che, domati da Ivan, speravano di rialzare il capo sotto il figliolo deficiente. Non mancarono le congiure, ed è ovvio che qualcuno pensasse di richiamare il piccolo Dmitrij, prudentemente allontanato assieme alla madre nella lontana città di Uglic. I progetti, comunque, sfumarono quando il ragazzo morì a nove anni, il 15 maggio 1591, con la gola squarciata da un coltello. Chi aveva inferto il colpo mortale? Un’inchiesta ordinata dallo zar Fedor e da Boris Godunof stabilì che Dmitrij, notoriamente epilettico, si era ferito durante una crisi con un coltello da lui stesso impugnato. Numerose testimonianze giurate, raccolte da Vasilij Suiskij, convalidarono la versione. I nemici di Boris sostennero invece che i testimoni erano stati corrotti o intimiditi per coprire il reggente assassino che, con la scomparsa del fanciullo, si sarebbe assicurata la successione. Questa, in realtà, era ancora lontana. Nel 1591 Fiodor, per quanto debole di mente, era forte di corpo, tanto che visse fino al 1598, in pieno accordo con il reggente e con la moglie Irene, da cui ebbe anche una bimba. L’accusa risuonò ancora più forte quando Boris, cinta la corona, riprese da zar la politica di Ivan diretta all’unità dello Stato. Tutti si rivoltarono: boiari e plebe all’interno del paese, mentre alle frontiere malsicure i polacchi e la chiesa cattolica attendevano l’occasione per smembrare il regno e abbattere la fede ortodossa. In questa situazione, la voce dell’assassinio dello zarevic riemerse con una fantasiosa variante: Boris aveva tentato ma fallito il colpo; il bimbo, salvato e cresciuto sotto falso nome, era vivo. La riapparizione avviene in Polonia dove il falso Dmitrij (forse un novizio fuggito da un convento), proclamatosi figlio di Ivan, ottiene la mano dell’ ambiziosa Marina Mniszech, figlia del voivoda polacco di Sandomir, raduna un esercito di profughi russi, nobili polacchi e avventurieri e, con la benedizione del pontefice Clemente VIII, parte alla riconquista del regno. L’improvvisa morte di Boris a soli 53 anni, nell’aprile 1605, fece precipitare la situazione. I generali russi passarono al pretendente, che venne incoronato. Il primogenito di Boris, Fedor, fu assassinato, mentre Ksenija, «la colomba pura», diventata la concubina dell’usurpatore, morirà in convento nel 1622. Dmitrij, a sua volta, venne fatto a pezzi dopo un anno di regno (e le sue ceneri sparate da un cannone) quando i russi si ribellarono alla sopraffazione polacca e cattolica. Si salvò Marina, per lanciarsi in un’avventurosa esistenza unendosi a un secondo e poi a un terzo falso Dmitrij, apparsi e scomparsi, mentre sul trono di Mosca si succedevano Vasilij Shujskij, il re di Polonia Sigismondo e infine Michele Romanov, fondatore della dinastia regnante fino al nostro secolo. Della torbida vicenda, Puskin coglie il nodo centrale, secondo l’interpretazione del grande storico cui rende un reverente omaggio sul foglio di risguardo: «Alla memoria – preziosa per i russi – di Nikolaij Michailovic Karamzin – questo lavoro ispirato dal suo genio – con devozione e gratitudine dedica Aleksandr Pushkin». La narrazione, dall’ incoronazione di Boris all’uccisione dei suoi figli, non è continua come nella tragedia classica, ma è shakespearianamente spezzata in ventitre quadri (più due eliminati nella prima edizione), concisi ed essenziali, come se l’autore, aprendo uno spiraglio sul panorama della storia russa e chiudendolo immediatamente, offrisse al lettore una serie di fulminei scorci. «Questo montaggio di opposte sequenze, questo caleidoscopico svariare di siti e di ambienti», come lo descrive Angelo Maria Ripellino, è già caratteristico delle prime opere russe, dal Ruslan e Ljudmila al Convitato di pietra , ricavati anch’essi da Puskin. La forma o, meglio, la libertà di forma, conviene perfettamente a Musorgsky che, utilizzando quanto gli occorre, ricava sette scene dal vasto affresco. Abbozzato e scartato un ottavo episodio (l’incontro di Marina e Grigorij presso la fontana), la prima stesura dell’opera risulta così articolata in sette quadri: 1) prologo, dove la folla e il clero invocano Boris; 2) incoronazione; 3) cella di Pimen, dove il monaco-cronista racconta al novizio Grigorij la morte dello zarevic; 4) osteria al confine lituano, dove Grigorij fugge; 5) appartamenti dello zar, con l’annuncio della rivolta e i rimorsi di Boris; 6) davanti alla cattedrale di San Basilio, dove l’Innocente rifiuta di pregare per lo zar Erode; 7) morte di Boris.
BORIS GUDONOV MussorgskyQuesto è il primo Boris , l’ Ur-Boris composto, in uno slancio di furore creativo, tra l’«ottobre 1868» (annotato dall’autore sul volume donatogli dalla Sestakova) e il 22 maggio 1869 quando termina lo spartito per canto e piano. Il 15 dicembre successivo Mussorgskij appone la parola «Fine» sotto la partitura orchestrale. La stesura, come si vede, procede senza soste, in uno stato di febbrile esaltazione dettato dalla certezza di avere finalmente trovato «gli ingredienti per cuocere la zuppa» evocati nella lettera a Nikolskij. In soli otto mesi (oltre i sette per la strumentazione) si realizza il lavoro «radicato nella patria pianura e nutrito di pane russo» che, in una precedente lettera (del 12 luglio 1867) al medesimo amico, appariva ancora una meta lontana. Oggi, percorrendo a ritroso la lunga strada dalle prime liriche a Salammbo e da qui all’incompiuto Matrimonio , appaiono chiare le tappe che guidano al primo Boris . Ma il risultato non è meno sorprendente. Tutto appare nuovo e ardito in questo compatto torso: dalla scelta di un testo sospetto alle autorità politiche e musicali alla originalità della realizzazione. Si capisce perché, davanti a quest’opera scritta di getto, si stenda ancora una strada lunga e accidentata. L’autore però è ottimista. Terminata l’orchestrazione si affretta a sottoporre la partitura ai Teatri Imperiali. Una prima risposta gli arriva dal direttore Stepan Gedeonov: «Mi ha detto – comunica Mussorgski alle sorelle Aleksandra e Nadezhda Purgold – che quest’anno non possono rappresentare nulla di nuovo, tuttavia potrebbe chiamarmi verso la metà d’agosto o ai primi di settembre per spaventarli col mio Boris ». La data dell’audizione non è nota. Sappiamo invece che i membri della Commissione di lettura respinsero l’opera nella riunione del 10 febbraio 1871, mettendo nell’urna sei palle nere e una bianca. Una settimana dopo, la decisione fu trasmessa ufficialmente all’interessato, a cui però la notizia era già stata comunicata in privato dalla Sestakova. Qui le versioni divergono. Secondo la Shestakova, l’unico motivo del rigetto era la mancanza di una importante parte femminile. Nelle memorie di Rimskij-Korsakov, invece, vengono accentuati «la novità e il carattere inconsueto della musica». Da ciò l’irritazione dell’«illustre comitato che, fra l’altro, rimproverò all’autore la mancanza di una consistente parte femminile». Comunque sia, Mussorgsky si dedicò immediatamente alla revisione dell’opera. Due mesi dopo la sentenza della Commissione, appone sotto la nuova scena del boudoir di Marina la data 10 aprile 1871. L’inserimento del personaggio femminile porta con sé altri sviluppi. Il 10 agosto, con una lettera semiseria, informa l’amico Vladimir Stasov che «Boris, zar colpevole, sta perpetrando un arioso». Il mese successivo (11 settembre) ancora un annuncio a Stasov: «Abbiamo rifatto a nuovo Griska» e «si sta pensando ai vagabondi». È il primo accenno al quadro della foresta di Kromij, che lo occuperà sino a novembre. Il quadro della fontana, l’orchestrazione e i ritocchi lo impegnano sino all’estate successiva. Infine, può notare in calce alla partitura «22 giugno 1872, a Pietroburgo, M. Musorgskij» e l’11 luglio depone rispettosamente la nuova partitura ai piedi di Liudmila Sestakova: «Accogliete il mio Boris sotto la vostra protezione, affinché con voi, benedetta, esso inizi la sua stagione pubblica». I quindici mesi di lavoro intenso hanno dato all’opera una fisionomia largamente rinnovata: un quadro, quello davanti a San Basilio, è soppresso; ai rimanenti sei, quasi tutti rimaneggiati, se ne aggiungono tre nuovi. In totale, il secondo Boris comprende nove quadri.

