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NIKOLAI ANDREEVICH RIMSKIJ-KORSAKOV

VITA

NIKOLAI ANDREEVICH RIMSKIJ-KORSAKOVNato nel 1844, iniziò a studiare pianoforte a 6 anni, misurandosi ben presto con la composizione.
Nonostante l'avvio della carriera militare in marina, continuò ad approfondire lo studio della musica anche durante i 3 anni passati sulla nave-scuola Almaz, nei quali rimase in corrispondenza con Balakirev, conosciuto nel '61. Nel '71, abbandonando la marina, accettò la cattedra di composizione e strumentazione al Conservatorio di San Pietroburgo.

Si accostò anche a Ciajkovskij, con l'intenzione di consolidare sempre più il suo bagaglio culturale, mentre si delineava sempre di più il suo contrasto con le idee di Mussorgoskij. Nel '74 successe a Balakirev come direttore della "Scuola libera di musica", occupandosi anche della diffusione della musica russa. Nel 1905, per aver appoggiato una richiesta di autonomia del Conservatorio giudicata inopportuna, dovette dimettersi dall'insegnamento. Riacquistò il posto, tuttavia, grazie a diverse pressioni esercitate in suo favore.

Nel 1905 organizzò un viaggio a Parigi con lo scopo di far conoscere la musica russa. L'anno seguente, un malore improvviso pose fine alla sua esistenza. La sua scuola fu decisiva per la formazione di molti musicisti russi.
Compose Opere, 3 Sinfonie e altri pezzi per orchestra, un Concerto per pianoforte, lavori corali, pianistici, vocali. Il catalogo di musica da camera comprende un Sestetto per archi, un Quintetto per pianoforte e fiati, un Trio per pianoforte e archi, alcuni lavori per quartetto d'archi tra cui tre partiture scritte a più mani, e altre pagine tra le quali alcune per pianoforte a 3 e a 4 mani.




OPERE

Trio in do minore per violino, violoncello, pianoforte NIKOLAI ANDREEVICH RIMSKIJ-KORSAKOV

E' singolare constatare come questo Trio, uno dei pochi lavori da camera di Rimskij-Korsakov, sia quasi del tutto sganciato dai modi della cultura nazionale russa, mentre invece presenta una serie di tratti che suscitano immediate analogie con l'estetica romantica tedesca. Questa partitura potrebbe portare la firma di un epigono di Schumann. Davvero difficile ravvisarvi l'autore di Shéhérazade o il giovane membro dei "Cinque".
E' peraltro noto, come testimoniano altre opere, che fu proprio Rimski, fra i "Cinque", il musicista più aperto ai contatti con l'Occidente, quello più preoccupato di possedere una formazione solida e completa. Tenendo presente questo elemento, il Trio in do minore sembra quasi il frutto tardivo di una memoria a lungo soffocata. Scritta nel 1897 dall'autore già cinquantatreenne, quest'opera venne poi sconfessata e lasciata incompiuta. Si preoccupò di concluderla, quasi 40 anni dopo, nel 1939, il connazionale Maksimilian Steinberg - che fu insegnante di Shostakovic - al quale si deve, perciò, l'inclusione in repertorio. A tutt'oggi il Trio è assai poco conosciuto, ma potrebbe figurare più spesso nei programmi da concerto perché è un'opera curiosa ed anche gradevole, nonostante lo stile appaia a tratti instabile, soggetto a contaminazioni imprevedibili.
I tempi sono 4: "Allegro", pieno di slancio, di vita e di temi appassionati; poi "Scherzo", dove il modello di Schumann (è citato un frammento melodico del primo movimento del Concerto in la minore per pianoforte e orchestra) assume toni scanzonati; quindi "Adagio", i cui spinti cromatismi e i motivi severi rimandano inconfondibilmente a Franck; infine "Finale: Adagio-Allegro", dove il contrappunto imitativo e i recitativi drammatici introducono l'agitata e ampia conclusione.

Quintetto in si bemolle maggiore per flauto, clarinetto, corno, fagotto, pianoforte

Al 1876, l'anno del Quintetto, risale anche un Sestetto per archi, mentre il Quartetto in fa maggiore op. 12, anch'esso per archi, è di pochissimo precedente. I primi anni '70 furono decisivi per la formazione e per la carriera di Rimsky-Korsakof, il quale nell'arco di un breve periodo accettò la cattedra di composizione e strumentazione al Conservatorio di Pietroburgo (1871), e abbandonò la carriera militare, assumendo però la nomina di "Ispettore generale delle bande dell'Esercito e della Marina" (1873). Divenne per lui, anche a causa dell'imprevisto incarico di direttore della "Scuola libera di musica", a seguito della rinuncia dell'amico Balakirev (1874), indispensabile uno studio della musica più ordinato e più profondo di quello fino ad allora condotto.
Il Quintetto e le altre pagine coeve nacquero, insomma, in un momento di riflessione autocritica da parte di Rimskij-Korsakov su 2 componenti essenziali: da un lato la fervida ispirazione, il puro istinto immaginativo; dall'altro una volontà intellettualizzante e nazionalizzante, basata sulla conoscenza della storia e della tradizione. Questi 2 aspetti, sulla cui compresenza si basa oggi da parte di molti studiosi il giudizio negativo su Rimski-Korsakoff (per il peso che assume il fattore meramente tecnico nelle sue pagine) si trovano piuttosto evidenti anche nel Quintetto, che denuncia una certa rigidità formale. Ma, nonostante questo, l'opera è piacevole, viva di ritmo e gustosa per i temi semplici e accattivanti che si presentano.

Partitura senza pretese, ma godibile, consta di 3 movimenti: "nello stile classico di Beethoven", come specificò lo stesso autore, è il festoso Allegro con brio in forma-sonata, con 2 temi di carattere contrastante. Seguono un "Andante" dal tono placido, affettuoso, che apre centralmente una Fughetta; quindi un "Rondò: Allegretto", che ha la serenità lieta di una Bagatella, con qualche luminosa increspatura qua e là ed una serie di brevi cadenze assegnate, a turno, a ciascuno strumento, eccetto il fagotto: da queste sorge lo spunto per la brillante conclusione. Dotato di una personalità inconfondibilmente russa nella fisionomia dei temi e nelle tinte armoniche e timbriche, il Quintetto nacque come prova di composizione da esibire ad un concorso bandito dalla Società Musicale Russa (fondata da Anton Rubingtein nel 1859).



Il Gallo d’oro RimskijIl Gallo d’oro

libretto di Vladimir Belskij, dalla fiaba omonima di Aleksandr Puskin

[Solotoi petusciok] Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo
Prima:
Mosca, Teatro Solodovnikov, 24 settembre [7 ottobre] 1909
Personaggi:
lo zar Dodon (B); il principe Gvidon (T); il principe Afron (Bar); il generale Polkan (B); Amelfa, governante (Ms); l’astrologo (T); la regina di Cemachan (S); il gallo d’oro (S); boiari, guardie, soldati, popolo
________________________________________

Insieme alla stesura delle Memorie , Rimskij fece ancora in tempo a scrivere il suo testamento operistico, composto soprattutto nel biennio 1906-7, a un anno dalla morte. I tempi erano molto cambiati nella Pietroburgo di quegli anni, soprattutto dopo la sconfitta subita dalla Russia da parte del Giappone e dopo la rivoluzione del 1905, repressa dal potere nel sangue. Sono tempi difficili per Rimski, sospettato dalla polizia zarista di collaborazionismo rivoluzionario. Pushkin aveva scritto la fiaba in versi Il gallo d’oro nel 1834, per criticare l’indolenza degli zar di allora, ma la parodia è efficace anche nel 1906.
La fiaba del tirannico zar Dodon, che pretende di regnare dormendo, diviene molto allusiva: il paese era appena andato incontro alla distruzione della flotta e dell’esercito durante la guerra russo-giapponese. La rappresentazione dell’opera sollevò un clamoroso caso di censura: gli addetti volevano far tagliare numerose parti, ma l’autore si oppose e fece preparare una traduzione francese per far eseguire l’opera a Parigi. Non tutto venne appianato e Il gallo d’oro divenne, prima ancora di essere eseguita, un simbolo della rivolta antizarista. Rimsky, innervositosi per le incertezze e l’atmosfera minacciosa, fu colpito da un attacco di angina pectoris , del quale morì senza veder rappresentata la sua ultima fatica operistica: un’inquietante fiaba malefica.
Prologo . Un astrologo ammonisce gli spettatori di fare attenzione al senso della fiaba, inventata ma istruttiva.

