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IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKIJ

Igor Fyodorovitch Stravinskij (17 giugno 1882 - 6 aprile 1971) è un compositore di origini russe, naturalizzato prima francese e in seguito americano. I suoi lavori appartengono agli stili neoclassico e seriale, ma è maggiormente conosciuto per due opere del suo primo periodo russo: Le Sacre du Printemps e L'oiseau de feu. Secondo alcuni, questi balletti reinventarono il genere. Stravinski scrisse inoltre un'ampia gamma di combinazioni per ensemble e forme classiche. La sua opera completa include tutto, dalle sinfonie alle miniature per pianoforte.
Ottenne grande fama come pianista e direttore d'orchestra, spesso alle prime delle sue stesse composizioni. Fu anche scrittore. Con l'aiuto del suo protetto Robert Craft, scrisse un saggio teorico intitolato Poetics of Music, in cui dichiarava che la musica era incapace "di esprimere niente altro che essa stessa". Craft trascrisse anche numerose interviste con il compositore, in seguito pubblicate sotto il titolo di Conversazioni con Stravinsky.
Un tipico Russo cosmopolita, fu uno dei più autorevoli compositori per la musica del XX secolo, sia nel mondo occidentale che nel suo Paese d'origine. Venne nominato dal Time magazine come una tra le persone più influenti del secolo.



VITA

IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKIJStravinskij nacque a Oranienbaum (ora Lomonosov), nelle vicinanze di San Pietroburgo, in Russia. Cresciuto in un appartamento e dominato dal padre e dal fratello maggiore, la sua infanzia fu la cosa più lontana dall'artista cosmopolita che sarebbe poi divenuto. Anche se il padre era un basso al Teatro Mariinsky, Igor originariamente si dedicò agli studi di giurisprudenza: la composizione arrivò in seguito. Nel 1902, a 20 anni, divenne il pupillo di Nikolaj Rimskij-Korsakov, con tutta probabilità il maggior compositore russo del tempo.
Stravinski lasciò la Russia per la prima volta nel 1910, dirigendosi a Parigi per assistere alla prima del suo balletto L'oiseau de feu. Durante il suo soggiorno, compose tre importanti opere per i Ballets russes, L'oiseau de feu, Petrushka (1911) e Le Sacre du Printemps (1913). Da questi balletti si può comprendere il suo cammino stilistico; dall'Uccello di fuoco, il cui stile si accosta a quello di Rimskij-Korsakov, all'enfasi sulla bitonalità di Petrushka, alla dissonanza polifonica e selvaggia de Le Sacre du Printemps. Come lui stesso disse, con queste prime la sua intenzione era "(di mandarli) tutti a quel paese". E ci riuscì: la première di Le Sacre nel 1913 si trasformò in una sommossa.
Il musicista mostrava un inesauribile desiderio di imparare ed esplorare l'arte, la letteratura, la vita. Questo desiderio si manifestava in molte delle sue collaborazioni parigine. Non fu solamente il principale compositore per i Ballets Russes di Sergej Diaghilev, ma collaborò anche con Picasso (Pulcinella nel 1920), Jean Cocteau (Oedipus Rex nel 1927) e George Balanchine (Apollon Musagete nel 1928)..
Relativamente basso e non convenzionalmente considerabile un bell'uomo, Stravinsky non era nemmeno fotogenico, come ci dimostrano numerose sue immagini. Nonostante fosse un riconosciuto donnaiolo (si chiacchierò anche di relazioni con dame dell'alta società come Coco Chanel), era anche un uomo di famiglia che devolveva parte considerevole del suo tempo e delle sue spese ai figli. Era ancora giovane quando, il 23 gennaio 1906, sposò la cugina Katerina Nossenko, che conosceva sin dall'infanzia. Il matrimonio durò per 33 anni, ma il vero amore della sua vita, e compagna fino alla morte fu la seconda moglie Vera de Bosset.
Quando Stravinskij e Vera si incontrarono, nei primi anni '20, lei era sposata con il pittore e scenografo Serge Sudeikin, ma presto cominciò la loro relazione che portò lei ad abbandonare il marito. Da questo momento sino alla morte di Katerina, nel '39, il musicista condusse un'abile doppia vita, trascorrendo parte del suo tempo con la famiglia e il resto con Vera. Katerina ne venne presto a conoscenza e accettò la cosa come inevitabile e permanente. Dopo la sua morte, i due si sposarono a New York dove erano fuggiti nel '40 per sfuggire alla guerra.
Il mecenatismo non fu mai troppo lontano. Nei primi anni '20, Leopold Stokowski riuscì ad aiutarlo regolarmente attraverso un fittizio "benefattore". Il compositore riusciva comunque ad attirare i committenti: la maggior parte delle sue opere successive all'Uccello di Fuoco furono scritte per occasioni specifiche e generosamente retribuite.
Stravinski divenne presto un'uomo di mondo, acquisendo un acuto istinto per le questioni di lavoro e sembrando a suo agio e rilassato in molte grandi città. Parigi, Venezia, Berlino, Londra e New York: tutte ospitarono sue apparizioni di successo sia come pianista che come direttore d'orchestra. La maggior parte delle persone che lo conoscevano per via delle sue performances pubbliche ne parlava come di una persona cortese, gentile e servizievole. Ad esempio, Otto Klemperer, che conosceva bene Schoenberg, diceva di aver sempre trovato Stravinsky molto più cooperativo e più facile da trattare. Allo stesso tempo non teneva molto in considerazione le persone a lui socialmente inferiori: Robert Craft si lamentava della sua abitudine di colpire con la forchetta un bicchiere chiedendo attenzione nei ristoranti.IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKIJ
Casualmente la musica di Stravinsky venne notata da Diaghilev, il direttore dei Ballets Russes a Parigi, che gli commissionò un balletto per il suo teatro. In conseguenza a ciò, nel 1911, Stravinsky si recò a Parigi. Il balletto in questione finì per essere il famoso L'Uccello di Fuoco. Comunque, a causa della prima guerra mondiale e della rivoluzione d'ottobre in Russia, decise di trasferirsi in Svizzera nel '14: tornò a Parigi solo nel '20 per comporre altri balletti e opere diverse. Nel '39 partì per gli Stati Uniti, e vi divenne cittadino naturalizzato nel '45, vivendovi fino alla sua morte nel '71, scrivendo con poco successo colonne sonore per film. In fondo, pur essendo Russo, s'era adeguato a vivere in Francia, ma traslocare così lontano all'età di 58 anni dava una prospettiva veramente diversa. Per un certo periodo conservò un circolo di amici e conoscenti emigrati russi, ma infine realizzò che questo suo comportamento non avrebbe favorito o sostenuto la sua vita intellettuale e professionale in quel paese. Mentre progettava di scrivere un'opera con W.H.Auden, il bisogno di acquisire maggior familiarità con il mondo anglofono coincise con il suo incontro con il direttore e musicologo Robert Craft. Craft visse con Stravinskij fino alla sua morte, in qualità di interprete, cronista, assistente direttore e factotum per infiniti compiti musicali e sociali.
Il gusto di Stravinski in campo letterario era ampio e rifletteva il suo costante desiderio di nuove scoperte. I testi e le fonti letterarie per il suo lavoro partivano da un iniziale interesse nel folklore russo, attraversarono gli autori classici e la liturgia latina, per fermarsi poi alla Francia contemporanea (André Gide, con Persephone) e infine alla letteratura inglese: Auden, Thomas Stearns Eliot e la poesia medievale inglese. Alla fine della sua carriera e vita inserì anche la scrittura ebraica in Abraham and Isaac.
Nel '62 accettò un invito a ritornare in patria per una serie di concerti, ma rimase un emigrato con forti radici in Occidente.
Morì a New York il 6 aprile 1971, a 89 anni: venne sepolto a Venezia, nell'isola di san Michele. La sua tomba è vicina a quella del suo, per lungo tempo, collaboratore Diaghilev. La sua vita ha racchiuso buona parte del XX secolo, e anche molti degli stili musicali classico moderni, influenzando altri compositori sia durante che dopo la sua vita.
C'è una stella a suo nome al numero 6340 di Hollywood Boulevard, all'interno della Hollywood Walk of Fame.


PERIODI STILISTICI

La carriera di Stravinsky è includibile a grandi linee in tre distinti periodi stilistici; quasi tutti i suoi componimenti possono essere sistemati in uno dei tre seguenti.

STRAVINSKYIl periodo primitivo, o russo
Il primo dei maggiori periodi stilistici di Stravinsky (escludendo alcune opere minori giovanili) comincia con i tre balletti che compose per Diaghilev. Questi balletti hanno svariate caratteristiche comuni: sono scritti per essere suonati da orchestre molto numerose; utilizzano temi e motivi folklorici russi; e portano il marchio della musicalità e della strumentazione immaginative di Rimsky-Korsakov.
Il primo dei balletti, L'oiseau de feu, è da notare per la sua introduzione inusuale (terzine lente dei contrabbassi) e orchestrazione movimentata. Anche Petrushka, d'altronde, si distingue per la sua partitura ed è il primo tra i balletti di Stravinskij ad attirare l'attenzione sulla mitologia popolare russa. Ma è il terzo balletto, Le Sacre du Printemps, a venir generalmente considerato l'apoteosi del "periodo russo" di Stravinsky. Qui, il compositore pone l'accento sulla brutalità della Russia pagana, descrivendo questi sentimenti con motivi pungenti e rozzamente abbozzati che occhieggiano in tutta l'opera. Molti i passaggi famosi, ma due degni di particolare nota: il tema d'apertura suonato da un fagotto con note all'estremo del suo registro, quasi fuori scala; e il motivo di otto note suonato dagli archi e accentato dai corni fuori tempo. Altre opere di questo periodo comprendono Renard (1916), L'histoire du soldat (1918) e Les noces (1923).