Prologo .

Quadro primo . Febbraio 1598. Cortile del convento di Novodievic. Il popolo, incitato da un ufficiale di polizia, supplica Boris di accettare la corona di zar. Il segretario della Duma, Scelkalov, annuncia che il candidato resta irremovibile e, mentre un corteo di pellegrini si reca al convento per convincerlo, la folla è convocata dalle guardie al Cremlino. Quadro secondo . 1º settembre 1598. Mosca, la piazza del Cremlino. Boris ha accettato il trono. La folla, spinta da Shujskij, acclama l’incoronazione. Ma, tra lo scampanio e gli inni, il nuovo zar è in preda a foschi presagi (“Skorbít dúsha!”; ‘La mia anima si rattrista’).

Atto primo . Quadro primo . 1603. Una cella del Monastero dei Miracoli. Il monaco Pimen sta terminando di scrivere la cronaca del regno (“Yeshchó odnó poslyédnye skazánye”; ‘Ancora uno, l’ultimo racconto’), mentre il novizio Grigorij si desta, sconvolto da un sogno. Egli aspira alla gloria, alle battaglie, e interroga il vecchio sulla morte dello zarevic. Assassinato da Boris, narra il cronista: avrebbe l’età tua e regnerebbe. Mentre Pimen e i monaci si recano alla preghiera, Grigorij invoca la giustizia divina.
Quadro secondo
. Osteria presso il confine lituano. L’ostessa canta una gaia canzone (“Poyamóla ya síza selezuyá”; ‘Avevo un anatroccolo’), quando arrivano due frati questuanti, Varlaám e Misail, accompagnati da Grigorij che, fuggito dal convento, cerca di varcare il confine. I frati bevono e Varlaám, ubriaco, canta le gesta di Ivan (“Kak vo goróde býlo vo Kazáne”; ‘Una volta nella città di Kazan’). Irrompono i gendarmi alla ricerca di Grigorij che, dopo un vano tentativo di far arrestare Varlaám al suo posto, fugge saltando dalla finestra.

Atto secondo . Gli appartamenti dello zar al Cremlino. Ksenija, la figlia di Boris, piange la morte del fidanzato confortata dal fratello e dalla nutrice con filastrocche infantili (“Kak komár drová rubíl”; ‘La zanzara tagliava la legna’ e “Túru, túru, petushók”; ‘La storia di questo e di quello’). L’entrata di Boris interrompe il gioco. Egli è angosciato dall’insicurezza del regno e turbato dai rimorsi (“Dostíg ya výshey vlasti”; ‘Ho il potere supremo’). Un boiaro denuncia congiure. Il principe Sujskij annuncia l’apparizione di un Pretendente che si fa passare per Dmitrij. Nel drammatico colloquio Shujskij narra la morte del fanciullo e Boris, rimasto solo, ne vede il fantasma (“I skórbyn syérdtse pólno”; ‘Ah, soffoco!’).

Atto terzo
. Quadro primo . 1604. Una stanza nel castello di Sandomir. L’ambiziosa Marina Mniszech si abbiglia per la festa compiaciuta della propria bellezza, ma il gesuita Rangoni la richiama al dovere: dovrà unirsi a Dmitrij per conquistare il trono moscovita e ricondurre i russi al cattolicesimo. Quadro secondo . Nel parco del castello. Dmitrij, innamorato di Marina, invoca la sua presenza (“V pólnok... v sadú... u fontána...”; ‘A mezzanotte, nel giardino... presso la fontana’) e Rangoni gli promette la felicità purché egli segua i suoi consigli. Appare Marina, corteggiata dai nobili invitati (‘polacca’). Poi, rimasta sola con lui, gioca la commedia dell’ amore per spingerlo all’impresa moscovita (“Dmitrij! zarevic”). Mussorgskij

Atto quarto . Quadro primo . 13 aprile 1605. Una sala del Cremlino. La Duma dei boiari decreta la morte del falso Dmitrij, che preme alla frontiera. La deliberazione è interrotta da Sujskij, che annuncia il turbamento dello zar, e dallo stesso Boris che fa il suo ingresso delirando. Poi si ricompone per ricevere un monaco depositario di un grande segreto. È Pimen, che narra il miracolo di un pastore cieco che ha riacquistato la vista pregando sulla tomba dello zarevic (“Odnázhdy, v vechérniy chas”; ‘Una volta sul far della sera’). Boris, distrutto dall’ emozione, muore dopo aver dato gli ultimi consigli a Fedor (“Proshcháy, moy sin, umiráyu”; ‘Addio, figlio mio, muoio’), additandolo come successore ai boiari. Quadro secondo . Una radura nella foresta di Kromij. I contadini insorti scherniscono un boiaro catturato e, incitati da Varlaám e Misail, trasformatosi in feroci sgherri, si accaniscono contro i gesuiti inviati da Dmitrij, mentre i bambini rubano all’Innocente la copeca ricevuta in elemosina. Compare Dmitrij che, proclamandosi zar, promette giustizia ai perseguitati da Godunov, accoglie il boiaro immediatamente passato dalla sua parte e si avvia a Mosca, tra le acclamazioni del popolo, mentre l’Innocente piange sulla sorte della Russia (“Lyéytes, lyéytes slyózy górkiye”; ‘Sgorgate, lacrime amare’).

Come si vede, il rifacimento è radicale: il dramma dello zar, la figura del pretendente e la partecipazione del popolo acquistano nuove dimensioni. L’inserimento dell’‘atto polacco’, lamentato dai puristi come concessione melodrammatica, è in realtà un momento fondamentale. La figura dell’usurpatore si delinea, preparando la sua apparizione alle porte di Mosca.
Lo stesso personaggio di Boris acquista, nel nuovo contesto, un carattere più doloroso. L’avevamo già visto, oppresso dal fato, nella scena dell’incoronazione. Lo incontriamo di nuovo nelle sue stanze, ove non può trovar pace neppure in seno alla famiglia. Non a caso il musicista rielabora a fondo questo quadro. L’aggiunta del vasto arioso, di cui si dichiara particolarmente soddisfatto, e il misterioso effetto dei carillon, ingigantiscono l’angoscia del protagonista. Egli non è soltanto l’uccisore del fanciullo, è un uomo lacerato dai rimorsi e dalla coscienza della vanità del delitto.
A differenza di Macbeth, Boris appartiene al popolo: è russo anche quando il paese gli si solleva contro. La violenta esplosione della folla moscovita corona l’opera dando al popolo un ruolo di protagonista. Così l’intese l’amico Nikolskij, che, proseguendo nella funzione di padrino del Boris , suggerì a Musorgski di spostare la nuova scena, che avrebbe dovuto precedere la morte dello zar, alla fine dell’opera. Suggerimento adottato con entusiasmo, lasciando al fido Stasov il rammarico di non averci pensato lui! La rivolta però è vana. Musorgsky rimane il pessimista di sempre e l’ultima parola spetta all’Innocente: «Spargete amare lacrime, piangi anima ortodossa... Piangi popolo russo, popolo affamato». Non è ancora giunto il momento in cui «l’energia della nera terra contadina venga fuori».
Qui, come nella successiva Kovanscina, il retaggio dei miseri è il pianto. Pittura comunque sovversiva agli occhi delle autorità. Rifiutando il primo Boris per il suo anticonformismo, la direzione dei Teatri Imperiali aveva provocato la nascita di un lavoro ancor più sconcertante. Non stupisce che anche il rifacimento venga respinto. Evidentemente non era l’assenza del ruolo femminile a turbare il Comitato di lettura. Nella ‘Gazzetta Teatrale’ del 29 Ottobre 1872, la non accettazione è ufficializzata. Ma ormai la causa del Boris è quella di tutti gli intellettuali progressisti che l’hanno ascoltato più volte, a brani o per intero, nelle case amiche.