Atto primo .
Nel palazzo dello zar Dodon è riunito il consiglio. Lo zar si lamenta: sogna solo di dormire, ma i nemici minacciano il suo regno, mentre i suoi figli danno irrealizzabili suggerimenti militari. Giunge in soccorso l’astrologo, che consegna allo zar Dodon un uccello meccanico, un galletto-statua e una sentinella-sveglia che segnala i pericoli con il suo ‘chicchirichì’. Dodon si vuole sdebitare: alla prima occasione l’astrologo gli potrà chiedere tutto ciò che desidera. Lo zar si mette a letto, mentre la nutrice Amelfa gli canta filastrocche sui dolciumi. Ma la ninna-nanna è interrotta dall’allarme del gallo. Lo zar, assonnato, manda i giovani alla guerra e si rimette a dormire. Ma anche il secondo sonno è interrotto dal gallo: il nemico sopraggiunge, e questa volta egli stesso deve andare ad affrontarlo a capo di un esercito di veterani.

Atto secondo
.
L’armata di vegliardi spaventati descrive gli orrori della guerra, e Dodon scopre i cadaveri dei figli che si sono uccisi a vicenda. Da una tenda compare la regina di Cemachan, una fanciulla di orgogliosa bellezza, che intona un inno al sole. La regina dichiara di essere venuta a conquistare il regno di Dodon armata solo del suo fascino. In una scena di seduzione canora: la regina descrive la sua sensualità, la sua innocenza, persino la sua nudità. I figli si sono uccisi per lei, ma Dodon, ormai pazzo d’amore, non se ne cura. Si dichiara malinconica e infelice, e Dodon si offre di consolarla; ella lo trascina in una danza ammiccante e maliziosa. La regina lo deride, ma si fa portare nel suo regno.

Atto terzo . Nel regno di Dodon c’è apprensione: il popolo osserva con terrore il galletto immobile. Giunge il corteggio degli sposi, con animali e umani: vesti sgargianti, selvaggi, nani, giganti. Ritorna anche l’astrologo, che chiede allo zar in sposa la regina, come compenso per il gallo, con insistenza e malgrado il rifiuto di Dodon, finendo per prendersi un colpo di scettro in testa che lo fa stramazzare al suolo. Il gallo si alza il volo e becca la testa dello zar, mentre la regina scompare. Il popolo è attonito: lo zar è morto e non gli resta che intonare un canto di compianto.

Epilogo . L’astrologo resuscitato spiega: il pubblico non si turbi per il sangue sparso, solo lui e la regina sono figure vive, gli altri illusione: fantasmi e povere larve.

Il Gallo d’oro è dunque una satira politica del regime autocratico, svolta con sottile demonismo burlesco: il feticcio iettatorio e vendicativo del galletto crea infatti un clima infido, molto distante dal mondo dei balocchi infantili tipico dello Zar Saltan , precedente fiaba puškiniana. La ferocia della satira è resa acuminata dalla musica sottoposta a questa rissosa schermaglia fra marionette crudeli.
In piena polemica antisentimentale, questi personaggi stilizzati cantano con forte tecnicismo strumentale: la freddezza del canto si coglie in quella bambola meccanica che è la regina di Cemachan, il cui orientalismo astratto esprime mirabilmente gli aspetti seducenti della malvagità femminile. Il libretto, di asciutto rigore ritmico, viene sorretto da uno stile musicale altrettanto pungente; l’orchestra è capace di durezze ben poco fiabesche, che già annunciano l’avvento dei grandi allievi di Rimskij destinati a maggior gloria: Stravinskij e Prokofev. Il gallo d’oro è pertanto opera di transizione fra il vecchio e il nuovo, nonché punto di arrivo in termini di modernità per un autore che si dimostra conservatore a parole e innovatore nella pratica.



Nikolaij Rimski-KorsakovLa Fanciulla di neve

libretto di Nikolaij Rimski-Korsakov, dal racconto di Aleksandr Ostrovskij

[Snegurocka] Opera fantastica in un prologo e quattro attiPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 29 gennaio 1882. Prologo: Vesna-Krasna [la bella Primavera] (Ms); De
Personaggi:
la Fanciulla di Neve (S); Lel’, pastore (A); Kupava, giovane sorella di un ricco abitante del paese (S); Mizgir’, commerciante in visita all’insediamento dei Berendeijani (Bar); lo zar Berendeij (T); Bobïl-Bakula (T); Bobïlikha (Ms); la bella Primavera (Ms); Bermijata, boiaro (B); due usceri (T, B); un paggio di corte (Ms); il Folletto della foresta (T); boiari e loro consorti, suonatori di salterio al servizio dello zar, bardi, menestrelli, violinisti, suonatori di strumenti a fiato, pastori, giovani, Berendeijani, elfi della foresta, fiori (seguito della Primavera)
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Quando ideò il suo ‘racconto primaverile’, Ostrovskij già pensava a una sua possibile realizzazione teatrale, includendovi l’esecuzione di famose canzoni e danze popolari, che consentissero allo spettatore di rievocare lo spirito degli antichi miti pagani e dell’eterno rapporto tra uomo e natura. L’avvento della bella stagione è propiziato anche dai riti in cui il popolo, secondo Ostrovskij, crede ancora, anche se a livello inconscio, così come ha una sorta di timore reverenziale per le forze della natura quali il sole, il freddo inverno russo e il vento.
La Fanciulla di neve prega i suoi genitori di lasciarla vivere fra gli umani, poiché questo rappresenta il suo più grande desiderio; Nonno Freddo, riluttante, acconsente, ma la fa seguire dal Folletto della foresta per controllarla. La Fanciulla di neve arriva all’insediamento dei Berendeijani e viene adottata da Bobil e da sua moglie. Un giorno alla capanna di Bobil giunge Lel’, che canta due canzoni in omaggio alla Fanciulla di neve, chiedendole in cambio un bacio.
Nell’ascoltare le canzoni del pastore la Fanciulla si commuove, e pensa di ricompensarlo più adeguatamente offrendogli invece un fiore, ma Lel’ sembra non apprezzare il gesto. La Fanciulla di neve si rimprovera di avere un cuore freddo come quello del padre. Arriva a consolarla Kupava, seguita dal fidanzato Mizgir’, il quale però si innamora della Fanciulla di neve non appena la scorge, e decide di rompere il fidanzamento con Kupava; quest’ultima, estremamente offesa, propone di lasciar giudicare la questione allo zar che, interpellato, sentenzia la colpevolezza di Mizgir’ e lo fa allontanare dal villaggio. Lo zar Berendeij possiede doti profetiche, e sa che se la Fanciulla di neve si innamorasse di qualcuno la loro terra finalmente si riscalderebbe, visto che si trovano ormai prossimi alla Kupala (che nel calendario russo è il solstizio d’estate) ma fa ancora freddo; perciò promette una ricompensa a colui che farà innamorare di sè la Fanciulla, concedendo anche a Mizgir’ il permesso di provare.
A conclusione della riunione, lo zar chiede a Lel’ di cantare per lui, in cambio del permesso di baciare una fanciulla fra quelle presenti; al termine della canzone, con sorpresa di tutti, Lel’ sceglie Kupava (che nella trama rappresenta la Kupala), optando per il calore umano piuttosto che per il freddo fascino della Fanciulla di neve. Questa aggredisce Kupava, ingelosita, ma Lel’ la ferma, ricordandole che il suo cuore è ancora freddo; la Fanciulla ora desidera più di ogni altra cosa la capacità d’amare. Chiama la madre, che esaudisce anche questo suo desiderio.
Segue un cambiamento istantaneo: la natura splende rigogliosa al caldo dell’estate; la Fanciulla incontra Mizgir’ e ricambia finalmente il suo amore, ma quando viene colpita dai primi raggi di sole si scioglie. Mizgir’, disperato, si getta nel lago. I Berendeijani, che hanno assistito alla scena, sono sconvolti; ma vengono confortati dallo zar, che spiega loro la ragione divina per cui quegli avvenimenti dovevano aver luogo: il dio del sole, Ijarilo, era in collera con la Fanciulla di neve, e voleva punirla; ora che si è sfogato, può rasserenarsi e scaldare la loro terra.