Il periodo neoclassico
La fase successiva dello stile compositivo dell'artista, brevemente sovrapposta alla precedente, è segnata da due lavori: Pulcinella (1920) e l' Ottetto (1923) per strumenti a fiato. Entrambe queste opere comprendono ciò che è destinato a divenire un segno distintivo di questo periodo; il ritorno di Stravinski alla musica classica di Mozart e Bach e dei loro contemporanei. Questo stile neoclassico richiede l'abbandono delle grandi orchestre che servivano per i balletti. In queste nuove opere, scritte a grandi linee tra il 1920 e il 1950, Stravinsky opta per gli strumenti a fiato, il pianoforte, opere per coro e da camera.
Altre opere come l'Edipo Re (1927), l'Apollon musagète (1928) e il concerto Dumbarton Oaks continuano con questa sua tendenza.
Lavori più ampi di questo periodo sono le tre sinfonie: la sinfonia dei Salmi (1930), la sinfonia in do (1940) e la sinfonia in tre movimenti (1945). Apollon, Persephone (1933) e l'Orpheus segnano anch'essi l'interesse di Stravinskij, in questo periodo, di non solo tornare alla musica "Classica" ma anche ai temi "Classici": in questi casi, la mitologia degli antici Greci.
Il vertice di questo periodo è l'opera The Rake's Progress, completata e messa in scena nel '51. Quest'opera, scritta su un libretto di Auden e basata sugli schizzi di Hogarth, racchiude tutto ciò che il compositore aveva perfezionato nei precedenti 20 anni del suo periodo neoclassico. La musica è diretta ma capricciosa; prende spunto dall'armonia tonale classica ma anche intervalla sorprendenti dissonanze; comprende il marchio di fabbrica di Stravinsky, i "contro ritmi"; e contemporaneamente ritorna alle opere e ai temi di Monteverdi, Gluck e Mozart.
Dopo aver completato quest'opera, Stravinski non scrisse nessun altro lavoro neoclassico e cominciò invece a comporre quella musica che viene a definire il suo cambiamento stilistico finale.


Il periodo dodecafonico, o serialista
IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKIJ
Solo dopo la morte di Arnold Schoenberg, l'inventore della dodecafonia, nel 1951, Stravinsky cominciò a usare questa tecnica nelle sue opere.Senza dubbio, il compositore fu aiutato nella sua comprensione del, e forse anche nella conversione al, metodo dodecafonico dal suo confidente e aiutante Robert Craft, che da lungo tempo perorava la modifica. Conseguentemente, Stravinskij spese i 15 anni successivi componendo opere in questo stile.
Cominciò a dilettarsi con la tecnica dodecafonica in piccole opere vocali come la Cantata (1952), Three Songs from Shakespeare (1953) e In Memoriam Dylan Thomas ('54), come se stesse sperimentando il sistema. Successivamente cominciò ad espandere il suo uso di questa tecnica in lavori spesso basati sulle Sacre Scritture, come Threni ('58), A Sermon, a Narrative, and a Prayer ('61) e The Flood ('62).
Un'importante opera di transizione in questo periodo del lavoro di Stravinsky fu un ritorno al balletto: Agon, per dodici ballerini e un'orchestra di 112 elementi, composto tra il ('54) e il ('57). Questo balletto può essere visto come una sorta di enciclopedia in miniatura di Stravinski, dato che contiene molti spunti che si ritrovano in tutto l'arco della sua vita compositiva, sia essa primitivista, neoclassica, o serialista: svolazzi ritmici e sperimentazioni, ingenuità armoniche, e un abile "orecchio" per un'orchestrazione impetuosa e autoritaria. In effetti, queste caratteristiche sono quelle che fanno la produzione di Stravinsky così unica se comparata con le opere di compositori serialisti a lui contemporanei.

Influenza e innovazione
Il lavoro di Stravinskij racchiude svariati stili compositivi, rivoluzionò orchestrazioni, attraversò diversi generi, praticamente reinventò la forma del balletto e incorporò culture, linguaggi e letterature. Quindi, la sua influenza sui compositori sia contemporanei che successivi alla sua vita era e rimane notevole.


Innovazioni compositive

Stravinski cominciò a ripensare il suo uso del motivo e dell'ostinato già ai tempi del balletto L'Uccello di fuoco, anche se l' uso di questi elementi musicali raggiunse l'apice ne Le Sacre du Printemps. Lo sviluppo del motivo musicale, che usa una distinta frase musicale successivamente alterata e sviluppata lungo un brano, ha le sue radici nelle sonate dell'era di Mozart. Il primo maggiore innovatore in questo metodo fu Beethoven; il celebre mtivo d'apertura della Quinta Sinfonia riappare in tutta l'opera con sorprendenti e fresche variazioni. Ad ogni modo, l'uso da parte di Stravinsky dello sviluppo dei motivi musicali fu unico per la maniera in cui egli modificava i suoi motivi. Ne Le Sacre du Printemps introduce variazioni "additive", quelle che aggiungono o sottraggono una nota a un motivo, senza riguardo alle modifiche metriche.
Lo stesso balletto è degno di nota per il suo spietato uso dell'ostinato. Il passaggio più conosciuto è formato da un ostinato di 8 note da parte degli archi accentato da 8 corni che si può ascoltare nella sezione Auguries of Spring (Dances of the Young Girls). Questo è forse il primo caso in musica di un ostinato "allargato" che non viene usato né per variazione né per accompagnamento della melodia. In altri momenti in quest'opera Stravinskij "nasconde" altri ostinato opposti tra loro, senza riguardo all'armonia o al tempo, creando uno zibaldone musicale, equivalente di un quadro cubista. Questi passaggi sono da tenere in considerazione non solo per la loro qualità di pastiche ma anche per la loro lunghezza, in quanto il Nostro li tratta come una sezione musicale completa e separata.
Queste tecniche prevenivano di alcune decadi i lavori minimalisti di compositori come Terry Riley e Steve Reich.


Neoclassicismo

Stravinski fu il più importante, se non il primo, professionista dello stile "neoclassico", uno stile che sarà successivamente adottato da compositori molto diversi tra loro come Darius Milhaud e Aaron Copland. Sergej Prokofiev rimproverò, seppur simpaticamente, Stravinsky per il suo manierismo neoclassico, avendo egli stesso ribaltato un similare terreno musicale con la sua sinfonia n.1, la Classica, composta negli anni '16-'17.
Stravinskij annunciò il suo nuovo stile nel '23 con la partitura "delicata" dell'Ottetto per fiati. Le armonie chiare, che guardano al passato dell'era della musica classica di Mozart e Bach e le combinazioni semplificate di ritmo e melodia erano una risposta diretta alle complessità della seconda scuola viennese di Arnold Schoenberg. Stravinski potrà anche esser stato preceduto da Satie in questa sua astuzia, ma si può senza dubbio affermare che, quando Copland componeva il suo balletto Appalachian Spring, il modello era proprio Stravinsky stesso.
Sicuramente negli ultimi anni '20 e nei '30, il neoclassicismo come genere moderno accettato era quello prevalente in tutti i circoli musicali del mondo. Ironicamente, fu lo stesso compositore russo ad annunciare la morte del neoclassicismo, almeno per ciò che riguardava il suo lavoro, se non per il mondo stesso, con il completamento dell'opera The Rake's Progress nel '51. Quasi una dichiarazione finale per quanto riguarda lo stile, l'opera venne largamente ridicolizzata come troppo "proiettata all'indietro", anche da coloro che avevano lodato il nuovo stile da appena tre decadi.


IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKIJCitazioni e pastiches
Stravinsky usò la tecnica oggigiorno molto attuale, che possiamo considerare addirittura postmoderna, della citazione musicale diretta e dell'imitazione già nel '20 nella sua opera Pulcinella. Basandosi sulla musica di Pergolesi, alcune volte riproducendola direttamente e altre semplicemente reinventandola, crea un'opera nuova e "fresca". Userà la stessa tecnica nel balletto The Fairy's Kiss del '28. Qui è la musica di Caikovskij, nello specifico Il Lago dei Cigni, che Stravinskij usa come fonte d'ispirazione. Questo "prestito" compositivo sarà molto in voga negli anni '60, come nella Sinfonia di Luciano Berio.


L'utilizzo del materiale popolareCi furono altri compositori nella prima metà del XX sec. che collezionarono e aumentarono la musica folk della loro patria d'origine, usando questi temi nelle loro opere. Esempi degni di nota sono Béla Bartók e Zoltán Kodály. Già in Le Sacre du Printemps Stravinski si rinnova per l'ennesima volta nel suo uso dei temi popolari. Li spoglia fino ai loro elementi più basilari, sola melodia, e spesso li contorce e modifica oltre ogni possibile riconoscimento con note aggiuntive, inversioni, diminuzioni e altre tecniche. Lo fa così magistralmente, in effetti, che solo con studi recenti, come Stravinsky and the Russian Traditions: A Biography of the Works Through Mavra di Richard Taruskin, gli analisti sono riusciti a ricostruire il materiale originale dell'ispirazione di qualche brano di Le Sacre.


Innovazioni orchestrali

Il periodo tra la fine del XIX sec. e l'inizio del XX sec. fu un tempo straripante di innovazioni orchestrali. Compositori come Anton Bruckner e Gustav Mahler erano ben considerati per le loro abilità nel comporre per questo mezzo. A loro volta, vennero influenzati dall'espansione dell'orchestra tradizionale classica di Richard Wagner che promuoveva un uso di grandi masse di strumenti, spesso di tipo inusuale.
Stravinsky continuò questa tendenza romantica di scrivere per orchestre enormi, soprattutto nei suoi primi balletti. Ma fu quando cominciò ad allontanarsi da questa via che iniziò a innovare con l'introduzione di combinazioni insolite di strumenti. Ad esempio, ne L'Histoire du Soldat gli stumenti usati sono clarinetto, fagotto, trombone (basso e tenore), cornetta, violino e percussioni, un insieme alquanto sorprendente per quel periodo (il '18). Tutto ciò diverrà praticamente uno stereotipo nella musica del dopoguerra.
Un'altra modifica degna di nota attribuibile in parte a Stravinskij è lo sfruttamento dei suoni estremi raggiungibili dagli strumenti musicali. Il passaggio più famoso in questo campo è l'ouverture de Le Sacre du Printemps, dove il compositore usa le note estreme del fagotto per simulare il risveglio simbolico di un mattino primaverile.
Si deve anche notare che compositori come Anton Webern, Alban Berg e il succitato Schoenberg avevano già esplorato alcune di queste tecniche orchestrali e musicali all'inizio del XX sec., anche se la loro influenza sulle generazioni successive di musicisti fu eguagliata, se non superata, da quella di Stravinski.