Le istituzioni concertistiche ne presentano estratti. La prima è la Società della musica russa, che dà il quadro dell’incoronazione il 5 febbraio 1872; il 3 aprile successivo Balakirev dirige la Polacca nella serata della Scuola gratuita di musica. La battaglia si arricchisce di particolari leggendari: un’enorme folla – riferisce la spuria ‘Nota autobiografica’ – assiste a un’esecuzione cameristica nei saloni dei Purgold, dove viene decisa la realizzazione di tre quadri (quello dell’osteria e i due dell’‘atto polacco’) al teatro Mariinskij di Pietroburgo. La rappresentazione, inserita fra il secondo atto del Lohengrin e un quadro del Freischütz , ha luogo il 5 febbraio 1873 con un successo clamoroso.
La famosa Julia Platonova canta la parte di Marina e si attribuisce, in un romanzesco resoconto apparso una dozzina d’anni dopo, il merito di aver imposto l’opera ricattando la direzione dei Teatri Imperiali: «O si dà Boris o io non canterò più qui!». E la direzione capitola! Si arriva cosi alla prima esecuzione, il 27 gennaio 1874. Il successo è tanto vivo da preoccupare le autorità. Gli studenti intonano i cori di Kromij lungo la Neva. L’opera minaccia di trasformarsi in un manifesto rivoluzionario, e la direzione del teatro, dopo i tagli effettuati alla ‘prima’ con il forzato consenso dell’ autore (il più rilevante dei quali è l’intero quadro della cella nel Monastero dei Miracoli), si affretta a sopprimere il quadro della ribellione. Poi, di sera in sera, gli interventi si moltiplicano riducendo lo spettacolo all’osso. In questa forma, Boris si regge a Pietroburgo per dieci rappresentazioni nel 1874, due nel ’75, due nel ’76, cinque nel ’77 e altre tre tra ’79, ’80 e ’81. Ventidue (secondo il Calvocoressi, venticinque secondo altri), mentre a Mosca andrà in scena nel 1888, con una decina di repliche fino al ’90.

L’esito, come si vede, fu tutt’altro che mediocre nonostante l’ostilità pressoché generale della critica. Quella dei conservatori era scontata. L’autorevole Hermann Laroche, amico di Cajkovskij, ripeté le consuete accuse di ignoranza e dilettantismo riservate al Gruppo dei Cinque. Il letterato Nikolaij Strakov, irritato per le interpolazioni al testo di Puskin, definì l’opera «una mostruosità senza pari».
Ai prevedibili attacchi si aggiunsero le inattese perplessità degli amici. Mentre Borodin è entusiasta, Cezar Kjui esprime su un nota rivista pietroburghese un parere offensivamente negativo: grigiore vocale, monotonia dei recitativi, sconnessione del pensiero musicale, insufficienza di senso critico e, per concludere, una «maniera frettolosa, poco esigente e vana di scrivere che ha dato risultati altrettanto deplorevoli nei casi di Rubinstein e di Caikovski». Frase particolarmente velenosa perché mette sul medesimo piano il ‘realismo’ nazionale di Boris e il cosmopolitismo degli accademici del conservatorio. Due posizioni inconciliabili, come conferma lo stesso Caykovski, dopo aver studiato ‘profondamente’ la partitura: «Io mando al diavolo con tutto il cuore la musica di Mussorgskij; essa è la più volgare e la più bassa parodia della musica».

Il vanto di aver rilanciato l’opera spetta a Rimski-Korsakov, l’amico che ne ammirava il genio e ne temeva la sregolatezza: «Adoro il Boris e nel medesimo tempo lo odio. Lo adoro per la sua originalità, l’arditezza, la bellezza; lo odio per la sua grossolanità, le durezze armoniche e le assurdità musicali».
Le parole, riferite da Vasilij Yastrebtzev, fedele cronista di Rimski, non sono forse testuali, ma confermano la sfasatura temporale e intellettuale tra il capolavoro diretto al futuro e i musicisti ancorati al loro presente. In quest’ottica, per ‘salvare’ Boris , Rimski lo riporta alle buone regole. A volte si tratta soltanto di minuzie tecniche; in altri casi di aggiustamenti che alterano l’originalità di Mussorgski secondo un criterio melodrammatico, in particolare esaltando i contrasti di colore strumentale e vocale. Messo da parte l’odio, l’amore per Boris si manifesta nello splendore del tessuto sonoro in cui il revisore lo avvolge. Tutto viene innalzato e potenziato: dalla scrittura più ‘eroica’ della parte dello zar, alla veste orchestrale arricchita di timbri brillanti e di smaglianti effetti.
Queste qualità assicurarono alla traduzione ‘bella e infedele’ un successo tale da soppiantare a lungo il testo autentico. Rilanciò Boris sulle scene russe e poi su quelle europee, a partire dallo straordinario spettacolo di Djagilev e Saljapin a Parigi nel 1908. Da allora ha regnato per mezzo secolo, grazie alla preferenza di cantanti e direttori, soggetta tuttavia anch’essa a tagli e varianti di ogni genere. Tra queste si inserì anche un’aggiunta: il reinserimento del quadro del San Basilio, riorchestrato da Mikhail Ippolitov-Ivanov per renderlo omogeneo alla versione di Rimskij-Korsakov. Presentata la prima volta nel gennaio 1927 al Bolshoj di Mosca, si è mantenuta sino ai giorni nostri, sollevando però qualche dubbio.
Il predominio della versione rimskiana cominciò a vacillare attorno al 1928, con la pubblicazione della partitura originale curata da Pavel Lamm. Lo stesso anno, il 16 febbraio, il ‘primo Boris ’ (1869) viene montato a Leningrado, mentre il secondo (1872) riprende a circolare con frequenza sempre maggiore in Occidente, e oggi anche in patria, per lo più nella nuova edizione critica curata da David Lloyd-Jones. In Italia la ‘rimonta’ comincia con il Maggio musicale fiorentino del 1940 e culmina con lo straordinario spettacolo diretto da Claudio Abbado alla Scala nel 1979.
La riscoperta del testo originale non impedì ulteriori interventi, fondati sulla convinzione che l’orchestrazione musorgskiana richiedesse qualche miglioramento. In quest’ordine di idee, Dmitrij Sostakovic elaborò nel 1940 la sua versione, portata in scena nel ‘59 al Kirov di Leningrado. Basandosi sul Lamm, Sostakovic riorchestra tanto il primo quanto il secondo Boris , compiendo così un’operazione che vuol essere meno esteriore di quella rimskiana, ma che finisce per sovrapporre al testo la personalità del nuovo revisore, senza le giustificazioni storiche che, cent’anni or sono, guidarono Rimski-Korsakov nel rilancio di quest’opera capitale.


KovanscinaKovanscina


libretto di Modest Mussorgsky e di Vladimir Stasov

Dramma musicale popolare in cinque atti
Prima:
Pietroburgo, Teatro Kononov, 9 [21] febbraio 1886
Personaggi:
il principe Ivan Chovànskij (B); Andrej, suo figlio (T); il principe Golitzyn (T); Svaklovitij, boiaro (Bar); Dosifej, capo dei Vecchi Credenti (B); Marfa, ex amante di Andrej (A); Emma, ragazza del quartiere tedesco (S); Susanna, una Vecchia Credente (S); lo scriba (T); Kuzka, moschettiere strelez (T); tre strelzi (B); Varsonovev, confidente di Golitzyn (B); un altro confidente di Golitzyn (T); un pastore (B); moscoviti, uomini e donne strelzi, ragazzi, popolo, Vecchi Credenti, giovani contadine
________________________________________