La chiave di lettura del testo è proprio questa: il sacrificio della Fanciulla di neve simboleggia la fine del freddo invernale e l’avvento del sole, e il senso di amore-morte che pervade la storia vuole significare che solo attraverso la morte dei protagonisti tornerà il sole, e con esso la nuova vita della natura, che si perpetua anno dopo anno, ciclicamente.
Il testo di Ostrovskij era già stato ideato in versi, per cui non subì cambiamenti nella versione di libretto operistico, tranne alcuni tagli che divennero ancor più numerosi in una seconda versione elaborata da Rimsky-Korsakov nel 1895. Rimskij-Korsakov stesso volle tentare un’analisi della propria opera, classificando innanzitutto i personaggi in quattro categorie: mitologici (ad esempio Nonno Freddo, la bella Primavera, o il Folletto della foresta), ‘misti’ (la Fanciulla di neve), umani (Kupava, Mizgir’) e corali (il coro dei Berendeijani).
Poi sottolineò l’identificazione di ciascuna di tali categorie con un certo stile compositivo: nell’accompagnamento orchestrale degli dèi della natura ricorrevano armonie ardite, poco convenzionali, con frequenti intervalli di tritono e dissonanze, mentre veniva utilizzato un linguaggio musicale sentimentale per i personaggi umani; i tipi ‘misti’ risultavano, a seconda delle esigenze compositive e della trama, assimilabili ora a una, ora all’altra categoria, e infine nei momenti corali risuonavano armonie modali, spesso in metri per noi inusitati (ad esempio in 11/4, come nell’inno a Ijarilo posto a conclusione dell’opera).
Inoltre, avvicinandosi idealmente a Wagner, Rimski ideò dei ‘timbri conduttori’: il flauto per la Fanciulla di neve, il clarinetto per Lel’. Il finale dell’opera potrebbe far pensare a una tragedia per la morte dei protagonisti, ma così non è assolutamente, anzi, la conclusione è allietata dal calore del sole; anche le vicende più drammatiche diventano più leggere se viste attraverso il velo incantato che Rimsky-Korsakov ci pone davanti agli occhi.


La Fanciulla di Pskov Nikolaij Rimskij-KorsakovLa Fanciulla di Pskov


libretto di Nikolaij Rimskij-Korsakov, dal dramma di Lev Meij

[Pskovitijanka] Opera in un prologo e tre attiPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 1º gennaio 1873 (seconda versione: Pietroburgo, Teatro Panaijev, 6 a Personaggi:
lo zar Ivan Vasilijevich, detto il Terribile (B); il principe Ijurij Ivanovich Tokmakov, viceré e balivo di Pskov (B); il boiaro Nikita Matuta (T); il principe Afanasij Vijazemskij (B); Bomelius, alchimista dello zar (B); Mikhail Andreijevich Tucha, figlio di un balivo (T); Ijushko Velebin, messo (B); la principessa Olga Ijurijevna Tokmakova, figlia del vicerè (S); Boijarinija Stepanida Matuta (Stijosha), amica del cuore di Olga (A); Vlasijevna (A) e Perfilijevna (Ms), balie; la voce di un guardiano (T); comandanti, giudici, boiari di Pskov, figli di balivi, forze armate reali e guardie del corpo, moschettieri moscoviti, fanciulle, monelli, popolo, cacciatori reali
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Se si eccettuano le piccole aggiunte introdotte da Krestovskij, Musorgskij e dallo stesso Rimski-Korsakov, il libretto dell’opera corrisponde esattamente al testo del dramma di Meij; tale lavoro esalta i valori liberali e repubblicani sostenuti dalla cultura russa degli anni 1860-70, che Meij ritrova nella storia della città di Pskov e della sua lotta per l’autonomia e l’indipendenza dal famoso zar Ivan il Terribile, vissuto tre secoli prima.
La fanciulla di Pskov è dunque un dramma storico, del qual genere Rimsky ripropose tutti i principali ingredienti: il sovrano, il popolo in rivolta, i tumultuosi sentimenti dei protagonisti, l’amore e la morte; ma ciò che distingue quest’opera è la genialità creativa di un compositore che fece sentire la propria voce per la prima volta: La fanciulla di Pskov , infatti, è la prima opera di Rimskij-Korsakov, e in questa egli espresse con la più grande energia e vitalità il proprio modo di intendere l’opera lirica.
Il lavoro venne accolto con serietà e senso di identificazione dal pubblico russo, che sorvolò su alcuni dettagli imprecisi del testo, come alcuni anacronismi (ad esempio, all’epoca in cui si svolge la vicenda l’istituzione del Consiglio cittadino era già stata soppressa da un secolo) e il fatto che l’argomento fosse incentrato su una vicenda storicamente non provata, bensì tramandata con la scarsa attendibilità filologica che può avere un pettegolezzo popolare. Da ricordare infine che il prologo venne aggiunto dal compositore solo nella terza e definitiva versione dell’opera. Nikolaij Rimskij-Korsakov

Nel prologo si racconta che, secondo una leggenda popolare, Ivan il Terribile, in visita a Pskov, si era innamorato della nobildonna Vera Sheloga e dalla loro relazione era nata una bambina, Olga. Nel giardino del palazzo del principe Ijurij Tokmakov, lo sposo della sorella di Vera, che ha cresciuto Olga come propria figlia, all’insaputa di orecchi indiscreti ma anche della stessa Olga.
La fanciulla è ora promessa in matrimonio all’anziano Matuta, ma ella ama Tucha, un giovane che sarà poi il protagonista della rivolta cittadina contro lo zar Ivan. In seguito, per puro caso, Olga apprende la verità sulle circostanze della propria nascita, ma rimane all’oscuro circa l’identità di suo padre. Intanto si susseguono le imprese militari dello zar, che avanza sottomettendo le città russe al proprio rigido dominio; quando anche la vicina città di Novgorod cade sconfitta, a Pskov si riunisce un’assemblea cittadina per decidere se sottomettersi pacificamente o tentare una resistenza armata: mentre i più anziani, fra cui Tokmakov, opterebbero per la prima soluzione, Tucha organizza i giovani di Pskov a una probabile lotta per difendere l’indipendenza della città.
Quando Ivan entra a Pskov, viene accolto in casa di Tokmakov, dove riconosce Olga; sorprendendo tutti i presenti, cambia idea e decide di non infierire sulla città. Frattanto Ivan promette a Olga di portarla con sé a Mosca ma, proprio in quel momento, la banda di Tucha attacca l’esercito (non essendo stata avvisata delle mutate intenzioni dello zar); le forze militari rispondono al fuoco e, presente allo scontro, Olga viene mortalmente ferita, e l’esercito di Ivan il Terribile conquista anche la città di Pskov.

Ivan il Terribile, il despota, qui è anche Ivan il padre, e così diventa improvvisamente buono per amore della figlia, salvo poi tornare più tremendo di prima quando la figlia ritrovata viene uccisa sotto i suoi occhi. La critica collega spesso La fanciulla di Pskov al Boris Godunov di Musorgskij, notando varie affinità, fra cui, appunto, l’approfondimento psicologico delle figure dei due zar, anche se Boris risulta un personaggio più inquieto e fosco rispetto a Ivan. La somiglianza tra le due opere non riguarda solo la scelta dell’argomento, ma anche una scrittura musicale innovatrice, che rimane comunque la principale manifestazione dell’identità del Gruppo dei Cinque, cui appartenevano sia Rimski che Musorgskij, i quali composero questi lavori teatrali contemporaneamente, nello stesso appartamento in cui convivevano all’epoca.
In ogni caso, al di là di paragoni più o meno accettabili, le due opere sono in qualche modo ‘gemelle’, e comunque entrambe esprimono al meglio gli ideali di realismo drammatico propri del circolo di Balakirev. In particolare, nella Fanciulla di Pskov , la scena dell’assemblea del Consiglio cittadino è resa mirabilmente: il caos della folla viene evidenziato musicalmente dalla sovrapposizione simultanea di cinque gruppi di coristi, che intonano melodie diverse su testi diversi, in crescendo, sino a un fortissimo urlato, mentre si alternano gli oratori sul podio esprimendosi in stile recitativo.
Poi il capo della fazione di giovani ribelli incita i suoi con una canzone che Rimsky-Korsakof aveva preso dall’antologia di melodie popolari compilata da Balakirev, facendola eseguire secondo la tecnica responsoriale, come da antica prassi; contemporaneamente si elevano le voci di dissenso degli anziani, in stile recitativo, diffusi mormorii del resto del coro mentre la campana della piazza continua imperterrita a suonare.
Questa scena rappresenta un vertice del realismo operistico russo; sicuramente la si può annoverare fra le più grandi scene di massa della storia dell’opera, superando per intensità drammatica persino la scena dell’Incoronazione nel Boris di Musorgskij. Conoscendo il percorso formativo e creativo di Rimskij-Korsakov, che partì da autodidatta anticonformista e terminò come insegnante di Conservatorio, con continui quando non eccessivi scrupoli riguardo all’osservanza non abbastanza rigida di norme compositive tradizionali e accademiche, non stupisce la serie di successive modifiche apportate all’opera, sino alla revisione finale (1901) che tornava sostanzialmente alla prima versione, quella datata 1873 (in un impeto di ben riposta autostima, dopo anni di dubbi e ripensamenti), ritoccata in qualche particolare e fatta precedere da un prologo incentrato sull’antefatto della vicenda (che l’autore intitolò Boijarïnija Vera Sheloga , con l’intenzione di dargli un’eventuale vita autonoma).
Capita molto spesso che un autodidatta, anche quando ha raggiunto le medesime conoscenze di altri studenti che abbiano frequentato regolari corsi accademici, si senta sempre in dovere di dimostrare di esserne in possesso, senza farsi mai cogliere in fallo; questo problema fu grandemente sentito da Rimski, ma per nostra fortuna fu ancor più grande il suo genio, dal quale nacquero autentiche gemme di originalità quale la Fanciulla di Pskov.