La critica
IGOR FYODOROVITCH STRAVINSKY
"La musica di Le Sacre du Printemps oltrepassa ogni descrizione verbale. Dire che è un suono orrendo è un eufemismo. Vi si può certamente riconoscere un ritmo incitante. Ma in pratica non ha nessuna relazione con la musica come la maggior parte di noi la considera." Musical Times, Londra, 1 agosto 1913 (Nicolas Slonimsky, 1953)
"Tutti i segni indicano una forte reazione contro l'incubo del rumore e dell'eccentricità che era tra i lasciti della guerra....Cosa ne è stato delle opere che formavano il programma del concerto di Stravinsky che ha creato tale agitazione, solo qualche anno fa? Praticamente la totalità sono già archiviate, e lì rimarranno fino a quando qualche nevrotico sfinito e spossato sentirà nuovamente il desiderio di mangiare cenere e riempirsi lo stomaco con un vento orientale" Musical Times, Londra, ottobre 1923 (ibid.)
Il compositore Constant Lambert (nel '36) descrisse opere come L'Histoire du Soldat come contenenti "essenzialmente astrazione a sangue freddo". Inoltre, i "frammenti melodici (nella stessa opera) sono loro stessi senza alcun significato. Sono puramente successioni di note che possono essere divise in modo conveniente in gruppi di 3, 5 o 7 e sistemate contro altri gruppi matematici", e la cadenza per l'assolo di percussioni è "purezza musicale...raggiunta attraverso una specie di castrazione musicale". Paragona la scelta di Stravinsky "delle più monotone e meno significanti frasi" a quelle di Gertrude Stein nel suo libro del '22 Helen Furr e Georgine Skeene "Everday they were gay there, they were regularly gay there everyday", "i cui effetti sarebbero ugualmente apprezzabili da qualcuno con nessuna conoscenza dell'inglese",
Nel suo libro Philosophy of Modern Music (1948), Theodor Adorno definisce Stravinskij un acrobata, un funzionario statale, un manichino da sarta, psicotico, infantile, fascista, e devoto solo al denaro. Parte degli errori del compositore, nell'opinione di Adorno, era il suo neoclassicismo, ma più importante era "lo pseudomorfismo della pittura" della sua musica, che riproduceva il tempo spazio piuttosto che il tempo durata di Henri Bergson. "Un inganno caratterizza tutti gli sforzi formali di Stravinski: il tentativo della sua musica di ritrarre il tempo come in un dipinto di circo e di presentare i complessi temporali come fossero spaziali. Questo inganno, comunque, presto si esaurisce". (1948)


OPERE


Balletti

L'oiseau de feu (1910)
Petrushka (1911)
Le sacre du printemps (1913)
Renard (1916)
Pulcinella (1920)
Apollon Musagète (1928)
Le baiser de la fée (1928)
Jeu de cartes (1936)
Orpheus (1947)
Agon (1957)

Opera/Teatro
Le rossignol (1914)
Burleske per 4 pantomime e orchestra da camera (1916)
Histoire du soldat (1918)
Mavra (1922)
Le nozze (1923)
Oedipus rex (1927)
Perséphone (1933)
Babel (1944)
The Rake's Progress (1951)
The Flood (1962)


Musica da camera

Tre pezzi per Clarinetto (1919)
Ottetto (1923)
Settimino (1953)

Opere corali
Le roi des étoiles per coro maschile e orchestra (1912)
Pater Noster (1926)
Sinfonia di Salmi (1930)
Messa (1948)
Cantata per soprano, tenore, voci femminili, 2 flauti, oboe, corno inglese, violoncello (1953-1954)
Canticum Sacrum (1955)
Threni (1958)
A Sermon, a Narrative and a Prayer (1961)
Abramo e Isacco (1963)
Introitus (1965)
Requiem Canticles (1966)

Composizioni per orchestra
Sinfonia in mi maggiore (1907)
Fuoco d'artificio (1908)
Le chant du rossignol) (1917)
Symphonies of Wind Instruments (1920)
Concerto per violino in re (1931)
Concerto in mi (Dumbarton Oaks) per orchestra da camera (1938)
Sinfonia in do (1940)
Four Norwegian Moods (1942)
Ode (1943)
Sinfonia in tre movimenti (1945)
Variazioni (1963–1964)


Opere per piano

Tarantella (1898)
Scherzo (1902)
Sonata in Fa diesis minore (1904)
Piano Rag Music (1919)
Sonata (1924)
Capriccio per pianoforte e orchestra (1929)
Movimenti per pianoforte e orchestra (1958–1959)


Opere vocali
Romanza per voce e piano (1902)
Deux poèmes de Paul Verlaine (1910)
Three Songs from William Shakespeare (1953)
Four Songs (1954)
Two Poems of K. Balmont (1954)
In Memoriam Dylan Thomas (1954)
Elegy for J.F.K. (1964)
The Owl and the Pussy Cat (1966)


La sagra della primavera StravinskyLa sagra della primavera

La Sagra della Primavera è uno dei più popolari e rivoluzionari balletti del 20° secolo. In musica il capolavoro è considerato come l’inizio del movimento modernista – con il suo uso di dissonanze, di ritmi audaci e fluttuanti.
Alla prima mondiale, al Theâtre des Champs-Elysees a Parigi il 29 maggio 1913, era in programma insieme a Sylphides di Michel Fokine (1880 – 1942). La Sagra della Primavera ha provocato una rissa: la scandalosa musica e l’audace coreografia di Vaslav Nijinsky (1890 - 1950), hanno provocato tali proteste tra il pubblico mondano che i ballerini non potevano più sentire l’orchestra dal vicino golfo mistico. Il pubblico è passato dagli insulti verbali all’assalto fisico. Il compositore Maurice Ravel (1875 – 1937), che applaudiva entusiasta tra il pubblico, è stato chiamato uno “sporco ebreo”. Ciò nonostante lo spettacolo ha continuato, aizzato dal coreografo Nijinsky, che si è messo in piedi su una sedia dietro le quinte urlando istruzioni ai ballerini e mimando i ritmi. Sergei Diaghilev (1872 – 1929), il direttore dei Ballets Russes, aveva dato istruzioni al direttore d’orchestra Pierre Monteux (1875 – 1964) di “continuare a suonare ad ogni costo”. La stampa l’ha soprannominato “Il Massacro della Primavera”. Le reazioni degli appassionati del balletto erano divise.
Igor Stravinsky (1882 – 1971) era stato allievo di Nikolai Rimsky-Korsakov (1844 – 1908) in Russia; trasferitosi a Parigi ha frequentato Debussy e Ravel. Mentre terminava L’Uccello di Fuoco, ha avuto una visione di un solenne rituale pagano: anziani saggi seduti in cerchio guardavano, mentre una giovane vergine danzava fino alla morte. Voleva tradurre la sua visione in un poema sinfonico, da chiamarsi Il Grande Sacrificio. Ne ha parlato con un amico, il pittore Nicholas Roerich (1874 – 1947), esperto dei riti e rituali degli Slavi pagani. Roerich ha collaborato con Stravinsky alla realizzazione dello scenario del balletto e in seguito ha creato i costumi e la scenografia. Diaghilev ne era immediatamente attratto e ha commissionato la partitura convinto di farne un nuovo balletto per la prossima stagione, La Coronazione della Primavera, cambiato all’ultimo momento nella Sagra della Primavera.
Comporre per un così vivido e primitivo scenario avrebbe richiesto che Stravinski cercasse nel profondo della sua immaginazione e del subconscio, e che rifiutasse i precedenti stili musicali per quanto gli fosse possibile. Sottotitolato “Quadri della Russia Pagana”, racconta la storia di una vergine, l’Eletta, che sarà sacrificata al dio della primavera.
Il balletto è formato da due sezioni "L’Adorazione della Terra" e "Il Sacrificio”. Fino ad oggi non ha mai perso la sua originalità e freschezza; rimane uno dei lavori più popolari di Stravinskij, sia in concerto sia sul palcoscenico.
L’asprezza della musica con i suoi intensi ritmi primordiali suggerisce posizioni contorte, flessioni, rovesciamenti più prossimi alla danza libera di Isadora Duncan che alla danza accademica. Nijinsky ha colto queste sensazioni creando movimenti duri, primitivi, con le gambe en dedans, le braccia che dondolavano pesanti, le teste che penzolavano di lato. La coreografia era composta di gruppi di ballerini che formavano masse sul palcoscenico e di passi semplici e naturali. Stravinsky
La versione di Nijinsky è stata replicata solo cinque volte a Parigi e tre a Londra. Il balletto ha causato la bancarotta del proprietario del Theâtre des Champs-Elysees. Con il passare del tempo la genialità del lavoro è stato universalmente riconosciuto ed il balletto è passato alla legenda. Però non è mai più stato rappresentato fino a quando Millicent Hodson l’ha ricreato per lo Joffrey Ballet nel 1987. Hodson ha basato la coreografia sulle sue ricerche ed interviste con Dame Marie Lambert (1888 – 1982), assistente di Nijinsky durante la creazione della Sagra.
Svariati coreografi hanno creato centinaia di versioni della Sagra della Primavera. Ricordiamo quello di Leonide Massine (1896 – 1979), finanziato da Coco Chanel nel 1920, che ha ripreso la coreografia di Nijinsky rendendolo più civile ed enfatizzando i rapporti sociali fra due tribù; Marta Graham (1894 – 1991) ne ha danzato il ruolo dell’Eletta nella prima tournee in America nel 1930.
In Fantasia (1940), Walt Disney (1901 – 1966) ha creato una coreografia virtuale mostrando l’evoluzione della vita sulla terra al ritmo della musica della Sagra.
Maurice Béjart (1927 - ), nella celebre coreografia che ha creato per il Balletto del XX° Secolo nel 1959, ha enfatizzato il potere di procreazione nella dualità sessuale, proponendo un corpo di ballo vestito con tute che facevano sembrare nudi i ballerini. Nel suo balletto l’atto sessuale diventa il sacrificio. Béjart commenta, “L’amore umano, nei suoi aspetti carnali, simboleggia l’atto con il quale la divinità crea il cosmo e la gioia che ne deriva.”
Kenneth MacMillan (1929 – 1992) ha presentato una trasposizione con un uomo nel ruolo dell’Eletta nel 1962. Pina Bausch (1940 - ) ha esplorato le emozioni ed il senso di terrore delle partecipanti, su un palcoscenico coperto di terra, nel 1975.
Nel 2002, Angelin Preljocaj (1956 - ) ha esplorato i rituali moderni di passione, tracciando una traiettoria pericolosa di desiderio, dove gli abbracci degli innamorati diventano distruttivi nella ricerca d’esperienze sempre più estremi.