Musorgskij non poté ascoltare Chovanscina , un’opera alla quale lavorò dal 1872 fino al 1880, l’anno prima della morte: l’opera venne eseguita, infatti, in veste amatoriale e privata, con una compagnia di dilettanti, solo nel 1886, al Teatro Konovov di Mosca, nella versione di Rimskij-Korsakov, e dovette attendere fino al 1911 per essere ripresa pubblicamente al Teatro Imperiale, grazie all’interessamento del grande cantante Saljapin, che interpretava la parte di Dosifej.
L’opera, completata nella veste per canto e pianoforte (a eccezione dei finali del secondo e quinto atto), pur se con indicazioni riguardanti la strumentazione, venne orchestrata da Rimsky-Korsakov, e questa versione, pubblicata nel 1883, non solo contribuì alla sua diffusione, ma rappresenta un momento particolare nella storia dell’interpretazione dell’opera di Musorgski, il quale aveva peraltro approvato l’orchestrazione di Rimsky-Korsakov delle Danze persiane, nel quarto atto. Ed è significativo anche ciò che egli afferma in una lettera a Stasov del 16 agosto 1876, a proposito del progettato quintetto conclusivo del secondo atto: l’avrebbe scritto a Pietroburgo, sotto la guida di Rimsky-Korsakov, a causa delle complesse esigenze tecniche, dovute alla presenza di un contralto, un tenore e tre bassi. Ma Rimsky-Korsakov ha avvolto Chovanscina in una patina brillante, che rispondeva più alla sua sensibilità che alle intenzioni originali dello spartito, intervenendo anche con modifiche e tagli arbitrari.
Spesso, tra l’altro, tendendo a ‘cucire’ e a smussare il carattere duro e arcaico di certe ‘contiguità’ armoniche che oggi riconosciamo come particolarmente originali ed efficaci, risolvendole secondo una logica astratta, che non tiene conto della particolare espressività di Musorgsky. La stessa cosa avviene per quanto riguarda altri aspetti formali, fraseologici e ritmici. Due sole sezioni sono state interamente orchestrate da Mussorgskij: la ‘Canzone di Marfa’ e il ‘Coro degli Strelzi’ del terzo atto.
Nel 1913, Djagilev inserì Chovanscina nella sua ‘stagione russa’ con alcune parti orchestrate da Stravinskij e Ravel e, ancora, Saljapin nei panni di Dosifej. Nel 1931, Pavel Lamm, che curò l’edizione dell’opera omnia di Mussorgski, stampò lo spartito della Kovanscina mantenendosi fedele all’originale; il 25 novembre 1960 andò in scena al Teatro Kirov di Leningrado l’orchestrazione-ricostruzione di Shostakovic, oggi considerata la più rispettosa delle intenzioni di Mussorgsky, a eccezione dei finali del secondo e quinto atto completati con riprese di altri punti dell’opera (rispettivamente la ‘Marcia dei Petrovski’ che anticipa così la scena del perdono, alla fine del quarto atto, anziché l’accordo inquietante che sfuma nel pianissimo dello spartito, e ‘L’alba sulla Moscova’, ripresa dall’introduzione del primo atto). Stravinskij ha invece concepito il finale sulla scorta degli schizzi originali, inserendo un corale, un Largo il cui tema è costituito da un canto popolare russo indicato da Musorgskij, e associato a una rievocazione del motivo dell’introduzione al quinto atto.

Musorgski cominciò a pensare a Kovanscina tra il giugno e il luglio 1872, poco prima di terminare Boris . In una lettera datata 16 e 22 giugno di quell’anno, accenna a Vladimir Stasov (critico musicale e d’arte, etnografo, archeologo, portavoce del ‘Gruppo dei Cinque’ e intimo collaboratore di Musorgsky) di volersi occupare della Madre Russia senza limitarsi a conoscere il popolo, ma affratellandosi con lui. Già in questa prima lettera si può riconoscere un atteggiamento sostanziale che Mussorgskij non abbandonò mai nell’arco dei lunghi anni di lavoro che accompagnarono la stesura della Kovanscina . Infatti, mentre per Stasov (al quale dedica l’opera ancora prima di cominciare a scriverla, in una lettera del 15 luglio) Chovànskij rappresenta la Vecchia Russia «cupa, fanatica, sonnolenta», e Golitzyn «lo spirito europeo», Mussorgski non si identificherà completamente con nessuno degli schieramenti. Il suo desiderio di avvicinarsi profondamente, fino a confondersi, con il popolo, lo spinge piuttosto, come molti populisti del suo tempo e come lo stesso Dostoevskij, a identificarsi con i suoi problemi e con le sue aspettative.
Mussorgsky non crede a nessuna tesi politica come completamente positiva o negativa; se mai, con il ‘realismo’ tutto originale della sua estetica, caratterizza psicologicamente gli individui. La musica di Musorgskij delinea una realtà complessa di sette e partiti all’interno dei quali possono coesistere grandezza d’animo e viltà. Per lui è fondamentale dare voce al popolo, e questo è possibile solo ascoltandone le esigenze, senza imporre soluzioni dall’alto o, peggio ancora, dall’esterno. Nella lettera citata, dice infatti: «Fino a quando il popolo non si renderà conto con i propri occhi di cosa si fa di lui e fino a che non dirà lui stesso che cosa vuole che si faccia di lui, saremo sempre allo stesso punto!». C’è un’altra illuminante missiva, del 13 luglio 1872, sempre a Stasov, dalla quale ricaviamo notizie sulle letture alle quali attinse per Kovanscina.
Qui Musorgski conferma di essere attratto dagli aspetti visionari e da quelli grotteschi della tradizione russa, il tutto nel carattere assolutamente popolare che vuole imprimere all’opera: «Al vostro ritorno, saranno probabilmente già pronti i materiali per la nostra prossima opera. Ho fatto un fascicolo e l’ho chiamato Chovanscina , dramma musicale popolare – materiali. Sul frontespizio ho segnato le fonti, nove, niente male: m’immergo nelle notizie e la testa è come una caldaia (...) Su un simile canovaccio si può lavorare molto: ci sono immagini, c’è senso mistico e anche l’aspetto caricaturale della storia è entusiasmante». Nel fascicolo sono enumerate le fonti, tutte di cronisti e memorialisti vissuti tra il XVII e il XVIII secolo. Il 7 agosto 1875 Musorgsky annuncia a Stasov che «il primo atto della nostra Chovancina è terminato». Il 14 ottobre, parla invece dell’idea che gli è venuta per la «lite dei principi a casa di Golitzyn», cioè per il secondo atto, che tra il 29 e il 30 dicembre gli comunica di avere finito. Il 27 e il 28 agosto 1880, gli scrive: «e Chovanscina è già alla vigilia di essere compiuta: per l’orchestrazione – oh, dèi! – c’è ancora tempo!». Ciò che mancava era, come affermava lui stesso in due lettere di poco precedenti a questa, «un piccolo pezzettino nella scena finale dell’incendio». Kovanscina

I fatti storici nei quali Mussorgskij si immerge con tanta passione, in stretto e continuo contatto con Stasov, si rifanno a un periodo cruciale della storia russa. Gli strelzi erano un corpo militare istituito già nella seconda metà del XVI secolo da Ivan il Terribile. Guardia dello zar e principale sostegno dell’esercito, acquistarono sempre più potere. Quando, dopo la morte dello zar Fëdor III, era stato posto sul trono il piccolo Pietro I, si ribellarono imponendo, accanto a lui, il fratello Ivan, entrambi sotto la reggenza della sorellastra Sofia Alekseevna. Nel periodo compreso tra il maggio e il settembre 1682 si verifica la rivolta degli strelzi, questa volta capeggiata da Ivan Chovànskij, capo dei Vecchi Credenti, in favore del figlio Andrej, domata dalla principessa Sofia che ne ordinò l’esecuzione capitale.
Ma Mussorgski collega questi avvenimenti alla conquista del potere da parte di Pietro, che avvenne nel 1689 e che si concluse con l’esilio di Golicyn, l’esecuzione di Svaklovitij e l’imprigionamento di Sofia. In tutto questo si inseriscono le tensioni religiose, che vedono schierati su fronti contrapposti i fautori della riforma imposta dal patriarca Nikon, durante il regno dello zar Alessio Michjlovic (1645-76) e i tradizionalisti, i Vecchi Credenti, detti raskolniki , cioè scismatici. Quando Pietro il Grande, sconfitti gli strelzi, si rende indipendente dal fratello Ivan e dalla reggenza di Sofia, i Vecchi Credenti comprendono che sta per iniziare una politica di occidentalizzazione e a migliaia decidono di togliersi la vita. In questo contesto storico (1682-1689), si svolge Chovanscina .