La Favola dello zar SaltanLa Favola dello zar Saltan

libretto di Vladimir Belskij, dal racconto di Alexandr Puskin

[Skazka o tsare Saltane] Opera in un prologo e quattro attiPrima:
Mosca, Teatro Solodovnikov, 21 ottobre 1900 Personaggi:
lo zar Saltan (B); la zarina Militrissa, sorella minore (S); Tkachikha [la tessitrice], sorella mediana (Ms); Povarikha [la cuoca], sorella maggiore (S); Babarikha, vecchia mezzana (A); il principe Guidon (T/m); la principessa-cigno (S); l’anziano nonno (T); il messaggero (Bar); Jester (B); tre capitani di marina (T, Bar, B); stregoni e spiriti, boiari e loro mogli, cortigiani, balie, sentinelle, soldati, marinai, astrologi, lacchè, cantanti, scrivani, servi e ancelle, danzatori e danzatrici, folla
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Nel 1899 Rimskij-Korsakov scelse di musicare un testo di Pushkin per offrire il proprio contributo ai festeggiamenti per il centenario della nascita dello scrittore. Orientò la scelta sulla Favola dello zar Saltan , spinto da un irrefrenabile desiderio di tornare a scrivere di personaggi irreali e fantastici, basandosi su di un testo che gli consentì di comporre seguendo liberamente il proprio estro, accantonando momentaneamente l’ideale di realismo drammatico (che stava diventando un imperativo dei registi teatrali: si pensi a Stanislavskij e Dancenko, che proprio in quegli anni avevano fondato il Teatro d’Arte a Mosca).
La messinscena di una trama fiabesca tende innanzitutto a trasmettere allo spettatore l’idea del magico, dell’evanescente, della storia senza confini di spazio e di tempo, lasciando in secondo piano la ricerca del verosimile, del realistico; perciò Rimski-Korsakoff poté sfruttare appieno le sue doti di colorista attraverso un particolare impiego dei timbri strumentali e un efficace utilizzo di effetti orchestrali (l’orchestra comprende numerosi archi e ottoni, oltre ai legni a tre, uno xilofono, un glockenspiel, una celesta e altri strumenti a percussione di vario tipo), mentre talvolta, in passato, la scelta di soggetti realistici aveva oggettivamente limitato le possibilità espressive del compositore.
La trama della Favola dello zar Saltan vede tre sorelle (due cattive e una buona) intente a fantasticare di potere un giorno sposare lo zar Saltan. Questi, guarda caso, le sta spiando e si innamora di Militrissa, la più giovane e buona di animo, che gli promette di dargli un figlio valoroso. Il figlio nasce mentre lo zar è lontano, in guerra; ma il messo inviato allo zar con la lieta novella rimane vittima di un complotto, ordito dalle sorelle maggiori – invidiose di Militrissa – e dalla vecchia Babarikha; il messaggio viene sostituito con uno falso, recante la notizia che il figlio di Militrissa non è un bel bambino, bensì un mostro.
Lo zar, ricevuto il messaggio, ordina di imprigionare la zarina e il principino in una botte e di gettarli in mare. La botte, trasportata dalle onde, naufraga sull’isola deserta di Buijan, dove Militrissa cresce il piccolo Guidon. Un giorno Guidon (che ormai è diventato adolescente) va a caccia e uccide un falco predatore che stava inseguendo un cigno. In realtà, il falco era un mago cattivo che teneva celata sotto incantesimo la magnifica città di Ledenets: l’isola ora non è più deserta, ma – sciolto l’incantesimo – si è ripopolata dei suoi ricchi e operosi abitanti.
Il cigno ringrazia Guidon per avergli salvato la vita, e promette di aiutarlo nel momento del bisogno; anche gli isolani lo ringraziano e lo incoronano re di Ledenets. Quando Guidon apprende che una nave, in partenza dall’isola, è diretta verso la patria dello zar Saltan, si sente pieno di nostalgia e di curiosità e, desideroso di salire su quella nave, chiede aiuto all’amico cigno, che lo trasforma in un calabrone, dandogli così la possibilità di salire a bordo senza essere riconosciuto. Giunti a destinazione, i membri dell’equipaggio e i mercanti a bordo della nave vengono invitati a pranzo dallo zar Saltan che, incuriosito dai sorprendenti racconti sulle meraviglie della città di Ledenets, decide di visitarla.
Guidon, tornato sulla sua isola, viene assalito ancora una volta dalla malinconia, ma questa volta la causa è la mancanza di una sposa; chiede aiuto al cigno (che, in realtà, è una bellissima principessa, nelle spoglie di un cigno a causa di un malefico incantesimo) e, in quel momento, esso si trasforma nella principessa. I due si innamorano, giurandosi eterno amore. Arriva dunque in visita lo zar Saltan, per il quale la maggior meraviglia di Ledenets è la vista della sua sposa, Militrissa, e di suo figlio Guidon, valoroso sovrano dell’isola.
Giunge quindi il lieto fine per tutti – anche per i cattivi, che vengono perdonati. La Favola dello zar Saltan
Anche se, ovviamente, la trama del racconto di Puskin è completamente inventata, egli volle darle l’impronta di un autentico, antico racconto popolare in versi, come quelli narrati dai cantastorie. In questo caso il cantastorie fu Rimsky: egli introdusse ogni atto con una fanfara di fiati, così come i cantastorie russi scandivano la priskazka (la narrazione dell’antefatto del racconto) per attirare l’attenzione dei passanti. Durante l’opera il tema della fanfara (di otto battute) è solamente enunciato; l’ultima volta viene invece sviluppato, così come la trama dell’opera è stata sviluppata e sta per giungere alla sua conclusione (quarto atto, introduzione orchestrale all’ultima scena).
Mentre nelle opere di soggetto storico Rimskij-Korsakov non si lasciò tentare più di tanto dalla citazione di musiche popolari russe, nelle opere dalla trama mitologica o fantastica (per esempio La fanciulla di neve , oltre alla stessa Favola dello zar Saltan ) introdusse varie e autentiche canzoni popolari: per citare almeno un esempio, nel duetto delle sorelle di Militrissa confluiscono più canzoni popolari, fra cui tre sono tratte proprio dall’antologia curata nel 1877 dallo stesso Rimski.
Oltre alle melodie popolari, anche le armonie e i ritmi lasciano trasparire origini slave; la tessitura armonica ricorda in alcuni tratti l’antica polifonia russa, con frequenti cadenze plagali, e i diversi tempi asimmetrici si alternano a quelli più familiari: il coro del popolo in 5/8 nel primo atto, quello degli isolani in 5/2 – la cui melodia è tratta da un canto della liturgia ortodossa, nel secondo atto – e quello delle fanciulle in 7/4 nel quarto atto, oltre ad alcune melodie propriamente poliritmiche. Benché le parti vocali siano di un raro fascino, oltre che di ardua difficoltà tecnica (come il duetto amoroso di Guidon e della principessa-cigno, in cui entrambi i cantanti raggiungono il do acuto), sono state le parti strumentali a colpire maggiormente l’attenzione del pubblico, passando alla storia come un vero e proprio capolavoro di illustrazione musicale: dalla magia delle note che accompagnano l’apparizione della principessa-cigno mentre esce dalle acque del mare, illuminata dalla luce lunare nel secondo atto, al celeberrimo ‘Volo del calabrone’ (III,1), alla suite orchestrale che riprende queste e altre pagine dell’opera.
Comunque, sia nella sezione strumentale sia in quella vocale si ritrova la grande fantasia di Rimsky-Korsakov, che riunì in un’opera ninne-nanne, canzoni popolari, filastrocche e quant’altro di variopinto folklore appartenesse alla storia russa; più tardi Stravinskij, scrivendo Petruska , si ricorderà della Favola dello zar Saltan , forse l’opera più vivacemente ‘colorata’ del suo maestro. La favola è a tutt’oggi in repertorio anche in Occidente: nel 1988, prodotta dal Teatro alla Scala di Milano, è andata in scena con la regia di Luca Ronconi.