Le Rossignol, di Igor StravinskyLe Rossignol
, di Igor Stravinsky (1882-1971)
libretto proprio e di Stepan Mitusov

Fiaba musicale in tre atti
Prima:Parigi, Opéra, 26 maggio 1914
Personaggi:
il pescatore (T), l’usignolo (S), la piccola cuoca (S), il ciambellano (B), il bonzo (B), l’imperatore della Cina (Bar), la Morte (A), i messi giapponesi (T, T, B); cortigiani, spettri, coro
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« Le rossignol prova forse soltanto che avevo ragione nel comporre balletti mentre non ero ancora pronto per scrivere un’opera, nonostante ne esistesse già qualche germe come nell’idea del duetto maschile (tra il ciambellano e il bonzo), che avrei sviluppato in seguito in Renard , Oedipus , nel Canticum sacrum e in Threni e la figura in sedicesimi dell’interludio del pescatore alla fine del primo atto, che è puro Baiser de la fée ». Con queste parole l’anziano Stravinskij giudicò, con un pizzico di civetteria, la sua prima opera, che fu composta interamente in Russia tra il 1907 e il ’14. In realtà, dopo aver finito il primo atto nel 1908, Stravinski riprese in mano il libretto solo nel ’13 in vista di una rappresentazione al Teatro Libero di Mosca, che però non ebbe luogo a causa del fallimento del teatro stesso. La ‘prima’ dell’opera a Parigi, dopo quanto era successo per il Sacre du printemps , – ricorda Stravinsky – «fu un insuccesso, solo nel senso che non riuscì a creare uno scandalo». L’idea dell’opera nacque dunque in un periodo in cui il giovane Stravinskij gravitava ancora nell’orbita del maestro Rimskij-Korsakov, al cui modello di fiaba operistica va evidentemente riferita anche la scelta del soggetto. Stravinski, assieme all’amico Matusov, elaborò infatti una delle più note ‘fiabe artistiche’ di Andersen, mantenendo sostanzialmente intatta la struttura drammaturgica già delineata nel racconto.
Atto primo. Sul margine di un bosco in riva al mare, un pescatore (rappresentato sulla scena da un mimo mentre il cantante si trova in orchestra) aspetta l’alba, ricordando il canto dell’usignolo che alleviava i suoi affanni. All’improvviso si ode la voce meravigliosa dell’usignolo (anch’essa proveniente dall’orchestra). Nella radura arrivano i cortigiani dell’Imperatore della Cina, guidati da una giovane cuoca che conosce il luogo dove risuona l’incantevole voce dell’uccello. Gli ottusi dignitari scambiano il canto dell’usignolo prima col muggito di una mucca poi col gracidare delle rane, finché la cuoca non indica loro il piccolo animale a lungo cercato. Il ciambellano invita l’usignolo a palazzo, affinché allieti le orecchie dell’Imperatore.
Atto secondo. La corte è in subbuglio per preparare la grande festa (coro ‘delle correnti d’aria’). L’imperatore fa il suo ingresso, al suono di una solenne marcia, assiso sul baldacchino e preceduto dal corteo dei dignitari. A un cenno del sovrano, l’usignolo si esibisce destando l’ammirazione generale e soprattutto delle frivole dame, che tentano goffamente di imitarne l’abilità per mettersi in mostra. L’usignolo, di suo, si dichiara già abbastanza ricompensato dalle lacrime di commozione dell’imperatore. Entrano anche i messi dell’imperatore del Giappone, che ha inviato in dono al sovrano vicino un usignolo meccanico. Mentre si esibisce la macchina, il vero usignolo scompare senza farsi notare. Offeso dalla sua fuga, l’imperatore lo bandisce dal regno. Le Rossignol, di Igor Stravinsky
Atto terzo. In una notte di luna, l’imperatore giace a letto gravemente ammalato: la Morte già gli sta vicino. L’imperatore, spaventato dagli spettri del suo passato, chiede a gran voce della musica; l’usignolo accorre per confortare l’imperatore morente con il suo canto, che desta meraviglia persino nella Morte. Essa insiste per ascoltare ancora la voce dell’uccellino, ma in cambio questi le chiede di restituire la corona e la spada all’imperatore. L’imperatore dunque guarisce, e vorrebbe tenere vicino a sé l’usignolo, come se fosse il più alto dei dignitari. Ma l’usignolo declina gentilmente come aveva fatto in precedenza, promettendo però di tornare tutte le notti a cantare per lui. Al mattino i cortigiani rimangono stupefatti vedendo il sovrano perfettamente sano, mentre la voce del pescatore commenta in lontananza il canto degli uccelli: «Ascoltateli: con la loro voce vi parla lo spirito del cielo».
Al contrario di ciò che accade nella favola di Andersen, in cui la semplicità del canto dell’usignolo si contrappone all’artificioso fasto della corte, nell’opera di Stravinsky la drammaturgia musicale appare rovesciata: è la prodigiosa abilità belcantistica dell’usignolo a stagliarsi sullo sfondo del registro basso o popolaresco dell’ambiente che lo circonda. L’effetto di sorpresa, che in Andersen è provocato dall’ingresso del ‘naturale’ canto dell’usignolo in un ambiente ormai totalmente artificioso, viene raggiunto invece in Stravinskij dal carattere ‘meraviglioso’, non comune, della voce dell’usignolo, che solo nella finzione teatrale è frutto di ingenuo talento. In realtà le parti più ‘rozze’ della musica sono proprio quelle riservate a raffigurare l’ambiente pomposo della corte imperiale. Questa opposta prospettiva drammaturgica si presta particolarmente bene a una trasposizione musicale, si intende per consentire il dispiegarsi dell’elegante virtuosismo vocale della protagonista, che ha il suo momento culminante nella canzone del secondo atto (“Ah, joie, emplis mon coeur”). A questo si contrappone lo stile popolare ruvido ma sincero della giovane cuoca, la vuota pomposità del ciambellano e l’accento persino comico del bonzo, con il suo continuo intercalare «Tsing-Pé!».
L’insegnamento di Rimskij-Korsakov è certamente avvertibile in Rossignol , in particolare nell’estatico canto iniziale del pescatore (“Porté au vent, tombant au loin”) o nella simbologia negativa legata all’uccello meccanico, genialmente rappresentato con un assolo di oboe. Tuttavia la personalità di Stravinski è qui già sviluppata a sufficienza per permettere di disseccare il retaggio del debussismo e dell’operismo russo della sua formazione nello stile asciutto e a tratti tagliente dei cinquanta minuti dell’opera. Certe angolosità del ritmo e certi timbri strumentali hanno un sapore cubista, così come l’intonazione qua e là un ‘selvaggia’ dell’espressione popolaresca prefigura il piglio fauve delle Noces . Quest’opera di transizione indica come il linguaggio successivo di Stravinsky si sviluppi in realtà dalla maturazione di germogli contenuti nelle stesse radici russe del suo stile.


L’uccello di fuoco StravinskijL’uccello di fuoco

L'Oiseau de feu (1910), terzo cammeo del programma fokiniano, è nato su una partitura scritta appositamente dallo stesso Stravinskij, e come Shéhérazade, celebra - nella trama e nell'impaginazione - l'orientalismo più fastoso ed esotico, quell'universo affascinante rivelatore di vivide fantasie della lontananza, che fu la chiave d'accesso dei Ballets Russes al pubblico più sofisticato della Ville Lumière, dettando una vera e propria moda agli inizi del secolo scorso.
Lo zarevic Ivan cattura l'uccello di fuoco e lo libera in cambio di una delle sue piume fatate, un talismano potente in caso di bisogno. Ivan ardisce così entrare nel regno di Katscei, perfido carceriere di principesse, abituato a impietrire i principi che tentano di riscattarle. Il giovane zarevic si innamora, ovviamente, della più bella e, con l'aiuto della piuma magica, riesce a distruggere il regno del maleficio, facendo danzare i guardiani, neri e cattivi, fino alla morte e distruggendo l'uovo che contiene l'anima del malvagio Katscei. E, alla fine di questo percorso iniziatico affrontato con il coraggio acquisito della maturità, impalma in una sontuosa apoteosi di dorate nozze ortodosse la sua Zarevna. L’oiseau de feu di Igor Stravinski venne composto a Pietroburgo tra il 1909 e il 1910 ed eseguito per la prima volta per i Ballets Russes all’Opéra di Parigi nel 1910. Primo lavoro scritto per la compagnia di Djaghilev, si mantiene sulla linea classica dei balletti russi dell’Ottocento e la trama proviene da una fiaba slava. Si articola in una introduzione e due quadri per un totale di diciannove episodi, durante i quali il magico Uccello di fuoco aiuta il principe Ivan, che lo ha appena liberato, a salvarsi dal malvagio e Kašcej e a conquistare la principessa del cuore. Per differenziare elementi naturali e soprannaturali Stravinsky ricorre a linguaggi musicali e stili contrastanti.