Atto primo .
Dopo l’introduzione orchestrale (‘L’alba sulla Moscova’), la scena si apre a Mosca sulla piazza del Cremlino. Presso una colonna è disteso lo strelez Kuzka che, mezzo appisolato, canticchia un motivo militaresco, raggiunto di lì a poco da un gruppo di compagni che si vantano delle violenze compiute la sera precedente. Nel frattempo lo scriba, musicalmente connotato da un motivo agitato e ironico, si sistema nel suo casotto, mentre gli strelzi si burlano di lui. Comincia la scena ricca di piani espressivi in cui il boiaro Svaklovitij detta al preoccupatissimo scriba una denuncia anonima, nella quale si dichiara che il principe Ivan Chovànskij fomenta gli strelzi perché impongano sul trono il figlio Andrej, con l’aiuto dei Vecchi Credenti. Il realismo musicale di Mussorgsky riesce a dipingere il tono tronfio e supponente di Svaklovitij, in contrasto con la tremante insipidezza dello scriba, cui si aggiunge il canto dei popolani sullo sfondo (con il tema del pezzo pianistico giovanile di Musorgskij, Ricordo d’infanzia ) che si intreccia al ritmo teso e minaccioso della sfilata degli strelzi dietro la scena, nei confronti dei quali si levano gli acidi ma pavidi commenti dello scriba.
Dopo l’uscita di Shvaklovitij, e dopo che si è udita l’eco della canzone popolare, irrompono i moscoviti sulla piazza, che cercano di far confessare allo scriba ciò che ha appena scritto, e intonano un intenso coro a cappella lamentandosi della propria miseria. Al popolo si uniscono gli strelzi, mentre la folla aumenta e il coro si dilata, fino all’arrivo del principe Ivan Chovànskij, contrassegnato da un tema marziale e incisivo, che trasmette tracotanza e ironica ossessività nella continua interiezione «Ci salvi Iddio». Tuonando contro i disordini scatenati dai boiari, si dichiara difensore dei principi Pietro e Ivan e viene osannato dalla folla nel nome del ‘cigno bianco’, il simbolo dei Chovànskij, in un coro che, dopo essersi mirabilmente intensificato, si spegne in lontananza. Irrompe sulla scena Emma, una ragazza luterana del quartiere tedesco, insidiata dal figlio di Ivan Chovànskij, Andrej, che ha fatto esiliare il suo fidanzato. La voce ansimante di Emma si intreccia alle melliflue implorazioni di Andrej. Sopraggiunge, in suo aiuto, Marfa, una Vecchia Credente ex amante di Andrej, del quale è ancora follemente innamorata nonostante sia stata da lui crudelmente abbandonata. Marfa avvia un Adagio cantabile nel quale si distende una melodia intensa e ben caratterizzata. Andrej la disprezza e cerca perfino di ucciderla, ma ella, sfuggendogli e liberando Emma, gli predice che le loro anime defunte saliranno in un cielo radioso. Il terzetto, simmetricamente organizzato, poggia sull’intenso tema di Marfa. La sua profezia è interrotta dall’arrivo di Ivan Chovànskij, che, osannato dal popolo, la saluta rispettosamente e guarda con cupidigia Emma, ordinando ai soldati di catturarla. Mentre Andrej cerca di opporsi, dichiarando che preferirebbe ucciderla piuttosto che perderla, arriva il capo dei Vecchi Credenti, Dosifej, che affida Emma a Marfa rimproverando i Chovànskij per la loro violenza. L’atto si conclude sul coro mistico dei raskolniki, dalle arcaiche e suggestive inflessioni modali.

Kovanscina MusorgskyAtto secondo .
(Musorgski definì quest’atto, in una lettera a Stasov del 16 agosto 1876, la «chiave di volta del dramma intero».) In casa del principe Golitzyn. È il crepuscolo, e il principe sta leggendo una lettera della zarina Sofia, della quale era stato amante. Dopo il dolce Andante cantabile iniziale, la melodia di Golitzyn disegna il percorso psicologico delle sue reazioni mentre ripercorre il passato con tenerezza e rimpianto, ma teme, per il presente, che Sofia voglia ingannarlo facendo leva sui suoi sentimenti. Varsonovev interrompe il soliloquio annunciando a Golitzyn l’arrivo di un pastore luterano, che prende le difese di Emma. A questo punto viene introdotta Marfa, che Golitzyn ha fatto chiamare perché, nonostante l’atteggiamento europeo e progressista, è superstizioso e vuole sapere da lei quale sarà il suo destino. La Vecchia Credente, leggendo in un bacile d’acqua, sentenzia: «Conoscerai miseria, squallore e immenso dolore. Nel pianto scoprirai la verità di questa terra». La profezia di Marfa segue uno straordinario e teatralissimo crescendo di tensione emotiva, passando da una sorta di recitativo alla più lirica e morbida espansione lirica. Golitzyn, furioso, la scaccia e ordina che venga annegata. Comincia qui il duetto tra Golitzyn e il sopraggiunto Ivan Chovànskij, nel quale assume forma musicale il profondo contrasto tra due punti di vista inconciliabili. Il diplomatico ipocrita e contraddittorio si scontra con il prepotente Chovànskij, fino all’intervento pacificatore di Dosifej. Sullo sfondo del terzetto risuona, come una cornice visionaria e arcaica, il coro dei raskolniki. I colpi di scena continuano: sopraggiunge Marfa, che accusa Golitzyn di avere cercato di ucciderla, cosa che gli sarebbe riuscita se non fossero intervenuti i petrovski, i componenti della guardia personale di Pietro. I tre esclamano insieme, esterrefatti, «Petrovskij!» Ma ecco che Varsonovev introduce Svaklovitij, che comunica ai principi la notizia della denuncia sporta contro i Chovànskij. Quando Dosifej chiede quale sia stata la reazione di Pietro, Svaklovitij riporta il commento sprezzante dello zar: ha detto «kovanscina», cioè una bravata dei Chovànskij e ha ordinato di indagare.

Atto terzo .
Nel quartiere degli strelzi, presso Belgorod, sulla Moscova. Passano gli scismatici, che intonano lo stesso inno già ascoltato nell’atto precedente. Marfa, seduta davanti alla soglia di Andrej, canta una struggente canzone d’amore, costruita sulla ripetizione strofica di un tema popolare ( L’abbandonata , compresa nella raccolta del Villerbois). Sopraggiunge Susanna, una Vecchia Credente fanatica e moralista che accusa Marfa di lascivia. Dosifej interviene scacciandola. Dopo un Lento lamentoso di Shvaklovitij, strutturato in forma di aria operistica vera e propria, il coro degli strelzi si scatena con violenza ritmica, scandito dagli interventi più lenti e cantilenanti di un volgare motivo popolare. Irrompono anche le mogli, che li rimproverano di tradimenti e di brutalità, accompagnando le ingiurie con spintoni e pugni. Kuzka e i compagni intonano una spensierata canzone burlandosi delle mogli, ma giunge improvvisamente lo scriba, che narra, in una ballata ansimante, della sconfitta subita dagli strelzi a opera delle truppe di Pietro. Gli strelzi invocano l’aiuto di Ivan Chovànskij, che però li tiene calmi e dice loro di pazientare. Gli strelzi e le loro mogli cantano una preghiera, che si stempera in un pianissimo a concludere l’atto.

Atto quarto .
Nella residenza del principe Ivan Chovànskij. Il principe sta cenando e ascolta le contadine intonare un malinconico canto, il cui tema viene nostalgicamente avviato dall’orchestra e ripreso dalle voci femminili. Ivan ordina loro di cantare un motivo più allegro, cosa che si apprestano a fare, subito interrotte dall’arrivo di Varsonovev, mandato da Golitzyn ad avvertire il principe che la sua vita è in pericolo. Chovànskij lo scaccia con supponenza e ordina alle schiave persiane di danzare per lui. Si tratta del famoso Intermezzo sinfonico orchestrato da Rimskij-Korsakov, vivente Musorgsky (Lamm, nella sua edizione, specifica tuttavia che la versione autografa per pianoforte è probabilmente successiva). A questo punto, Svaklovitij annuncia a Ivan Chovànskij che la zarina Sofia lo attende per un consiglio di stato. Inorgoglito dall’invito, si prepara a partire, ma sul motivo di gloria, cantato all’unisono dalle contadine “E verso il cigno avanza, Ladù” accompagnato da impressionanti accordi e tremoli dell’orchestra, un sicario lo pugnala. Svaklovitij riprende il canto delle contadine (un canto popolare nuziale che si trova nella raccolta folkloristica di Rimski-Korsakof), con beffarda ironia.
Il secondo quadro dell’atto è ambientato sulla piazza davanti alla chiesa di San Basilio. Nel corso di un interludio orchestrale, intercalato da brevi esclamazioni del popolo, sfilano Golitzyn e i suoi seguaci, condannati all’esilio; risuona il tema già ascoltato durante la profezia di Marfa del secondo atto. L’episodio si intensifica per poi sfumare, fino all’avanzare di Dosifej, che commenta i fatti tragici che insanguinano la Russia. Marfa gli comunica che il gran Consiglio ha sancito di uccidere i Vecchi Credenti; Dosifej ribatte che essi si immoleranno sul rogo piuttosto che cadere in mano dei nemici, e chiede a Marfa di preparare anche Andrej Chovànskij all’estremo sacrificio. La Vecchia Credente canta l’arrivo del destino finale, nella gloria di Dio. Arriva Andrej, agitatissimo, in cerca di Emma, ma Marfa gli comunica che la ragazza si è sposata felicemente. Andrej inveisce contro la donna e, ancora ignaro dell’assassinio del padre, chiama gli strelzi perché la uccidano, ma non ottiene risposta ai ripetuti richiami del suo corno. Giungono di lì a poco, in macabra sfilata, sul motivo del primo atto scandito dalla campana, gli strelzi, con i ceppi al collo, seguiti dalle mogli che li sberleffano con un vocalizzo all’unisono di impressionante efficacia teatrale; risuona un’allegra fanfara che crea un effetto di agghiacciante straniamento. Andrej implora Marfa di salvarlo; arrivano i petrovski che comunicano, su un ritmo spensierato e trionfale di marcia, al suono delle trombe, la decisione degli zar Ivan e Pietro di concedere la grazia agli strelzi. Musorgski Mussorgski