La Fidanzata dello zar Rimski-Korsakov La Fidanzata dello zar


libretto di Il’ija Tijumenev, dal dramma di Lev Meij

[Tsarskaija nevesta] Opera in quattro attiPrima:
Mosca, Teatro Solodovnikov, 22 ottobre 1899 Personaggi:
Vasilij Sobakin, mercante di Novgorod (B); Marfa, sua figlia (S); Grigorij Grijaznoij (Bar) e Grigorij Malijuta-Skuratov (B), cavalieri al servizio dello zar; Ivan Lïkov, nobiluomo (T); Lijubasha (Ms); Elisa Bomelius, alchimista dello zar (T); Domna Saburova, moglie di un mercante (S); Dunijasha, sua figlia, amica di Marfa (A); Petrovna, governante di Sobakin (Ms); un dispensiere reale (B); una fanciulla (Ms); un giovane stalliere (T); Ivan il Terribile, sotto le spoglie di un nobile in incognito (m); cavalieri, cantanti e danzatori, nobili, fanciulle, servi, folla
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Rimski-Korsakov non era certamente compositore gradito al Teatro Imperiale dove, anzi, l’eventualità di produrre una sua opera non veniva più nemmeno presa in considerazione; mentre Cajkovskij, agli occhi dei funzionari del Teatro Imperiale, era il compositore nazionale che aveva elevato la cultura russa, resa in un linguaggio musicale internazionale. Rimsky, invece, partito dall’esempio di Glinka e formando le proprie idee nel circolo di Balakirev, non poteva essere un compositore ‘ufficiale’.
Tuttavia La fidanzata dello zar sembra avvicinarsi al tipo di opere rappresentate al Teatro Imperiale, piuttosto che a quelle di Musorgskij o di Glinka; forse ciò è dovuto alla sua stesura in un periodo di ‘crisi d’identità’ del compositore: lungo l’arco dell’intera sua vita, Rimskij-Korsakov fu tormentato dal dubbio di non riuscire a comporre con originalità senza sacrificare la correttezza formale. In un’epoca in cui la ricerca stilistica stava diventando l’ossessione della nuova generazione di compositori, il cinquantacinquenne Rimski ritornò – ancora una volta controcorrente – a uno stile ormai storicizzato come quello romantico, scegliendo di mettere in risalto la propria maestria compositiva in un’opera nella quale quintetti, sestetti e altri vari momenti d’insieme si susseguono incessantemente, per non parlare del virtuosismo delle parti vocali (specialmente quella del personaggio di Marfa).
Una certa critica occidentale, sempre pronta a inquadrare la produzione di un compositore in un dato genere o stile, di fronte alla Fidanzata dello zar è rimasta piuttosto perplessa, non riuscendo a definirla come opera tipicamente ‘russa’, né come totalmente romantica; invece, in patria fu ed è a tutt’oggi celebrata dai critici come la migliore di Rimsky-Korsakoff, poiché la si ritiene rappresentativa della cultura nazionale, soprattutto grazie al testo di Meij, un dramma pseudostorico che esaltava le tradizioni russe ai tempi di Ivan il Terribile e che ben si prestava a essere musicato.
Nel dramma di Meij, la fidanzata dello zar è Marfa, che in realtà è fidanzata con Lïkov, ma che sarà poi prescelta da Ivan il Terribile come futura zarina della Russia. Marfa è una bellissima fanciulla, e anche un terzo uomo la desidera ardentemente: si tratta di Grijaznoij, che convive con Lijubasha, ma senza più amarla. Marfa aveva in precedenza respinto la proposta di matrimonio di Grijaznoij, e così questi decide di rivolgersi al diabolico alchimista Bomelius, dal quale si fa preparare una pozione d’amore da far bere a Marfa.
Allora anche Lijubasha, accecata dalla gelosia, va da Bomelius per farsi dare una pozione da far bere a Marfa: una pozione che cancelli ogni tratto della sua bellezza. Bomelius, con fare lubrico, minaccia Lijubasha di riferire la sua richiesta a Grijaznoij, e deciderà di non farlo solo dopo che la donna avrà accettato – benché disgustata – di pagarlo in natura. Intanto Likov è tornato da una lunga campagna in Occidente, e vorrebbe sposare Marfa, ma giunge la notizia che proprio lei è stata scelta dallo zar come sua futura moglie; Marfa, obbedendo a malincuore al volere dello zar Ivan, si trasferisce alla corte imperiale, manifestando però i sintomi di uno sconosciuto malessere: è l’effetto della pozione magica. Grijaznoij è convinto che la malattia di Marfa sia dovuta alla pozione – evidentemente sbagliata – preparata da Bomelius; per allontanare da sé ogni sospetto, racconta allo zar che è stato Likov ad avvelenare Marfa.
Lïkov, torturato a morte, è costretto a confessare e viene giustiziato dallo stesso Grijaznoij. Marfa, appresa la notizia, sviene; quindi, incomincia a manifestare i segni della follia che la ha colpita, vinta dal dolore. Grijaznoij, di fronte alla delirante Marfa, non riesce a trattenersi dal confessare le sue malefatte; ma – colpo di scena – entra Lijubasha, ammettendo di aver sostituito la prima pozione di Bomelius con la seconda, e di essere quindi la vera colpevole. Grijaznoij, sorpreso e furente, si scaglia contro di lei, uccidendola; verrà anch’egli condannato a morte.
La trama è quella di un dramma a tinte fosche, connotato da momenti tragici che Rimskij sottolineò con frequenti progressioni sugli intervalli di terza maggiore e minore, già sistematicamente impiegate in altre sue opere per caratterizzare personaggi irreali e fantastici. La mano di Rimski-Korsakoff è riconoscibile anche dall’utilizzo di Leitmotive – altro elemento che distingue la sua produzione – come quello che annuncia le entrate in scena di Lijubasha, o quello di Ivan il Terribile, che in quest’opera compare – silente – solo una volta, e viene riconosciuto proprio grazie al suo tema musicale, lo stesso che lo aveva caratterizzato da protagonista nella Fanciulla di Pskov .
Ma al di là dell’analisi delle singole tecniche compositive impiegate dal compositore, ciò che colpisce innanzitutto è l’atmosfera romantica della Fidanzata dello zar , che si percepisce già nell’ouverture (che avrà in seguito vita autonoma); la ricchezza di temi turbolenti e passionali, ma anche seri e solenni, caratterizza l’opera di un compositore che volle accostarsi all’estetica romantica senza per questo dimenticare la tradizione culturale russa, né sopprimere la propria particolare originalità, superiore a ogni tentativo di schematizzazione stilistica.


La Leggenda dell’invisibile città di Kitež e della vergine FevronijaLa Leggenda dell’invisibile città di Kitež e della vergine Fevronija

libretto di Vladimir Bel’skij, da antiche leggende e cronache russe

[Skazanie o nevidimom grade Kiteze i deve Fevroni] Opera in quattro atti e sei quadriPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 7 febbraio 1907 Personaggi:
il principe Jurij Vsevolodovic (B); il principe Vsevolod, suo figlio (T); Fevronija (S); Griška Kuter’ma (T); Fedor Pojarok (Bar); il paggio del principe Jurij (Ms); due nobili (T, B); un suonatore di gusli (B); un domatore di orsi (T); un cantore mendicante (Bar); Bedjaj (B) e Burundaj (B), guerrieri mongoli; Sirin (S) e Alkonost (Ms), uccelli profetici; guardie del principe, nobili, guerrieri, cavalieri, mendicanti, folla, tartari
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L’idea di un’opera dedicata alla leggenda della città di Kitez, sommersa dalle acque del lago Svetlyj Jar e così salvata dal dominio tartaro, aveva attirato Rimskij-Korsakov fin dalla metà degli anni Novanta, ma riuscì a realizzarla solo nel 1903 grazie alla preziosa collaborazione con il librettista Vladimir Bel’skij, grande conoscitore dell’antica letteratura russa, che attinse materiale principalmente dalla Povest’ dedicata a Fevronija di Muromsk, in cui convivono tracce di mitologia slava precristiana (gli uccelli profetici Sirin e Alkonost), elementi della fede ortodossa di acquisizione (988 d.C.) relativamente recente (il miracoloso affondamento della città e lo spontaneo suono delle campane delle chiese), episodi di storia nazionale con chiara intonazione patriottica (l’eroica resistenza della popolazione contro l’invasione tartara iniziata nel 1223 e di cui questo è uno dei primi episodi). Altro materiale viene raccolto dalle byline (canti epici) relative all’invasione, soprattutto per quanto riguarda il personaggio del traditore Griska Kuterma, da canti storici e popolari diffusissimi soprattutto all’inizio del cosiddetto ‘periodo moscovita’ (metà del XV secolo) della letteratura russa.
Fevronija, la protagonista, certamente raccoglie le tre componenti: in lei risuona il tema panteistico della natura come Chiesa universale, dove tutto vive e tutto celebra l’esistenza di Dio, il tema ortodosso dell’accettazione della volontà divina anche nelle avversità e quello patriottico della fedeltà alla propria città e al proprio popolo. Simbolo del coraggio e della fermezza femminile, Fevronija divenne subito un’eroina nazionale: per questo l’opera rimase in repertorio, quasi senza alterazioni (caso molto raro, nonstante i continui riferimenti religiosi) anche in periodo sovietico.