Mavra Mavra
libretto di Boris Kochno, dal poema La casetta di Kolomna di Aleksandr Puskin

Opera buffa in un attoPrima:
Parigi, Opéra, 3 giugno 1922 Personaggi:
Parasa (S); la madre (A); la vicina (Ms); l’ussaro, poi sotto le false vesti della cuoca Mavra (T)
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Mavra venne originariamente concepita nella primavera del 1921, al Savoy Hotel di Londra, come un’operina che fungesse da prologo alla ‘riesumazione’ da parte di Djagilev della Bella addormentata nel bosco di Cajkovskij, a cui Stravinski contribuì riorchestrando due numeri. Boris Kochno racconta di aver cercato con Stravinsky, tra i classici russi, una sceneggiatura con pochi personaggi, scegliendo infine il poema satirico di Pushkin La casetta di Kolomna . Stravinskij e Kochno elaborarono insieme, a Londra, l’ordine di successione dei numeri, dopo di che il compositore russo si ritirò ad Anglet, in attesa che si concludesse la stesura del libretto. Nelle parole del compositore, « Mavra è cajkovskijana sia per il periodo sia per lo stile (...) ma la dedica a Cajkovskij era anche un gesto propagandistico. Volevo mostrare una Russia diversa ai miei colleghi non russi, specialmente a quelli francesi, i quali erano, a mio parere, saturi dell’orientalismo da ente turistico del gruppo dei Cinque». Mavra è infatti dedicata «alla memoria di Puskin, Glinka e Cajkovskij» e raccoglie l’eredità della musica colta russa dell’Ottocento (mentre con Les Noces , Pribautki e Renard aveva assunto come punto di partenza la musica popolare russa), anche se Stravinski pare qui rivolgersi più a Glinka che a Caikovski – a quest’ultimo avrebbe dedicato, sei anni dopo, un ampio ed esplicito tributo personale con il balletto Le baiser de la fée . Mavra segna un momento fondamentale e nevralgico – oltre che controverso – nell’evoluzione del linguaggio compositivo di Stravinsky, nel quale si delineano i tratti fondamentali della poetica ‘neoclassica’ (intesa soprattutto come ‘musica al quadrato’, nel suo trarre spunto da musiche preesistenti), pur concludendo virtualmente il suo periodo russo. Secondo Ansermet con Mavra assistiamo alla messa in atto di un processo di ‘riduzione’ da parte di Stravinskij, che «nella povertà trova la salute» e dà l’avvio a una nuova fase in cui «la musica si spoglia di tutto ciò che l’aveva irrigidita». Con il suo balletto Pulcinella Stravinski aveva del resto già individuato un percorso (fatto di ‘sguardi all’indietro’) che gli consentiva di adattare e trasformare sulla base delle proprie esigenze creative linguaggi e convenzioni stilistiche appartenenti alla storia della musica, da lui intesa come repertorio pressoché illimitato di possibilità, di risorse compositive suscettibili di essere utilizzate con disinvolta quanto appassionata voracità e attitudine ‘predatoria’. Così, in Mavra , materiali sonori estremamente variegati, nei quali si fondono motivi russi, tzigani (seppure di maniera), ragtime e altro ancora, vengono calati in cornici individuabili come arie, duetti e quartetti, ovvero gli stereotipi dell’opera buffa italiana e del melodramma russo ottocentesco (inaugurato da Glinka – i cui modelli erano Rossini, Donizetti e Bellini – e proseguito da Cajkovskij), dei quali si mantiene, se pur parodiandola in una sorta di ironica e sarcastica rifrazione, l’impronta inequivocabilmente belcantistica, contrapposta a una trama orchestrale affatto atipica e dirompente, segnata da aspri impasti strumentali – Casella ha parlato di una «sonorità quasi sempre feroce e truce» – ai limiti del grottesco (grazie anche al nettissimo sbilanciamento timbrico dovuto alla preponderanza degli strumenti a fiato: 23 su 34). La vicenda narrata da Puskin ne La casetta di Kolomna è, in senso stretto, un semplice aneddoto, che si regge interamente sul coup de théâtre ; nell’opera viene suddivisa in tredici ‘numeri’, che si susseguono uno dopo l’altro senza soluzione di continuità, e quindi con la sostanziale abolizione dei recitativi. Mavra
Parasa è intenta a ricamare in un salotto borghese. L’ussaro Vasilij si affaccia alla finestra e Parasa intona una malinconica canzone, di carattere inequivocabilmente russo, in cui si lamenta della sua prolungata assenza. Vasilij le risponde con la ‘Canzone gitana dell’ussaro’, e il suo canto si intreccia con quello di Parasa, trasformandosi in un breve duetto d’amore fino a quando l’ussaro si allontana, lasciando l’innamorata terminare la sua aria. Fa il suo ingresso la madre di Parasa, che si lamenta per la mancanza di una domestica dopo la morte della vecchia cuoca Fyokla. La madre manda Parasa a cercare una nuova domestica e intanto si intrattiene in chiacchiere con una vicina. Parasa fa ritorno a casa assieme a una robusta ragazza che presenta come la nuova cuoca, mentre d’altri non si tratta se non dell’ussaro travestito, a cui è stato affibbiato il nome di Mavra; i quattro esprimono la loro contentezza e cantano le lodi della scomparsa Fyokla. Dopo che la vicina si è allontanata e la madre è salita per prepararsi a uscire, i due innamorati, finalmente soli, intonano il loro duetto; poi Parasa si allontana anch’ella, insieme alla madre. Rimasta sola in casa, Mavra ne approfitta per radersi, ma viene sorpresa nell’assai poco femminile incombenza dall’inopinato ritorno di Parasa e della madre, che perde i sensi, riprendendoli in tempo per vedere Mavra che, dopo aver cantato un’aria alquanto frettolosa, fugge dalla finestra, mentre la figlia grida: «Vasilij, Vasilij!».
La prima rappresentazione di Mavra fu un insuccesso clamoroso e Stravinsky, che ne ebbe un’amarezza senza confronti nella sua pur lunga e contrastata carriera compositiva, si ostinò in più occasioni nel difendere le sue posizioni estetiche, dimostrando l’importanza che attribuiva a questo lavoro tutt’altro che marginale nell’ambito della sua produzione. Mavra rappresenta, analogamente al testo di Puskin, prescelto proprio in virtù delle sue caratteristiche affatto convenzionali e aneddotiche, un vero e proprio esercizio di stile, nel quale il compositore ritorna alla tradizione dopo averla accuratamente svuotata di significato, riducendola allo status di archetipo, dopo aver disseminato il testo musicale di scarti improvvisi e deviazioni, e dopo aver mandato in cortocircuito le norme stilistiche assunte a modello, in una serratissima e vertiginosa poetica dei contrasti. Stravinskij smonta e rimonta a modo suo il meccanismo dell’opera buffa individuandone l’elemento fondante, strutturale, nell’artificio retorico della parodia (che di volta in volta assume nella composizione accenti e soluzioni tecniche diverse). Il compositore oggettivizza la musica, straniandola dalla sua funzione drammaturgica, creando un contrasto irresistibile sia tra il materiale musicale e il soggetto trattato che, ad esempio, tra la linea vocale, fluida e gradevole, e l’accompagnamento, caratterizzato da un andamento meccanico ma nello stesso tempo ‘sghembo’ e intermittente; o ancora, tra le attese ritmiche e armoniche suggerite dalle melodie e le effettive soluzioni adottate nella scrittura orchestrale.


Oedipus rex Oedipus rex
libretto di Jean Cocteau, nella traduzione in latino di Jean Danielou