Atto quinto .
Nell’eremo dove i Vecchi Credenti si preparano al gesto finale. L’atmosfera è segnata da una icastica melodia in re minore («Il preludio alla scena dell’eremo», dice Mussorgskij in una lettera del 2 agosto ’73, «è fatto dallo stormire del bosco, che ora si rafforza e ora diminuisce, come un gioco di onde»). Si leva la voce di Dosifej che prega; i Vecchi Credenti intonano un coro (in modo frigio; in origine, come racconta Rimski-Korsakof nella sua autobiografia, il brano era ancora più rude e arcaico nelle sue successioni di quarte e quinte ‘vuote’). Marfa invoca la pietà di Dio per l’anima di Andrej, che canta, desolato, il suo amore per Emma. Marfa, rievocando una melodia dell’atto precedente, intona un suggestivo ‘requiem d’amore’ («Giunta è l’ora della tua morte, amato mio: abbracciami per l’ultima volta; ti amerò sino alla tomba; con te morire è come dolcemente dormire. Alleluja!») e attira Andrej verso il rogo, insieme ai Vecchi Credenti, che si immolano.


La scrittura di Mussorgski è, anche nella Chovanscina , guidata da una forte spinta a cogliere le affinità tra gesti evocativi e impulsi musicali. Da immagini e impressioni provenienti da differenti sfere sensoriali, sgorgano idee musicali. E il legame tra emozione e materiale armonico, tra melodia e contesto narrativo, giustifica la rudezza innovativa e la contiguità discorsiva della sua scrittura, che evita gli sviluppi e il divenire drammaturgico in senso tradizionale. Il brusco passaggio da una situazione timbrica all’altra, la fraseologia che non indugia in passaggi secondari o in colori intermedi, le funzioni armoniche sfruttate in senso espressivo senza seducenti accademismi.
Questi aspetti dello stile musorgskiano nascono dal rapporto con un nucleo storico e umano reso fantasmatico: tale concentrato di stimoli visivi, letterari, tattili, si fa cuore narrativo di Kovancina. Ecco allora delinearsi personaggi di grande statura psicologica. Le melodie, nella loro plasticità, connotano caratteri sfaccettati come quelli di Marfa o Dosifej, ma disegnano anche l’inconsistenza vanesia di personaggi come Emma e Andrej Chovànskij (definiti «stupidi» da Mussorgsky). Allo stesso modo, nel secondo atto, l’intreccio melodico e formale tende a mettere in luce «l’ignobile riunione presso Golitzyn, nella quale tutti strisciano dinanzi ai più potenti e solo Dosifej sembra avere una convinzione salda e precisa» (lettera del compositore a Stasov, 6 agosto 1873).
L’interesse di Musorgskij per la complessità e la contraddittorietà dei caratteri umani e delle vicende storiche è scolpito musicalmente nell’atto terzo. A Marfa si contrappone infatti un altro personaggio che, pur appartenendo alla setta dei Vecchi Credenti, ne svela, come nel caso dello stesso Chovànskij, il lato negativo e corrotto (ancora, ecco le parole di Musorgski, in una lettera del 6 settembre ’73 a Stasov: «Marfa e Susanna, ossia una donna schietta, forte e innamorata e una vecchia zitella che ripone tutta la gioia della sua vita nella cattiveria con cui ricerca e perseguita il peccato d’adulterio – un contralto molto sensibile, ma nello stesso tempo appassionato, e un soprano secco e stridulo»). Durante gli anni di duro lavoro a Chovanscina , che lo accompagnerà fino alla vigilia della morte, Musorgski ricerca quella «melodia vitale, non classica», che vorrebbe chiamare «melodia razionalmente giustificata», di cui parla a Stasov in una famosa lettera del 25 dicembre 1876. Il legame profondo con le inflessioni e il senso del linguaggio parlato svelano, in ultima analisi, la ricerca di un fine etico ed estetico insieme; per questo, nella sua nota autobiografica Musorgsky ebbe significativamente a dichiarare che «l’arte è un mezzo di comunicazione con gli uomini, e non un fine».


Il MatrimonioIl Matrimonio


dalla commedia omonima di Nikolaij Gogol

[Ženitba] Esperimento di musica drammatica
Prima:
Pietroburgo, Scuola teatrale Suvorin, 19 marzo 1908
Personaggi:Podkolesin (Bar); Kockarev, suo amico (T); Stepan, servo di Podkolesin (B); Fekla Ivanovna, mezzana (Ms); Agafja Tichonovna (S); Arina Pentelejmonovna (Ms); Dunjaska (S); Jaicnica (B); Anuckin (T); Zevakin (T); un cocchiere (B)
________________________________________

Il compositore stesso chiamò Il matrimonio ‘esperimento’: «È un esercizio per un musicista, o, per meglio dire, per un non-musicista , desideroso di studiare, esplorare tutte le sottigliezze del linguaggio umano così come lo usa il geniale Gogol’. Il matrimonio è uno studio che richiede un’esecuzione da camera. Ma anche per la grande scena è indispensabile che il linguaggio di ogni personaggio, ciascuno secondo la sua natura, le sue caratteristiche, la sua ‘necessità drammaturgica’ raggiunga il pubblico in modo estremamente preciso ed espressivo». Mussorgski si dedicò al lavoro nell’estate del 1868, in un periodo in cui forte era su di lui l’influenza dell’estetica del ‘mucchio possente’ e delle teorie di Kjui e Dargomyzskij – e quest’ultimo stava componendo in quel periodo, secondo analoghi principi, Il convitato di pietra . Ma il compito di Musorgskij era ancora più arduo perché se nel testo puskiniano vi era una forte tensione lirica e scontro di passioni, il testo gogoliano è tutto giocato su bizzarre inflessioni, tic verbali, pirotecniche invenzioni, ‘alogismi’ ossia battute prive di senso preciso, volte solo a creare un effetto comico. È un tentativo di opéra-dialoguée , ossia di dar luogo a un recitativo ininterrotto con diverse intonazioni a seconda dei personaggi e delle situazioni.

Atto primo .
Podkolesin, scapolo impenitente, ha deciso di sposarsi e si informa dal servo Stepan sull’andamento dei preparativi. Arriva la mezzana, Fiokla Ivanovna, che lo invita a far visita ad Agafja Tichonovna, una possibile fidanzata di cui decanta le virtù. Podkoliosin esita ancora, scatenando le ire della mezzana; in quella arriva l’amico Kockarev, anche lui sposatosi grazie all’intervento di Fekla. Essendogli ben nota la resistenza dell’amico, caccia la mezzana e decide di occuparsi della faccenda: minaccia Podkolesin e lo costringe a recarsi con lui da Agafja.

Atto secondo .
Agafja è in casa e ascolta il resoconto di Fiokla, che le descrive uno dopo l’altro i vari pretendenti ormai in arrivo. Infatti suona il campanello: è il primo; Agafja corre a prepararsi. Intanto si raccolgono nel salotto i fidanzati, e ciascuno si presenta e racconta la propria storia, cercando di esaltare i propri meriti. Da ultimo arriva Podkoliosin con Kockariov, che è deciso a eliminare i concorrenti.

Atto terzo .
Con vari sotterfugi e inganni Kockarev caccia tutti. Rimane Podkolesin che, in un impacciato dialogo con la fidanzata, non riesce a stabilire alcuna comunicazione. E mentre la futura sposa va a prepararsi per la cerimonia, il titubante Podkolesin prima si esalta pensando alle delizie della vita matrimoniale; poi si ricrede e decide di fuggire. Salta dalla finestra, balza su una carrozza e si dilegua. Arrivano sposa e parenti, non trovano lo sposo: ma qualcuno si affaccia alla finestra e lo vede allontanarsi.