Atto primo .
Dopo un preludio dal titolo ‘Elogio della vita selvaggia’, la scena si apre in una foresta dove Fevronija vive immersa nella natura, in totale comunione con animali e piante, insieme al fratello. Perdutosi durante una partita di caccia, compare uno straniero, che subito si innamora della fanciulla, vuole sposarla. Richiamato dai corni dei cacciatori, si allontana promettendo di tornare per convolare a nozze con Fevronija. Il cacciatore Fiodor Pojarok rivela alla fanciulla che lo sconosciuto è Vsevolod, figlio del principe di Kitez.

Atto secondo .
Una folla festosa aspetta il corteo nuziale di Fevronija, diretto verso la città di Kitež: c’è persino un orso ammaestrato e un vecchio suonatore di gusli che però prevede sciagure. Alcuni nobili, scontenti della scelta matrimoniale del principe, convincono l’ubriacone Griska Kuterma a deridere pubblicamente la sposa. Arriva il corteo ma nello stesso istante irrompono i tartari, catturano Fevronija come ostaggio e Griska Kuterma come possibile informatore: il loro obiettivo è la città. Fevronija prega perché i tartari non riescano a raggiungere la città. La Leggenda dell’invisibile città di Kitež e della vergine Fevronija

Atto terzo .
Scena prima . Nella piazza della città il popolo è riunito. Pojarok, accecato dai tartari, narra dei loro saccheggi. Il principe Jurij, dopo aver pregato con il suo popolo, prepara un esercito guidato dal figlio per affrontare il nemico. Mentre l’esercito si allontana, una nebbia dorata scende sulla città accompagnata dal suono delle campane. La sanguinosa battaglia, descritta nell’intermezzo, alterna canti guerreschi a motivi musicali tartari. Scena seconda . Griska Kuterma ha deciso di tradire e conduce i tartari sulla riva del lago da cui dovrebbe essere visibile la città di Kitez: ma non c’è che una nebbia dorata. I tartari, furiosi, lo legano e lo minacciano di torture. Arrivata la notte, si spartiscono il bottino della battaglia dove avevano sgominato l’esercito e ucciso il giovane principe: due guerrieri, Burundaj e Bedjaj, si scontrano per il possesso di Fevronija e Bedjaj rimane ucciso. Poi si addormentano: Griska, pieno di rimorsi, chiede a Fevronija di liberarlo e vorrebbe gettarsi nel lago ma vede sul lago il riflesso della città: terrorizzato fugge con Fevronija. Le loro grida svegliano i tartari che, alla vista dei riflessi si disperdono spaventati.

Atto quarto .
Scena prima . Griska e Fevronija vagano per la foresta. Griska, sempre più disperato, impazzisce. Fevronija, rimasta sola, s’addormenta. La foresta si trasforma: magici lumi, fantastici fiori, sublimi canti d’uccelli. Alkonost, uccello profetico, annuncia a Fevronija che dovrà morire; il fantasma di Vsevolod appare per condurla alla città di Kitez, mentre Sirin, altro uccello profetico, annuncia alla fanciulla vita eterna. Nell’intermezzo Fevronija abbandona il corpo e si dirige verso la città invisibile. Scena seconda . Fevronija è accolta nella città dal principe Jurij: riprende la cerimonia iniziale interrotta nel secondo atto. Vsevolod la conduce all’altare. Fevronija chiede perdono a Griska, la cui anima però non è ancora pronta al perdono. La fanciulla si augura che presto lo raggiunga nella città invisibile.

La leggenda della città invisibile di Kitez è uno dei tentativi più complessi di interpretazione della religiosità paleo-slava, con il suo intreccio spesso inestricabile di credenze pagane e fede cristiana, fenomeno conosciuto col nome di dvoeverie . E se da un lato è certo molto evidente il ricorso a materiali e cadenze musicali nazionali (a carattere sia popolare, come il canto dei suonatori di gusli, sia colto, come il richiami a modelli musorgskiani, in particolare per i recitativi di Griska Kuterma che richiamano quelli di Griska Otrepev in Boris ), rimangono indiscutibili gli echi wagneriani, soprattutto di Parsifal (l’opera è stata addirittura definita il ‘Parsifal russo’) per i temi musicali relativi al miracolo della città scomparsa e del suo riflesso nell’acqua (che richiama il miracolo del Venerdì Santo), ma anche di Siegfried (il mormorio della foresta e il canto dell’uccello che predice il futuro). L’intermezzo sinfonico ‘Sec’ pri Kerzenec’, con la descrizione dello scontro tra russi e tartari e il coro “Pro tatarskij polon” (Sulla prigionia tartara) hanno acquistato una tale popolarità da farli diventare quasi due inni nazionali.


Mlada Nikolaij Rimskij-KorsakovMlada

libretto di Nikolaij Rimskij-Korsakov, da Mlada di Viktor Krilov

Opéra-ballet in quattro attiPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 20 ottobre 1892
Personaggi:
Mstivoij, principe di Retra (B); Voijslava, sua figlia (S); Ijaromir, principe di Arkon (T); Veglasniij, gran sacerdote di Radegast (Bar); Lumir, cantautore boemo (A); Morena, dea degli inferi/Svijatokhna, governante di Voijslava (Ms); Chernobog (coro di B); Kashcheij l’immortale (coro di T); un abitante di Novgorod (T); sua moglie (Ms); un vichingo (Bar); Tiun (B); il Moro di Khalifat (T); cinque viandanti (S, Ms, A, T, B); ombre della principessa Mlada e della regina Cleopatra, fanciulle, armigeri, seguito di Mstivoij, viandanti, pellegrini, genti slave, sacerdoti e sacerdotesse di Radegast, trombettieri, dèi slavi, folletti della foresta, licantropi, streghe, fantasmi, ombre di danzatori e schiavi al seguito di Cleopatra, ombre di antichi eroi
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Esiste una precedente opera che reca lo stesso titolo di Mlada (1872), composta sempre da Rimski-Korsakoff ma in collaborazione con altri membri del circolo di Balakirev (Kjui, Musorgskij e Borodin, su libretto di Krïlov): il soggetto è il medesimo, tant’è che Rimsky utilizzò come base il libretto di Krilov per scrivere il proprio, quello della seconda Mlada , ampliato rispetto al primo. Anche la prima Mlada era stata progettata in forma di opéra-ballet : il primo atto venne composto da Kjui, il secondo e il terzo ‘a due mani’ da Rimskij-Korsakov e Musorgskij, e il quarto da Borodin.
In realtà, Rimski scrisse anche parte delle musiche per il primo atto, che poi riorganizzò nel movimento lento del suo Quartetto per archi op. 12, oltre che nella propria Mlada , nella quale confluì, rielaborata, la gran parte del materiale musicale creato già per la Mlada del 1872. Qualche melodia venne ripresa da Rimsky-Korsakoff in altre sue opere ( La notte di maggio e La fanciulla di neve ), e non a caso in quelle – come Mlada – in cui comparivano personaggi fantastici.
Le parti dei personaggi mitologici presentano frequenti cromatismi, ricordando un certo incedere wagneriano; in effetti, molti critici hanno scritto dell’influenza che l’ascolto del Ring des Nibelungen avrebbe avuto sulla composizione di quest’opera, notando varie analogie: l’argomento mitologico delle trame, le somiglianze riguardo a un fatale anello e al finale apocalittico, l’introduzione orchestrale del terzo atto, che ricorda il preludio del Rheingold , e l’organico orchestrale (che in Mlada prevedeva fiati a tre, quattro flauti, oltre a un vasto impiego di diversi ottoni, fra cui le tsernitsï , specie di siringhe d’ottone, e poi altri strumenti esotici, utilizzati su suggerimento di Balakirev per riprodurre melodie persiane e caucasiche, come piccoli clarinetti, piccoli timpani e lire).
Ma anche da quest’opera, pur definita ‘wagneriana’, emergono riferimenti a un altro compositore che fu spesso il vero modello di Rimskij: il Glinka di Ruslan e Ljudmila , con le sue citazioni di musiche popolari russe, ma anche orientali e nordiche, i ritratti di personaggi immaginari e totalmente irreali, le scale esatonali, tutti elementi che puntualmente ritroviamo in Mlada ; il personaggio demoniaco e multiforme di Chernobog e lo stregone Kashcheij sono realizzati con cori omofonici, riprendendo lo stesso effetto creato da Glinka per il suo gigante Testa, e già in Ruslan e Ljudmila si trovano passi cromatici, che caratterizzano i personaggi non umani. Da Glinka a Rimski-Korsakoff, da Rimsky-Korsakof a Stravinskij, ed ecco che l’allievo più famoso di Rimskij compone L’uccello di fuoco rinnovando la tradizione: il tema del Kashcheij stravinskijano è un ricordo di quello rimskijano, in un omaggio musicale al suo maestro.
Nella città di Retra, tra il IX e il X secolo. Voijslava ha ucciso Mlada, la fidanzata di Ijaromir, sperando che questi potesse ricambiare il suo amore, ma Ijaromir sente di voler rimanere fedele alla memoria dell’amata scomparsa. Voijslava chiede allora aiuto a Morena, dea degli inferi, che incanta Ijaromir facendolo innamorare di Voijslava. Mentre dorme, Ijaromir sogna la verità, ma senza esserne consapevole: vede Voijslava che avvelena Mlada con un anello. Poi si sveglia, confuso, senza sapere se credere al proprio sogno.
Durante una festa, mentre Voijslava e Ijaromir stanno ballando, tra loro si frappone l’ombra di Mlada, e Ijaromir la segue pieno d’amore, chiedendole di essere anch’egli ammesso nel regno delle ombre per poterle stare sempre vicino; Mlada gli fa capire che prima dovrà superare una prova. Improvvisamente, si sente il rombo di un tuono che dà inizio a un sabba con streghe, mostri e demoni di Chernobog, e lo stregone Kashcheij che, riproducendo l’immagine della regina Cleopatra, tenta di sedurre Ijaromir che, sempre più inquieto, cerca conforto e chiarezza nelle parole dei sacerdoti del tempio di Radegast; questi gli consigliano di aspettare fino a sera. La sera, Ijaromir vede apparire le ombre degli antichi eroi, venuti per rivelargli la verità: quella del suo primo sogno. Ijaromir sente di dover vendicare Mlada, e uccide Voijslava che, morendo, invoca Morena chiedendo di essere vendicata a sua volta: fulmini e terremoti distruggono il tempio, e la città di Retra viene inghiottita dalle acque del lago. Si scorgono le ombre di Ijaromir e Mlada felicemente riunite in cima al monte sacro.
Stranamente, l’opera ebbe al suo esordio un’accoglienza piuttosto fredda da parte del pubblico, il che portò Rimski a una revisione del terzo atto, accorciato e riorganizzato in uno ‘schizzo sinfonico’ per orchestra, e a un’eccessiva autocritica circa la trama e la sua efficacia drammatica (giudicate «inconsistenti»). La suite orchestrale derivata dall’opera dimostra però che nel 1903, a undici anni dalla stesura di Mlada , Rimsky-Korsakov credeva ancora – e a ragione – nell’assoluto valore delle sue musiche.