Opera-oratorio in due atti

Prima:Parigi, Théâtre Sarah Bernhardt, 30 maggio 1927 Personaggi:
Oedipe (T), Jocaste (Ms), Créon (Bar), Tirésias (B), il pastore (T), il messaggero (Bar); coro di tebani
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Dopo la composizione di Mavra , opera buffa «in memoria di Cajkovskij, Glinka e Puškin», Stravinsky torna al teatro con Oedipus rex , scritto in collaborazione con l’ enfant terrible della cultura francese tra le due guerre, Jean Cocteau. La brusca virata di Stravinskij verso il neoclassicismo si manifestò nel modo più radicale in questa particolarissima rilettura della tragedia di Sofocle, un testo che peraltro lo aveva impressionato fin da ragazzo. Molti ‘compagni di strada’ di Stravinski rimasero sconcertati da questo esito, non tanto per il fatto che si rivolgesse a un soggetto classico, cosa non nuova, ma per il tipo di poetica che veniva proposta attraverso di esso. Stravinsky e Cocteau presentavano un teatro ormai completamente anti-rappresentativo, in una variante assolutamente originale rispetto agli analoghi tentativi della drammaturgia contemporanea, dai formalisti russi a Brecht. Il primo elemento del teatro drammatico a essere messo in discussione fu quello fondamentale, ossia la lingua. L’adattamento di Sofocle preparato da Cocteau venne infatti tradotto in latino da Jean Danielou, e poi musicato in questa lingua da Stravinskij. Il solo fatto di presentare una vicenda in latino, e per di più colma di arcaismi, indicava la volontà di frapporre tra il mito e il pubblico moderno una netta separazione, accentuata ancor più dalla presenza di un narratore che illustra in francese, con compassato distacco, gli avvenimenti rappresentati. Una lunga didascalia in partitura spiega come le due scene debbano essere concepite senza profondità, e i personaggi addobbati in modo tale da muovere liberamente solo testa e braccia. I personaggi non dialogano mai effettivamente tra loro, ma piuttosto espongono le proprie parole, quasi presentassero la parte della vicenda che li riguarda, e non un dramma vissuto. Questa disumanizzazione dei caratteri stabilisce una gerarchia di prospettiva, per cui lo spettatore assiste, per così dire, al racconto del racconto del mito. Poiché il registro dell’opera non ha affatto intenzioni ironiche o parodistiche, ma assolutamente tragiche, si può forse pensare che Oedipus pretendesse un approccio così radicalmente nuovo per il teatro d’opera da impedire al pubblico parigino, e anche a molti accaniti sostenitori dell’avanguardia musicale, di comprendere appieno il valore di questa breve opera. Tuttavia oggi bisogna riconoscere che molte tendenze della cultura del dopoguerra, in particolare ciò che passa sotto l’etichetta di postmoderno, hanno avuto proprio in questa concezione estetica buona parte delle loro radici, soprattutto per l’idea, così chiaramente espressa in Oedipus , che solo attraverso la mediazione culturale un’opera d’arte ha valore per l’uomo moderno.
Atto primo. Nella piazza di Tebe, la folla chiede con angoscia a Edipo (“Caedit nos pestis, Theba pestis moritur”) di salvare la città dalla peste, così come in precedenza l’aveva liberata dalla Sfinge. L’oracolo, dice Creonte (“Respondit deus”), sostiene che la città è colpevole di ospitare l’assassino del vecchio re Laio. Visto che ogni ricerca è vana, Edipo manda a chiamare il veggente cieco Tiresia. Il loro confronto (“Dicere non possum, dicere non licet”) si trasforma in aspro dissidio: Tiresia, provocato nell’amor proprio, dichiara che l’assassino del re è il re. Un coro esultante (“Gloria, gloria, gloria”) saluta l’ingresso di Giocasta. Oedipus rex
Atto secondo. Giocasta rimprovera al marito di urlare nel mezzo di una città malata (“Nonn’erubescite, reges”). Giocasta cerca di rassicurare il consorte, sostenendo che non c’è da fidarsi degli oracoli; anche di Laio, dice, predissero che sarebbe stato ucciso dal figlio, e invece morì a un trivio della strada per mano di un forestiero. Mentre il coro ripete ossessivamente la parola «trivium», Edipo comincia a dubitare, ricordando come egli stesso, prima di arrivare a Tebe, avesse ucciso a un trivio un vecchio. In un duetto agitato i due coniugi esprimono la loro ansia crescente. La tragedia precipita su Edipo: un messaggero porta da Corinto la notizia della morte del re Polibio (“Mortuus est Polybus”), rivelando allo stesso tempo a Edipo che in realtà egli era solo un figlio adottivo del re deceduto. Infine le parole del vecchio pastore (“Oportebat tacere, nunquam loqui”) non lasciano più dubbi a Edipo sull’atroce verità: senza saperlo, egli ha ucciso il padre e si è congiunto con la madre. Il messaggero dà notizia della tragica fine di Giocasta (“Divum Jocastae caput mortuum”), mentre il coro rende omaggio all’infelice destino dell’accecato Edipo.
La definizione di opera-oratorio non deve trarre in inganno sulla natura di Oedipus rex , che è un’opera, sebbene certamente lontana dai consueti schemi melodrammatici; il termine oratorio è aggiunto soltanto per sottolineare il carattere epico e antirappresentativo di questo teatro. L’azione è ripartita nei due atti attraverso arie, cori e scene, che con le loro nette cesure musicali alludono alle forme chiuse dell’opera. Stravinski non concentra nel pezzo chiuso l’espressione emotiva, principio caratteristico dell’opera italiana, bensì ne sfrutta l’involucro formale per costruire il meccanismo drammaturgico, come si può osservare nella scena fondamentale dell’opera, il duetto all’inizio del secondo atto tra Edipo e Giocasta (“Nonn’erubescite, reges”). Quello che in Sofocle era un terribile dialogo, che scivolava su un piano inclinato verso il precipizio dell’inevitabile catastrofe, in Stravinsky diventa una fredda sovrapposizione di nude circostanze, resa forse in modo altrettanto efficace ma con procedimento opposto. La cognizione del dolore di Edipo, che qualunque altro operista avrebbe probabilmente cercato di rappresentare attraverso un crescente accumulo di tensione musicale, viene concepita viceversa da Stravinskij bloccando il flusso del tempo in una struttura formale a vista, addirittura inserendo dei ritornelli di singole sezioni. Questo principio di stilizzazione si ripercuote anche nello stile vocale e strumentale: i personaggi oscillano da una declamazione ritmica, allusiva a una sorta di prosodia arcaicizzante, a una vocalità modellata su stili settecenteschi. Edipo è l’unico personaggio a cui è consentito di travalicare questi stretti limiti espressivi, mostrando i propri stati d’animo in una varietà di modi che va dal canto melismatico, con cui risponde alla folla impaurita, alla linea agitata eppure espansa con cui mette a parte Giocasta delle sue paure, al puro e semplice ‘urlato’ con cui insulta Tiresia. Il coro, costituito di sole voci maschili, ha da parte sua un grande rilievo. Gli atti sono incorniciati dagli interventi del coro: tutto accade sotto gli occhi dei tebani, dalla cui sofferenza ha origine il dramma. Il loro commento accompagna la parola di ogni personaggio e integra il racconto dei fatti, sintetizzato negli elementi essenziali della tragedia. Tutta la dolorosa scena finale è affidata al coro, che racconta il luttuoso epilogo della vicenda immobilizzato in una sorta di tragico rondò, scandito dall’ossessiva frase del messaggero “Divum Jocastae caput mortuum”.
L’orchestra è l’espressione sonora del processo di ‘oggettivazione’ della drammaturgia. Nell’atteggiamento compositivo di Stravinski non v’è traccia di sviluppo tematico, né tanto meno di ‘psicologia’ musicale. La tonalità è affermata come un principio ‘artificiale’, di cui si può tener conto come si vuole; l’orchestra è disarticolata in colori asciutti, separati per famiglie, con frequenti interventi solistici. I ritmi sono per lo più secchi e nervosi, e spesso si combinano in percussioni di timbri, con un effetto quasi da impersonale meccanismo, come nell’impasto di timpano, arpa e pianoforte che accompagna la perorazione iniziale del coro, o in certi ostinati strumentali come quello del corno sulle parole del messaggero.


PetrushkaPetrushka

Petrushka è il titolo di un balletto su musiche del compositore russo Igor Stravinsky.La storia è basata sull'omonimo personaggio della tradizione russa, una marionetta dal corpo di segatura e la testa di legno, che prende vita e riesce a provare dei sentimenti. Assimilabile per molti versi a Pinocchio: "essere" non del tutto reale, le cui passioni provocano il desiderio impossibile di vivere una vita umana. Le sue movenze a scatti rivelano il tormento delle emozioni imprigionate in un corpo di burattino.

Composizione
L'opera fu composta durante l'inverno del 1910-1911 per i Balletti russi di Sergej Diaghilev e fu rappresentata per la prima volta al Théâtre du Chatelet di Parigi il 13 giugno 1911.
Nonostante il successo della rappresentazione, alcuni critici furono spiazzati dalle musiche impervie, dissonanti, talvolta grottesche. Ad un critico che, dopo una prova generale, chiese: "Ci avete invitato qui per sentire questa roba?", Diaghilev rispose laconico: "Esattamente".
Quando Diaghilev e il suo corpo di ballo si recarono a Vienna nel 1913, la Filarmonica viennese inizialmente si rifiutò di eseguire la partitura, definendola "schmutzige Musik" (musica sporca).

Trama
La rappresentazione si apre sulla festa popolare della settimana grassa (in Russo Shrovetide): una festività che precede un lungo periodo di digiuno religioso. Il popolo festeggia prima del periodo di austerità.
L'orchestrazione e i ritmi rapidi e mutevoli suggeriscono l'andirivieni della folla. Un suonatore di organetto e una danzatrice intrattengono il pubblico. Un rullo di tamburi annuncia l'arrivo del Vecchio Mago col suo teatro di burattini.
Si alza il sipario del teatrino, e il Mago presenta le marionette inanimate: Petrushka, la Ballerina e il Moro. Grazie ad un incantesimo, i burattini si animano, saltano fuori dal loro piccolo palcoscenico e ballano una vivace danza russa fra il pubblico stupefatto.
Dopo l'esibizione, la seconda scena si apre sulla stanza di Petruska, dalle pareti scure decorate con stelle nere, una mezzaluna ed un minaccioso ritratto del Vecchio Mago.
Petruska, gettato nella sua cella, vi atterra con un gran tonfo. Dietro le quinte, il burattino conduce una vita miserabile fra le angherie del Mago e l'amore non ricambiato per la marionetta Ballerina, a cui egli tenta di dichiararsi, venendo puntualmente respinto. Per giunta, la Ballerina è attratta dal terzo burattino - il Moro - con cui inizia una relazione.
La terza scena si svolge nella lussuosa stanza di quest'ultimo, che, diversamente dal protagonista, gode del privilegio di una vita agiata. La Ballerina entra nella stanza del Moro, suona una vivace melodia e i due cominciano a ballare.
Petruska, che finalmente riesce a evadere dalla sua cella, piomba nella stanza per opporsi alla tresca. Tenta di lottare contro il Moro, ma capisce di essere troppo esile, e scappa per mettersi in salvo.Petrushka
Nella quarta ed ultima scena, ci ritroviamo alla fiera. L'orchestra si trasforma idealmente in una grande fisarmonica che suona una serie di colorite danze, come la Danza delle balie (sul motivo tradizionale Lungo la via Petersky). Vediamo poi arrivare diversi personaggi curiosi: un contadino col suo orso che balla, un mercante di rastrelli, alcuni zingari, carrettieri, stallieri e ciarlatani.
Ma nel bel mezzo dei festeggiamenti, un grido si ode provenire dal teatro delle marionette. Petrushka irrompe sulla scena, inseguito dal Moro che brandisce un'ascia. Alla fine questi lo raggiunge e lo colpisce a morte, fra l'orrore dei presenti.
Sopraggiunge la polizia, che interroga il Mago. Questi cerca di riportare la calma scuotendo il corpo inerte di Petrushka, da cui esce segatura, per ricordare agli astanti che si tratta solo di un burattino di legno.
A notte inoltrata, la folla è ormai dispersa e il Mago se ne va, portando con sé il burattino rotto.
Ma il fantasma di Petruska compare sul tetto del teatrino, con un grido accusatorio. La morte ha infatti liberato il suo spirito dal corpo di marionetta, ed ora egli è tornato per tormentare il suo antico aguzzino, che fugge atterrito.

Sezioni
L'opera è divisa in quattro parti con le seguenti scene:
Parte I: Festa popolare della settimana grassa
Introduzione
La bancarella del ciarlatano
Danza Russa
Parte II: La stanza di Petrushka
Parte III: La stanza del Moro
La stanza del Moro
Danza della Ballerina
Valzer - La Ballerina e il Moro
Parte IV: Festa popolare della settimana grassa (sera)
Danza delle balie
Il contadino con l'orso
Il mercante gioviale con le due zingare
Danza dei carrettieri e degli stallieri
Le maschere
La lotta del Moro con Petruska
Morte di Petrushka
Comparsa del doppione di Petruska.

Versioni
La versione originale del 1911 prevede un organico orchestrale di: 2 ottavini, 4 flauti, 4 oboi, corno inglese, 4 clarinetti, clarinetto basso, 4 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 2 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, 2 arpe, pianoforte, celesta, grancassa, piatti, glockenspiel, rullante, tamburello, triangolo, xilofono, tam-tam, rullante e tamburello fuori scena, e archi.
Nel 1947, Stravinski derivò una versione riveduta per un organico più ristretto. Questa seconda versione prevede anche un finale opzionale in fortissimo, da aggiungere alla quieta e un po' ambigua conclusione originale.
In ogni sua versione, Petrushka - assieme agli altri due balletti di Stravinsky, L'Uccello di Fuoco e La Sagra della Primavera - continua a sfidare ed emozionare le platee mantenendo un impatto drammatico a tutt'oggi immutato.