Musorgski musicò solo il primo atto (per canto e pianoforte) abbandonando poi l’esperimento per dedicarsi al ben più impegnativo Boris Godunof . Musorgsky vivente, Il matrimonio ebbe solo esecuzioni private in casa dei componenti del ‘mucchio’, che ritennero il lavoro di grande interesse per la coerenza e il rigore antilirico. La linea vocale segue, senza mai discostarsene, il dialogo gogoliano, con tempi, ritmi, contorni melodici che ne riflettono perfettamente la comicità. Rimasto quindi incompiuto, il lavoro venne orchestrato solo nel 1908 da Nikolaij Rimsky-Korsakof, e in quell’anno ebbe la sua prima rappresentazione. Seguirono negli anni altre orchestrazioni e redazioni a cura di Aleksandr Gauk (1917), Marguerite Béclard d’Harcourt (1930) e Pavel Lamm (1933). Nel 1931, in occasione del cinquantenario della morte del compositore, la radio sovietica commissionò a Michail Ippolitov-Ivanov una nuova orchestrazione del materiale esistente e il completamento del testo non musicato.

La Fiera di Sorocincy MussorgskijLa Fiera di Sorocincy


libretto di Modest Mussorgskij, dal racconto omonimo di Nikolaij Gogol’

[Sorocinskaja Jamarka] Opera in tre atti
Prima:
Mosca, Teatro Svobodnyj, 8 ottobre 1913
Personaggi:
Cerevik (B); Chirja, sua moglie (Ms); Parasja, figlia di Cerevik (S); il compare di Cerevik (Bar); Gricko (T); Afabasij Ivanovic, figlio del pope (T); lo zingaro (B); Cernoborg, principe dei demoni (B); venditori e venditrici, contadini, carrettieri, zingari, ebrei, cosacchi, giovanotti e ragazze del villaggio, diavoli, streghe, gnomi

________________________________________

Mussorgski era un grande ammiratore di Gogol’ e spesso si divertiva a leggere con gli amici i suoi racconti, soprattutto quelli della prima raccolta Veglie alla fattoria presso Dikanka (1831-32) che si apre proprio con La fiera di Sorocincy . L’idea di scrivere un’opera sulla base del racconto venne al compositore nel 1874: voleva dedicarla al grande basso Osip Petrov e alla moglie Anna Vorobeva, contralto, suoi fraterni amici che avrebbero dovuto interpretare i personaggi di Cerevik e Chivrja. L’ambiente del racconto poneva qualche problema in particolare nei recitativi, essendo la cadenza popolare ucraina molto particolare, inconfondibile. Il lavoro iniziò nel 1876: come spesso accadeva a Mussorgsky, senza libretto, addirittura senza uno schema se non quello gogoliano. Musorgskij cominciò dal breve coro delle fanciulle nel primo atto, che probabilmente era destinato a fondersi con un coro già scritto quattro anni prima per l’opera Mlada per costituire la base della prima scena, quella del mercato. Nel 1877 in collaborazione con Arsenij Goleniscev-Kutuzov stese un canovaccio e si dedicò intensamente alla composizione.
La morte di Petrov nel 1878 spense l’entusiasmo del compositore e rallentò molto il lavoro: alla morte, tre anni dopo, non vi erano che sparsi frammenti di difficile ricostruzione e di non chiaro collegamento tra loro, tanto che Rimsky-Korsakof, occupatosi attivamente di tutte le altre opere musorgskiane, non tentò mai di riordinarde i materiali. Il primo che vi si cimentò fu Vjaceslav Karatygin, che, nel 1911, trentesimo anniversario della morte del compositore, eseguì vari frammenti orchestrati da Anatolij Ljadov, collegandoli con la lettura di brani del testo gogoliano. Due anni dopo, con aggiunte di alcuni brani musicati da Jurij Sachnovskij e altri tratti da opere musorgskiane (per esempio la famosa versione di Rimsky-Korsakof della Notte sul Monte Calvo , inserita come sogno di Gricko nel terzo atto) l’opera ebbe la sua prima esecuzione pubblica.
Altre tre versioni si succedettero: quella di Cezar Cui nel 1917, che recuperò e musicò le parti non utilizzate dal libretto di Goleniscev-Kutuzov, quella di Nikolaij Cerepnin, molto arbitraria, presentata a Montecarlo nel 1923, e quella (seconda) di Sachnovskij nel 1925, che musicò tutte le parti dialogate della prima versione. Un vero e serio lavoro di revisione dei manoscritti musorgskiani venne fatto da Pavel Lamm, che ricostruì tutti gli abbozzi (fra cui danze ucraine, canzoni popolari) e ne affidò l’orchestrazione a Vissarion Šebalin. La versione Lamm-Sebalin è considerata attualmente quella canonica.

Atto primo .
A Sorocincy c’è il mercato, affollatissimo di mercanti di ogni genere, curiosi, compratori. Arriva Gricko con un gruppo di giovanotti, mentre il vecchio Cerevik, in compagnia della bella figlia Parasja, si preoccupa di vendere la malandata giumenta e il grano. Uno zingaro racconta alla folla la storia della giubba rossa che un giorno il diavolo, per procurarsi da bere, vendette e ora cerca di recuperare proprio lì, al mercato. Gricko fa la corte a Parasja; Cerevik prima si oppone poi finisce con lui all’osteria e acconsente alle nozze. Torna a casa ubriaco (cantando con il compare la canzone popolare “Dudu, rududu, rududu”) e viene bruscamente accolto dalla moglie Chivrja, matrigna di Parasja, che si oppone alle nozze. Gricko esprime disperato la sua delusione: si avvicina lo zingaro e gli offre aiuto in cambio dei suoi buoi.

Atto secondo .
Chivrja ha un appuntamento amoroso con il figlio del pope, il goloso Afanasij Ivanovic, per cui sta preparando prelibate frittelle. Il loro idillio è interrotto dall’irrompere di Cerevik e del compare, che con altri amici sono terrorizzati dalle voci (messe in giro ad arte dallo zingaro) di un’apparizione al mercato del diavolo, alla ricerca della sua giubba rossa. Il compare dà ulteriori particolari della storia: in quella un diabolico muso di porco si affaccia dalla finestra e Afanasij Ivanovic, nascosto in un soppalco, precipita sui presenti. Fuggi-fuggi generale.

Atto terzo .
Cerevik e il compare vengono catturati, durante la fuga, dallo zingaro e accusati di furto. Interviene Gricko, che promette la liberazione a patto, però, che Parasja diventi sua moglie. Ottenuto il consenso si addormenta sotto un albero e ha un sogno spaventoso ( La notte sul Monte Calvo ) dove diavoli e streghe danzano agli ordini del principe dei demoni, Cernobog. Si sveglia al suono delle campane. È giorno e Parasja canta un’allegra canzone, accompagnandola con una danza ( gopak ). Cerevik si unisce alla danza. Arrivano il compare e Gricko con un gruppo di amici: Cerevik, mentre lo zingaro trattiene la matrigna infuriata, benedice la figlia. Si celebra il matrimonio e tutti i presenti si lanciano in uno scatenato gopak .
Musorgski rivela nei pochi frammenti di La fiera non solo una perfetta sintonia con i ritmi comici della prosa gogoliana (ne aveva fornito una precedente prova nel Matrimonio , 1868) ma anche una straordinaria capacità di caratterizzazione dei personaggi burleschi di ispirazione popolare, già dimostrato nella scena della taverna al confine lituano di Boris . Il duetto tra l’impacciato, ingordo Afanasij Ivanovic e la vogliosa e dispotica Chivrja è una delle migliori traduzioni in musica di una pagina gogoliana.