Mozart e Salieri
libretto di Nikolaij Rimskij-Korsakov, dalla tragedia omonima di Alexandr Puskin

Scene drammatichePrima:
Mosca, Teatro Solodovnikov, 25 novembre 1898 Personaggi:
Wolfgang Amadeus Mozart (T), Antonio Salieri (Bar)
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Mozart e Salieri è dedicata al Convitato di pietra di Dargomyzskij, ponendosi esplicitamente come tributo al compositore scomparso quasi trent’anni prima.
Rimskij-Korsalov musicò l’omonima tragedia di Puškin (solo lievemente accorciato nel libretto) facente parte della stessa raccolta di brevissime scene in versi da cui era stato tratto anche il testo per il libretto del Convitato di pietra , utilizzando lo stesso stile declamato che caratterizzava l’opera di Dargomyzskij e che fu talvolta preso a modello dal Gruppo dei Cinque.
Alcune citazioni dal Convitato di pietra rappresentano un ulteriore omaggio di Rimsky-Korsakof a Dargomyzskij mentre, com’era prevedibile, numerose citazioni mozartiane vengono integrate appositamente nell’azione; nella prima scena Mozart, bendato, suona al violino una frase presa dal Don Giovanni ; nella seconda frappone in un passaggio l’ incipit dell’aria “Voi che sapete” dalle Nozze di Figaro , oltre a numerosi frammenti tratti dal Requiem . La trama delle scene drammatiche di Mozart e Salieri consiste semplicemente nel protratto dialogo in cui Mozart mantiene la serafica calma di un genio superiore, mentre Salieri si agita sempre di più, rivelando gradatamente il profondo odio che nutre per Mozart, sino al finale in cui osa realizzare il suo macabro sogno: eliminerà il suo rivale, avvelenandolo mortalmente.
Oggi sappiamo che la tesi dell’assassinio di Mozart a opera di Salieri è infondata, ma Puškin volle credervi, fors’anche identificandosi col genio artistico di Mozart. L’opera è costituita da due sole scene divise da un intermezzo (una Fughetta) in stile contrappuntistico che successivamente Rimskij soppresse, nel dubbio (ingiustificato) che potesse apparire il segno di uno sterile virtuosismo accademico mentre, dopo la morte del compositore, esso venne reinserito, come meritava. Del resto, l’intera opera mantiene uno stile volutamente classicheggiante: non mancano contrappunti tripli ed elaborate imitazioni tematiche; si può dire che ci si trovi di fronte a un’ininterrotta, continua citazione stilistica e tematica, sino alla riproduzione di un’improvvisazione di Mozart alla tastiera (che, nella première , Sergej Rachmaninov eseguì personalmente al pianoforte dietro le quinte).
Anche l’orchestra presenta un organico classico, con pochi fiati e timpani ad libitum . Questa breve e gustosa opera va intesa come un’ironica parodia, che però poi subisce una svolta, tendendo verso toni più cupi: dalla parafrasi iniziale dell’inno inglese “God save the Queen”, la cui melodia viene successivamente ripresa da Salieri, allo scherzo di Mozart, che suona il violino steccando volutamente diverse note, si passa a un’atmosfera più seria e coinvolgente che culmina con la tragedia finale.


Notte di maggio Rimski-KorsakoffNotte di maggio

libretto di Nikolaij Rimski-Korsakoff, dal racconto di Nikolaij Gogol’ Le veglie alla fattoria

[Maijskaija noch’] Opera comica in tre attiPrima:
Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 9 [21] gennaio 1880