The Flood The Flood
libretto di Robert Craft

(Il diluvio) Musical play in un atto

Prima:Amburgo, Staatsoper, 30 aprile 1963

Personaggi: Lucifero/Satana (T), Dio (2 B), Noè (rec), sua moglie (rec), loro figli (rec), il narratore (rec), un banditore (rec); coro
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Il musicista forse più originale del nostro secolo, Igor Stravinskij, riuscì ancora a stupire giunto alla soglia degli ottant’anni anni accettando l’invito di una televisione commerciale newyorkese a scrivere uno spettacolo musicale con un lavoro che, quanto alcuni altri suoi titoli teatrali, sfugge al tentativo di una catalogazione precisa. L’opera, trasmessa col titolo Noah and the Flood (Noè e il diluvio) il 14 giugno 1962 dalla rete televisiva Cbs, tra una réclame e l’altra di una marca di shampoo, comprende una parte coreografica essenziale (in quell’occasione, del resto, l’opera venne presentata con la denominazione dance drama ), in particolare per le scene centrali della costruzione dell’arca e del diluvio. Nel complesso, The Flood è più correttamente assimilabile alla traduzione, in termini drammatici moderni, dell’antico genere della ‘sacra rappresentazione’. L’ultimo atto del percorso nel teatro musicale del Novecento di Stravinski rappresentò dunque un altro gesto di sperimentazione, una ricerca di nuove possibilità espressive; una strada che la televisione sembrava allora mettere a disposizione della musica, ma che in effetti non trovò purtroppo ulteriori sviluppi. Il testo del Diluvio fu preparato da Robert Craft, compositore, discepolo e devoto collaboratore di Stravinsky, che lo ricavò dalla Genesi e dai cicli di York e Chester dei cosiddetti miracle plays inglesi (seconda metà del XV secolo). L’opera si divide in sei parti: il preludio (comprendente anche sezioni cantate), la costruzione dell’arca (coreografia), il catalogo degli animali (melologo), la commedia (melologo), il diluvio (coreografia), l’apparizione dell’arcobaleno (parte cantata). A loro volta, preludio e apparizione dell’arcobaleno sono suddivisi in sette e in cinque episodi. Il fatto sorprendente è che una struttura così complessa e articolata sia contenuta in uno spazio di tempo che supera appena i venti minuti, ciò che lascia intendere quanto sia vorticosa la concentrazione musicale di una materia che abbraccia in pratica l’intero libro della Genesi . Stravinskij impresse un ritmo così rapido alla composizione, da impiegare, come disse lui stesso, «soltanto una nota o due per sottolineare i vari momenti della creazione, tanto che mi è sempre riuscito difficile immaginare il lavoro su una scena teatrale». In teatro, però, il Diluvio venne rappresentato subito dopo la ‘prima’ televisiva, e fu dato in Italia alla Scala di Milano già nel 1963, in un celebre spettacolo dell’Opera di Amburgo diretto dallo stesso Robert Craft.
Dopo una introduzione orchestrale raffigurante il caos, il preludio prosegue con un Te Deum affidato al coro; il narratore racconta quindi la creazione del mondo. Dio, la cui voce è sdoppiata nel timbro di due voci di basso, crea l’uomo e Lucifero, ma questi, vittima del proprio orgoglio, viene cacciato nelle tenebre (“The beams of my brightness”). Nel successivo melologo si compie la cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre. Dio ordina a Noè la costruzione dell’arca (episodio orchestrale). Le successive scene, comprendenti il catalogo degli animali e la lite tra Noè e la moglie, preludono all’episodio coreografico del diluvio: Dio e Noè stringono un patto per ripopolare la terra, sul quale però Satana insinua il dubbio. A chiusura simmetrica della struttura, il coro intona un Sanctus, che sfuma rimanendo sospeso sulla parola ‘Deum’. The Flood
Le composizioni dell’ultimo Stravinski, approdato alla tecnica seriale, hanno un carattere ermetico e arcano, che non è in contraddizione con l’estrema concentrazione del ritmo narrativo del Diluvio . Paradossalmente, però, l’estrema stringatezza drammaturgica si coniuga con la fissità delle singole immagini musicali, come se assistessimo a una rapida successione di diapositive. La serie fondamentale del lavoro, esposta in note staccate dall’arpa, appare subito dopo il miniaturizzato caos orchestrale, e ritorna nei momenti cruciali in cui l’intervento di Dio riporta ordine nel disordine morale dell’uomo. L’estrema lucidità razionale delle costruzioni stravinskiane, pertanto, si accoppia anche in questo caso a un preciso significato poetico. La vocalità maschile viene distinta in due registri tra loro diametralmente opposti: da una parte la gravità della voce di Dio, appesantita dal timbro scuro dell’orchestra e preceduta dai colpi di un tamburo, e dall’altra l’acuto isterico, «leggermente pederastico», del tenore per Lucifero/Satana. L’idea di far esprimere Dio attraverso la voce di due bassi permette non solo di alludere con il mezzo più semplice all’idea del sovrannaturale, ma anche di limitare, con discutibili ‘personalizzazioni’ della divinità, il rischio di cadute di gusto. Il mondo degli uomini è invece lasciato privo del canto, fissato nelle espressioni lapidarie del linguaggio biblico del narratore e nei cartigli messi in bocca ai personaggi, come fossero citazione di momenti memorabili. Si discostano un poco da questa freddezza il variopinto elenco degli animali (“Here are lions, leopards in”), che riscalda il racconto con una sfumatura quasi francescana di meraviglia verso la moltitudine animale del creato, e la breve lite di Noè con la moglie, spaventata all’idea di salire sull’arca. L’inserzione del registro comico, resa esplicita dalla indicazione comedy dell’episodio, sembra voler sottolineare la condizione modesta di Noè e della sua famiglia, come a significare, cristianamente, il rovesciamento a opera della grazia divina della gerarchia dei valori terreni: il regno dei cieli è degli umili e non dei potenti. Le preghiere in latino affidate al coro, infine, incorniciano il Diluvio nella solennità della cerimonia religiosa. L’ombra incerta della condizione umana tuttavia si intravede nel Sanctus finale, che rimane sospeso come in bilico sull’abisso del nostro esistere. Ma di grande valore in questo musical play risulta soprattutto l’invenzione strumentale, a partire dalla sintetica quanto efficace rappresentazione del caos – appena cinque battute dominate dal tremolo degli archi. Il culmine della partitura, quanto a ingegnosità nella pittura sonora, rimane comunque la scena del diluvio, con le sue cateratte di pioggia scolpite a note staccate sul ribattere incessante della serie dodecafonica.