Salammbo Modest MusorgskySalammbo


libretto di Modest Musorgsky, dal racconto omonimo di Gustave Flaubert

Opera in quattro atti e sette quadri
Prima:
Napoli, Teatro San Carlo, 29 marzo 1983
Personaggi:
Salammbo (Ms), Mâtho (B), Baleario (Bar), Spendius (Bar), Aminachar (Bar), il primo sacerdote (B); popolo cartaginese, guerrieri libici, sacerdotesse e sacerdoti
________________________________________

Salammbo è la prima opera progettata ma non portata a termine da Mussorgskij: attratto dal romanzo di Flaubert (tradotto in russo nel 1863, subito dopo la sua pubblicazione in Francia), egli pensa a un grand-opéra nello stile di Meyerbeer, suggestionato probabilmente dall’esotismo biblico e dal successo della contemporanea Judif’ di Aleksandr Serov (Pietroburgo 1863), di cui però disapprova la pomposa grandiosità di impianto e la mediocrità del materiale musicale. Inizia la composizione senza un libretto, concentrandosi sulle scene che più sollecitano la sua fantasia. Comincia, nel dicembre 1863 (allora ha ventiquattro anni), dal cuore della vicenda: dal furto a opera di Mâtho del sacro velo della dea Tanit, custodito da Salambo (I,2).
L’anno successivo compone il canto del giovane mercenario delle isole Baleari al banchetto (con cui doveva aprirsi l’opera) e due grandi scene corali: il sacrificio sull’altare di Moloch, che si conclude con l’apparizione di Salambo, decisa a recarsi nel campo nemico, sedurre Matho, riconquistare il velo rubato (II,1) e la condanna a morte di Matho, catturato dai cartaginesi e tenuto prigioniero nei sotterranei dell’Acropoli (IV,1).
Poi la morte della madre e una grave malattia spingono il compositore a interrompere il lavoro, che riprende solo due anni dopo, nel 1866, con due brevi frammenti: il canto di guerra dei libici destinato, insieme al canto del mercenario baleario, al banchetto iniziale, e il coro delle sacerdotesse che assistono Salambo (IV,2). Con questi due frammenti si interrompe definitivamente il lavoro sull’opera: Mussorgski è attratto da altri progetti (prima Il matrimonio , dalla commedia di Gogol’, poi, a partire dal 1868, Boris Godunof ). Il materiale, in gran parte non orchestrato, verrà parzialmente utilizzato sia nel Boris sia in altre opere.

Atto primo .
A Cartagine, dopo la prima guerra punica. Nei giardini di Amilcare, nei pressi della città, i mercenari, tra cui Baleari e Libici, reduci dalla guerra contro Roma, festeggiano la vittoria. Ma molti di loro sono irritati: i capi cartaginesi non hanno ancora pagato loro il soldo pattuito. Il loro capo, il libico Matho, vede, durante il banchetto, la bellissima Salammbo, sacerdotessa della dea della luna Tanit, e se ne innamora.

Atto secondo .
Quadro primo . Nel tempio di Tanit, Salammbo invoca la dea e si addormenta, cullata dal coro di sacerdotesse raccolte in preghiera.
Quadro secondo . Matho penetra nel tempio, accompagnato dallo schiavo greco Spendius: vogliono rapire il sacro velo della dea. Matho riconosce Salammbo e le dichiara il suo amore, poi fugge con il velo. Salammbo, sconvolta, colpisce il gong, chiamando a raccolta sacerdotesse e soldati. Tutti sono terrorizzati dall’ira e dalla maledizione di Tanit: infatti Amilcare è sconfitto dai mercenari ribelli, che marciano su Cartagine.

Atto terzo .
Quadro primo . Il popolo, in preda alla disperazione, chiede al dio Moloch, che manifesta la sua ira con tuoni e lampi, di respingere i nemici e liberare la città.
Quadro secondo . Salambo si dichiara pronta a recarsi nel campo nemico e a riconquistare il velo, invocando la protezione della dea Tanit. Sedotto dalla sacerdotessa, Matho si lascia sottrarre il velo. Le sorti di Cartagine subito si risollevano: Amilcare riesce a sconfiggere i ribelli e a prenderli prigionieri; fra loro c’è anche Matho.

Atto quarto .
Quadro primo . Mâtho, in catene, piange il suo destino, mentre i sacerdoti preparano il suo supplizio.
Quadro secondo . Tra atroci torture, Matho viene giustiziato: Salambo, alla vista dell’orrendo spettacolo, muore di dolore.

I frammenti composti per Salambo contengono invenzioni musicali ricchissime, nonostante la giovane età del compositore, e rivelano un gusto originale, pienamente formato, per le pagine corali e per i monologhi drammatici, che fungono da punti nodali nello sviluppo interiore dei personaggi (Matho che si avvia alla morte prepara la grande scena dell’agonia di Boris). La curiosità per l’esotismo francesizzante, qui ancora evidente, svanirà in seguito per confluire nella più intensa e complessa materia musicale ‘nazionale’, di cui saranno intessute le parti corali di Chovanscina e La fiera di Sorocincy . La recente riscoperta di questi materiali (riordinati e completati nell’orchestrazione da Zoltan Peskó, che li ha presentati in prima esecuzione nell’ambito della stagione Rai di Milano: Conservatorio ‘G. Verdi’, 10 novembre 1980), ha confermato lo straordinario talento musorgskiano per combinazioni strumentali spesso audacemente antipatrici.

Tomba MUSORGSKIJ

MUSORGSKIJ E SAN PIETROBURGO


Tomba

Al Cimitero Tikhvin, nel Monastero di Alexander Nevskij, si trova la tomba del compositore.


Teatro

Il Teatro Accademico Statale d’Opera e di Balletto di Mussorgsky (Pl. Iskusstv 1) occupa un posto speciale nella vita culturale della città. Il teatro fu costruito, nel 1833, dall'architetto A.Brjullov. Inizialmente il teatro era concepito come un teatro sperimentale, un “laboratorio dell’opera sovietica”. Adesso è noto per le rappresentazioni classiche d’opera e di balletto. Il suo repertorio assomiglia a quello del Mariinskij ed include alcuni tra i migliori spettacoli, la cui rappresentazione è ad un altissimo livello.


BIBLIOGRAFIA


AA.VV., La Khovantscina di Mussorgsky: conferenza tenuta il 16 febbraio 1926 all'Accademia di musica M. E. Bossi di Milano da Mary Tibaldi Chiesa., Fiamma, Milano, 1926.
Emerson C., Oldani R. W., Modest Musorgsky and Boris Godunov: myths, realities, reconsiderations, Cambridge University Press, Cambridge, 1994.
Pulcini F., Modest Musorgskij, Paravia, Torino, 1998
.

 

TOUR RUSSIA CLASSICA 2017 - 10 giorni / 9 notti 1290 EURO! Prenotazione entro il 28 febbraio 2017 - CONSULTA L'OFFERTA!

TOUR CAPITALI RUSSE 2017- 8 giorni / 7 notti 1190 EURO! Prenotazione entro il 28 febbraio 2017 - CONSULTA L'OFFERTA!

TOUR SAN PIETROBURGO 5 giorni / 4 notti SOLO 790 EURO TUTTO COMPRESO! CONSULTA L'OFFERTA!

CROCIERA FLUVIALE Mosca - San Pietroburgo 11 giorni / 10 notti 1490 EURO! Prenotazione entro il 28 febbraio 2017 - CONSULTA L'OFFERTA!

Scarica il documento completo sulla proposta Tour Russia Classica 2017

Scarica il documento completo sulla proposta Tour Capitali Russe 2017

Scarica il documento completo sulle proposte TOUR SAN PIETROBURGO 2017

Scarica il documento completo sulle proposte CROCIERE FLUVIALI MOSCA - SAN PIETROBURGO

Contattateci per maggiori informazioni


Home Servizi ON-LINE! Contatti Area Downloads Visti per la russia Viaggi in camper in russia Privacy Condizioni generali di vendita
SanPietroburgo.it s.r.l. - Via San Senatore n. 2 - 20122 Milano - Tel: 02-867211 / 02-84256650 - Fax: 02-700434094

ORARI APERTURA: LAVORIAMO IN SMARTWORKING, CONTATTATECI VIA WHATSAPP. +39 327 3288498 O PER EMAIL
IN UFFICIO RICEVIAMO SU APPUNTAMENTO.
RILASCIAMO TUTTI I TIPI DI VISTI PER LA RUSSIA E ORGANIZZIAMO TUTTI I TOUR PRESENTI NELLE OFFERTE

1999 - 2020© Copyright -  Sito realizzato da 650Mb web agency - made in Salento 
Page Rank Check
Contatta sanpietroburgo.it
anche su:
Sanpietroburgo.it su facebook Sanpietroburgo.it su Twitter Sanpietroburgo.it su Flikr Sanpietroburgo.it su myspace Sanpietroburgo.it su You tubeSanpietroburgo.it su Bliklist Sanpietroburgo.it su BiggerPocket Sanpietroburgo.it su B Kontakte Sanpietroburgo.it su Viaggiatori.net Crocierissime.it