The Rake’s ProgressThe Rake’s Progress

libretto di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman

(La carriera di un libertino) Favola in tre atti

Prima: Venezia, Teatro La Fenice, 11 settembre 1951 Personaggi:
Trulove (B); Anne, sua figlia (S); Tom Rakewell (T); Nick Shadow (Bar); Mother Goose (Ms); Baba la turca (Ms); Sellem, venditore all’incanto (T); il guardiano del manicomio (B); prostitute, ragazzi, servi, cittadini, folla, pazzi
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Sulla genesi del Libertino , tutto ha raccontato e copiosamente documentato lo stesso Stravinskij: nei suoi Dialoghi con Robert Craft egli ricorda che nel 1947, visitando a Chicago una mostra proveniente da Londra, nella quale figurava un ciclo di otto incisioni settecentesche di argomento moralistico di William Hogarth, intitolato La carriera di un libertino , il compositore decise immediatamente che quello sarebbe stato un ottimo spunto per il genere di soggetto d’opera che già aveva in mente. Mentre cercava di individuare un librettista adatto allo scopo, l’amico Aldous Huxley lo convinse a ‘scritturare’ Auden, nonostante Stravinski non avesse mai letto niente di suo se non la sceneggiatura del film Night Train . Questi fu ospitato a Hollywood dal compositore, e nel giro di una settimana i due si accordarono su tutti gli aspetti del libretto: intreccio, personaggi, linguaggio e stile. Nessun dubbio da parte del compositore, nemmeno sul fatto di musicare un libretto in una lingua, l’inglese, alla quale egli era pervenuto molto tardi, cioè da quando si era trasferito – solo dieci anni prima – in America. E al ritmo di un atto all’anno, a due mani con l’amico e collaboratore Kallman, Auden fece pervenire il lavoro: che Stravinsky modificò in diversi punti, ma sostanzialmente accettò e musicò con entusiasmo. La ‘prima’ di questa «favola», che è uno dei capolavori del Novecento più rappresentati in tutto il mondo, avvenne al teatro La Fenice di Venezia, nel quadro di una collaborazione tra il Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale e il Teatro alla Scala (che ospitò lo spettacolo nella stagione successiva): con un’ottima compagnia di canto, protagonisti Robert Rounseville (Tom Rakewell), Elisabeth Schwarzkopf (Anne) e Otakar Kraus (Nick Shadow), orchestra e coro del teatro milanese furono diretti dallo stesso Stravinskij, in una serata che fu accolta trionfalmente dal pubblico e con molte cautele da parte della critica.
Atto primo . Scena prima . In Inghilterra nel XVIII secolo, nel giardino della casa di campagna dei Trulove. Anne Trulove e Tom Rakewell si scambiano tenere parole d’amore, ma sono interrotti dal sopraggiungere di Trulove, padre della fanciulla, che intende offrire al futuro genero un lavoro come contabile (“The woods are green”). Ma ben altre sono le aspirazioni del giovane, che dapprima rifiuta l’offerta e poi espone la sua scanzonata filosofia di vita (“Since it is not by merit”). A smorzare le preoccupazioni di Trulove giunge uno sconosciuto, tale Nick Shadow: ha l’incarico di comunicare a Rakewell che la morte di un vecchio zio ha fatto di lui un uomo ricco, e che ora dovrà recarsi a Londra in sua compagnia per l’eredità. L’annuncio viene accolto con comprensibile entusiasmo (quartetto “I wished but once”). Rakewell e Anne si lasciano con un affettuoso ‘arrivederci’ (“Farewell, farewell”), mentre Shadow dichiara che per la sua ricompensa attenderà un anno e un giorno. Segue un ulteriore congedo tra Rakewell, Anne e Trulove (“Laughter and light”). Scena seconda . Nel bordello di Mother Goose, a Londra. Prostitute e ragazzi elevano un canto in onore di Venere e Marte (“With air commanding and weapon handy”). Shadow ha condotto qui Rakewell per fargli conoscere i piaceri della vita, e lo ha nel frattempo istruito sul reale significato di concetti quali la bellezza, il piacere e l’amore; cosicché, quando la tenutaria si rivolge al giovane per saggiare la sua preparazione alla vita, questi risponde perfettamente. Il parlare dell’amore tuttavia ingenera in lui un sentimento di nostalgia per Anne. Ora vorrebbe andarsene, è tardi, un orologio batte l’una; ma con un solo gesto Shadow fa ritornare le lancette sulla mezzanotte, affermando che il tempo è loro e bisogna divertirsi. Rakewell si rivolge ad Amore affinché accolga la sua tristezza (cavatina “Love, too frequently betrayed”): le prostitute vorrebbero consolarlo a modo loro, ma è Mother Goose a rivendicare i propri diritti di anzianità sulle altre e ad allontanarsi con lui. Scena terza . Notte di luna piena, nel giardino di Trulove. Anne confida alla notte la propria disperazione per il mancato ritorno di Rakewell; il padre interviene per richiamarla, ma ella ha ormai deciso di andare a cercarlo, e invoca la luna di guidarla nel suo cammino (aria e cabaletta “Quietly, night, O find him and caress... I go, I go to him”). The Rake’s Progress
Atto secondo . Scena prima . La camera da letto nella casa di Rakewell, in un elegante quartiere di Londra. Rakewell lamenta la propria condizione di uomo annoiato e vacuo, anche se conduce una vita brillante (“Vary the song, O London, change!”). Irrompe allora Shadow che, mostrandogli il ritratto di Baba la turca, una orrenda donna da circo con tanto di barba nera, irretisce completamente l’amico con le sue argomentazioni e lo piega alla sua folle volontà di fargliela prendere in moglie (aria di Shadow “In youth the panting slave”). Una sinistra risata dei due suggella l’accordo: Rakewell sposerà Baba, liberandosi così in un colpo solo sia della passione sia della ragione, i tiranni che gli impediscono di essere un uomo libero (duetto “My tale shall be told”). Scena seconda . La strada di fronte alla casa di Rakewell. È autunno, di sera. Anne non sa se entrare nell’appartamento di Rakewell (“Although the heart for love dare everything”); quindi si mette in disparte per lasciar passare una processione di servi, che incedono tenendo sollevata una portantina; appare Rakewell che, imbarazzato dalla presenza della fanciulla, tenta di convincerla di tornare a casa contro la sua volontà (duetto “Anne, here!”). Si sente la voce di Baba che, bloccata nella portantina, da cui non riesce a scendere, reclama le attenzioni del marito. Rakewell confessa ad Anne che quella è la sua sposa, e tranquillizza Baba dicendole che la donna che gli sta parlando non è altro che una lattaia, venuta a reclamare un antico debito (terzetto “Could it then”). Richiamata intanto dai servitori, sopraggiunge la folla ad acclamare Baba; la donna, per compiacere il suo pubblico, si toglie il velo che copriva la sua folta barba nera. Scena terza . Nella camera di Rakewell. Scene di vita domestica: Baba continua a parlare (“As I was saying”), irritando Rakewell, che la respinge in malo modo, convinto ormai che solo il sonno possa costituire un rimedio alla sua infelicità. Mentre Rakewell è addormentato e sognante (Pantomima), giunge Shadow con una strana macchina che tramuta la pietra in fette di pane; e quando Rakewell gli racconta di aver sognato una macchina simile, gliela mostra. Rakewell grida al miracolo ed è raggiante perché ora, costruendo altre macchine simili, potrà debellare la fame e la povertà e guadagnarsi così la gratitudine della gente (duetto “Thanks to this excellent device”).
Atto terzo . Scena prima . Nella camera di Rakewell a Londra. Un gruppo di borghesi – tra i quali è anche Anne, sempre invano alla ricerca di Rakewell – s’è dato convegno nell’appartamento del libertino, dove un banditore, Sellem, si appresta a mettere all’asta tutti i beni accumulati da Rakewell nella sua smania di ricchezza (“Who hears me, knows me”). Tra i vari oggetti – animali, vegetali e minerali – vi è pure Baba, celata da una grossa parrucca. Una volta ‘scoperchiata’, la donna è pronta a riprendere il discorso interrotto nella scena precedente (“Sold, annoyed!”). Dalla strada si odono le voci scanzonate di Rakewell e Shadow cantare «Mogli vecchie in vendita». Prima di decidere di far ritorno al circo, Baba rassicura Anne sull’amore di Rakewell (“You love him”). Scena seconda . Cimitero, in una notte senza stelle. Un anno e un giorno sono ormai trascorsi e Shadow reclama i propri diritti. In cambio dei suoi servigi egli non vuole denaro, ma l’anima di Rakewell: gli lascia tuttavia un’estrema possibilità di salvezza, indovinare cioè le tre carte che ora estrarrà da un mazzo. Con l’aiuto dell’amore di Anne, sua regina di cuori, Rakewell vince. Prima di sprofondare nel ghiaccio e nel fuoco Shadow, con un ultimo gesto di magia, toglie a Rakewell la ragione (duetto “Well, then... My heart is wild with fear”). Scena terza . Nel manicomio, Rakewell invita le ombre degli eroi a esultare con lui per l’imminente arrivo di Venere, in visita al suo Adone (“Prepare yourselves, heroic shades”); un gruppo di pazzi lo motteggia (“Madmen’s words are all untrue” e “Leave all love and hope behind”). Arriva Anne, e il guardiano del manicomio la avvisa che Rakewell risponde solo se è chiamato Adone, e che a sua volta si rivolgerà a lei chiamandola Venere. Dopo averle chiesto perdono dei suoi peccati (“In a foolish dream”), Adone/Rakewell chiede ad Anne/Venere di cantare una canzone per addormentarlo: la ninna-nanna di Anne ottiene l’effetto desiderato (“Gently, little boat”). Il guardiano fa ora entrare Trulove, che invita la figlia a venir via con lui, giacché la bella favola d’amore è finita (duettino “Every wearied body must”). Risvegliatosi, Rakewell chiede dove sia finita la sua Venere, ma i pazzi gli dicono che non c’è stata nessuna Venere in manicomio. Infine, sentendo la morte appressarsi, invita Orfeo a intonare il canto del cigno e prega le ninfe e i pastori di compiangere Adone morente (“Where art thou, Venus?”). Epilogo . Richiamati da Shadow, che ferma con un gesto la calata del sipario, tutti i protagonisti appaiono alla ribalta per affermare la morale, ossia che il diavolo trova lavoro per tutti gli oziosi (“Good people, just a moment”).
The Rake’s ProgressI numerosi scritti critici dedicati al Libertino nel corso degli anni documentano, nella loro disuguaglianza di vedute, la sua vitalità e modernità, oltre che il convivere in esso di sfaccettature stilistiche non univocamente interpretabili. L’opera è stata paragonata a Così fan tutte per la sua geometria strutturale – e di tipicamente mozartiano possiede anche l’organico, con i fiati ‘a due’, e il taglio a numeri chiusi –; a Don Giovanni , Faust e Dama di picche per l’argomento e per le assonanze di carattere dei personaggi (Rakewell/Don Giovanni/Faust; Anne/Margherita; Shadow/Leporello/Commendatore/Mefistofele); a Falstaff per la leggerezza del tono musicale. Stili, forme, generi, personaggi, strumentazione e vocalità: tutti gli aspetti del Libertino sembrano insomma profilarsi come referenti musicali aggiornati di un complesso di aspetti proprio della più autentica tradizione operistica, e non a caso proprio quest’opera suggella e conclude la lunga fase cosiddetta ‘neoclassica’ del musicista russo, che si era iniziata attorno al 1920 con la composizione del balletto con canto in un atto Pulcinella . Eppure sembra quanto meno limitativo leggere quest’opera solo come un raffinato, ironico e virtuosistico esercizio di neoclassicismo novecentesco, escludendone i caratteri di autenticità e novità: che sono riscontrabili in primo luogo nella musica, che è sì organizzata nel rispetto di tutti i topoi melodrammatici (dalla cavatina alla cabaletta, dall’aria col da capo al concertato in forma di rondò), ma al tempo stesso mantiene una cifra ritmica di costante irregolarità metrica, e quindi peculiare alla scrittura stravinskiana tout court , nonché un continuo e persistente elemento armonico ‘di disturbo’, ossia estraneo al sistema tonale di riferimento. Caratteri di autenticità e novità sono inoltre riscontrabili in sede drammaturgica, ove si consideri – come ha sapientemente suggerito Carl Dahlhaus – che nel Libertino manca completamente quella vera sostanza dialogica che costituisce la premessa portante del ‘dramma’ secondo le norme dell’estetica tradizionale. Secondo il musicologo tedesco, «il fatto che non sia percepibile una ‘logica’ dell’azione, della connessione tra le scene, non è un difetto che pesi sull’opera, ma rappresenta un principio strutturale mediante il quale il tema dell’azione si esprime nella sua struttura formale». Lo schema fiabesco suggerito dal libretto di Auden non è dunque altro che un veicolo – persino virtuosistico – di effetti teatrali. Nel suo distacco, nella sua assoluta e ricercata inespressività, Stravinski rivendica e realizza nel Libertino , assai più compiutamente che nei suoi precedenti cimenti operistici, un teatro artificiale e ‘metateatrale’, nel quale i procedimenti tecnico-stilistici non sono in funzione del senso drammatico dell’opera, bensì ove l’azione drammatica rivela un andamento la cui giustificazione risiede in quegli stessi procedimenti.


BIBLIOGRAFIA


Castaldi P., In nome del padre: riflessione su Strawinsky, Adelphi, Milano, 2005.
Craft R., Colloqui con Stravinsky, Einaudi, Torino, 1977.
Owen H., Il contrappunto modale e tonale. Da Jasquin a Stravinski, Curci, 2003.
Rodriguez P., L' affaire Montjoie! Canudo et Stravinskij, Schena, 2000.
Tintori G., Stravinski, Accademia, Milano, 1979.
Van den Toorn P. C., The music of Igor Stravinsky, Yale university press, New Haven, 1983.
Venditti R., Piccola guida alla grande musica. Vol. 8: Pergolesi e Stravinskij. Sonda, 2005.
Vlad R., Strawinsky, Einaudi, Torino, 1973.
Zacchini S., Stravinski. Caos, nulla, disincanto, EMP, 2002
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