Personaggi:
il sindaco (B); Levko, suo figlio (T); Hanna (Ms); il carbonaio (Bar); lo sceriffo (B); il distillatore (T); la cognata del sindaco (A); la rusalka Pannocka, giovane signora delle ninfe d’acqua (S); la chioccia; il corvo; la matrigna (Ms); giovani, fanciulle, uomini dello sceriffo, ninfe d’acqua
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Rimsky-Korsakoff compose Notte di maggio negli anni 1877-79, spinto dalla moglie che lo incoraggiò a scrivere una nuova opera dopo il felice esordio della Fanciulla di Pskov (1873). Infatti si deve proprio alla moglie la scelta di un soggetto così singolare come quello del racconto di Gogol’, la cui trama risale a un’antica leggenda popolare germanica già trattata in forma operistica da Kauer nel suo Singspiel ? Das Donauweibchen nei primi anni dell’Ottocento, e successivamente da altri compositori russi che ne erano a conoscenza, sino alla Rusalka di Dargomyzskij del 1856, su testo di Puskin, altro scrittore russo che si avvicinò al tema; Gogol’ scrisse il suo racconto negli anni Trenta dell’Ottocento, ambientandolo nella natìa Ucraina, in un’atmosfera di bucolica e primaverile purezza che si riscontra già nell’ouverture dell’opera.
Nel testo, in un’inevitabile riferimento ai precedenti esempi operistici, è mantenuta la presenza di vari canti, danze ed esecuzioni strumentali, che vennero fedelmente riportati nel libretto e musicati da Rimskij, il quale utilizzò ben otto autentiche canzoni popolari ucraine, tratte dalla propria antologia e da quella compilata dal collega di Conservatorio Alexander Rubets; fra queste, particolarmente curiosa e divertente è la danza dell’ hopak , cantata dal personaggio del carbonaio nel primo atto, mentre altre canzoni (come, per esempio, il canto delle rusalke nel terzo atto) sono dei khorovod , in forma di rondò.
Un altro caratteristico elemento ucraino è l’utilizzo della bandura, antico strumento a corde di origine orientale, che il personaggio di Levko suona in scena (mentre in realtà il timbro è ottenuto sovrapponendo i timbri di un’arpa e di un pianoforte in orchestra). Molte sono le occasioni in cui Levko la suona, e nell’azione stessa sono previste diverse esecuzioni musicali: già ad apertura di sipario, infatti, Levko entra in scena intonando una canzone ucraina, accompagnandosi con la sua bandura (“A mï proso seijali”: ‘Ah, il grano che vedemmo’), rivolto alla finestra della casa di Hanna, la sua fidanzata. La situazione comica sta nel fatto che l’anziano sindaco del paese, padre di Levko, si è invaghito della stessa Hanna e azzarda dei ridicoli approcci amorosi, che vengono puntualmente respinti dalla fanciulla. Levko scopre le mire del padre e tenta di svergognarlo pubblicamente, intonando una canzone in cui racconta dei suoi folli vagheggiamenti senili. Raduna un gruppo di amici e, in incognito, canta con loro per le strade del paese inveendo contro il sindaco; arrivato sotto le finestre di casa sua, lancia un sasso all’interno, rompendo un vetro.
Il sindaco è allarmato; ascolta le parole della canzone incriminata e si mette all’inseguimento dei ‘ribelli’, coaduivato dallo sceriffo e dal distillatore – suo ospite – ma invano. Cala la notte, e Levko si rifugia su una solitaria banchina lungo le rive del lago, dove inizia a cantare accompagnandosi con l’inseparabile bandura. Il suo canto attira le rusalke (le ninfe d’acqua, spiriti delle fanciulle annegate nel lago); Pannocka, la giovane signora delle rusalke, gli si avvicina, raccontandogli la propria triste storia, che peraltro Levko già conosceva, avendone sentito parlare in paese: il padre di Pannocka, vedovo, si era risposato con una strega che lo aveva ammaliato, portandolo addirittura a scacciare di casa la figlioletta che, per la disperazione, si era gettata nelle acque del lago, annegando; qualche tempo dopo, si era vendicata trascinando nel lago la sua matrigna, che era così diventata anch’ella una ninfa d’acqua, mimetizzandosi con tutte le altre.
Pannocka chiede a Levko di riconoscere, se può, la sua matrigna; Levko, grazie a uno stratagemma, la scopre e, per ricambiare il favore, Pannocka gli dà un messaggio da consegnare a suo padre come lasciapassare: è uno scritto del commissario locale che ordina al sindaco di celebrare immediatamente il matrimonio di suo figlio con Hanna. L’opera termina con i festeggiamenti del paese per le nozze dei due giovani.
Nel libretto vi sono diverse situazioni buffe, quasi da vaudeville , e ogni personaggio – il sindaco, sua cognata, il carbonaio, il distillatore – contribuisce alla vis comica dell’opera, benché Notte di maggio sia anche la notte delle inquiete rusalke, dipinta nel terzo atto in toni languidi, foschi e magici che raggiungono la stessa intensità di altre pagine rimskiane, come quelle che descrivono l’emergere dalle acque della principessa-cigno nella Favola dello zar Saltan .
Dall’orchestrazione dell’intera opera affiora lo spirito di Glinka, preso non solo come modello musicale, ma soprattutto come esempio di libertà di scrittura musicale: nello scegliere l’impiego di molti ottoni in orchestra, di accompagnare i personaggi con ‘timbri conduttori’ (il violino di Hanna, ad esempio, che diventa stridulo nel suo staccato quando Hanna è arrabbiata) o veri e propri Leitmotive (la cadenza sui gradi principali della scala, una breve fanfara di ottoni che annuncia le entrate in scena di Levko), oppure nel lasciar emergere l’oboe solo, che introduce e mette in evidenza l’ambientazione rurale della vicenda, e ancora nell’impiego di scale peculiarmente ‘russe’ e rimskiane, variamente alternanti toni e semitoni (con la prevalenza degli intervalli di tono), per sottolineare l’apparizione soprannaturale delle rusalke.

Sadko Nikolaij Rimski-KorsakoffSadko

libretto di Nikolaij Rimski-Korsakoff, di Vladimir Stasov, Nikolaij Findeijzen e Vladimir Belskij, dal racconto Sadko, il ricco mercante

Opera epica in sette scenePrima:
Mosca, Teatro Solodovnikov, 26 dicembre 1897 [7 gennaio 1898] Personaggi:
Sadko, menestrello di Novgorod (T); Volkhova, bellissima principessa, figlia prediletta del re del mare (S); Okean-More, re del mare (B); Lijubava Buslaijevna, giovane moglie di Sadko (Ms); Nezhata, giovane menestrello di Kiev (A); il vichingo (B); l’indiano (T); il veneziano (Bar); Duda (B); Sopel’ (T); due cantastorie di Novgorod (Ms); due maghi (T); l’antico guerriero, travestito da mendicante (Bar); Foma Nazar’ich, comandante maggiore di Novgorod (T); Luka Zinov’ich, cittadino di Novgorod (B); la zarina Vodijanitsa, sirena, regina del mare (m); cittadini di Novgorod, mercanti stranieri, marinai, menestrelli, mendicanti ciechi, sirene, bellissime fanciulle, cigni bianchi, meraviglie del mare. Balletto: le dodici figlie della regina del mare, le spose di tutti i mari e loro piccoli nipoti, i ruscelletti, il pesce dalle scaglie argentee e dai riflessi dorati, meraviglie del mare
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Già nel 1867, trent’anni prima della première dell’opera, Rimsky-Korsakof aveva composto il poema sinfonico Sadko , avvicinandosi allo spirito leggendario dell’antica chanson de geste russa, la bïlina . Nel 1895 iniziò la stesura dell’opera, su suggerimento del critico musicale Nikolaij Findeijzen, che ne aveva ideato la sceneggiatura. Rimskij trasse diversi spunti musicali dal poema sinfonico, fra cui le frasi iniziali, che confluirono nell’introduzione orchestrale dell’opera – dal ritmo veloce e vorticoso, soprattutto laddove descrive i flutti impetuosi e la discesa verso gli abissi marini – e vennero poi riprese nella quinta scena (che illustra appunto la discesa di Sadko in fondo al mare) e in quella conclusiva.
La descrizione è resa musicalmente attraverso l’impiego di particolari scale ‘artificiali’, costruite da Rimski-Korsakoff con una successione discendente di toni interi, talvolta intercalati da intervalli di semitono, già utilizzate in altre sue opere, ma qui all’apice dell’espressione. Molti passi dei recitativi di Sadko sono parafrasi delle canzoni Vrazh’ija sila di Alexander Serov, così come dall’opera Rogneda , di Serov è tratta la melodia della canzone del vichingo, mentre la canzone indiana proviene dall’opera Ijudif’ , sempre dello stesso autore. Sadko è stata definita anche ‘leggenda lirica’, proprio perché vuole accostarsi alla chanson de geste anche nella forma, strutturata volutamente in più scene; una divisione in atti avrebbe consentito un maggior realismo drammatico ma – come commenta lo stesso Rimsky nella prefazione all’opera – era più importante, in questo caso, mantenere, per quanto possibile, una stretta aderenza filologica.
Così, il ‘tono di lezione’ tenuto da Sadko e le melodie affidate al suo personaggio sono propriamente nello stile dell’antica bïlina . Per recuperare la giusta cadenza, Rimskij-Korsakov si servì degli studi compiuti dall’etnografo Pavel Ribnikov su Leontij Bogdanov, un anziano contadino di Seredka (Carelia), che dai suoi avi aveva preso e perpetuato la tradizione orale della bïlina di Sadko. In realtà, dalla prefazione di Rimski sappiamo che le fonti erano numerose: oltre a Sadko, il ricco mercante (quella recuperata da Ribnikov) abbiamo altre bïline simili sulla vita di Sadko, raccolte da altri studiosi (Rimsky-Korsakov cita il nome di Kircha Danilov), e ancora Il re del mare e Vassilissa la saggia (dalla raccolta di racconti popolari russi collezionata da Afanassiev), e Il libro sibillino, La leggenda del mercante Terenti , e altre ancora. Nella prefazione all’opera, inoltre, Rimskij giustificò l’anacronismo della presenza di mercanti vichinghi, indiani e veneziani a Novgorod in epoca medioevale elevando l’anacronismo a carattere peculiare di cui abbondano le stesse antiche bïline . La figura di Sadko è invece storica, e divenne presto leggendaria, in seguito alle sue fortunate imprese.
Sadko è un menestrello insoddisfatto del proprio stato economico, che sogna di possedere tanto oro da poter far parte dei grandi armatori di Novgorod. Passeggiando lungo le rive del lago Ilmen, un giorno si trova improvvisamente di fronte a un evento soprannaturale: vede le figlie del re del mare emergere dalle acque, e fra loro Volkhova, la principessa del mare, che gli dice di essere destinata a sposare un mortale.
Sadko si innamora di lei, dimenticando di essere già sposato, e Volkhova gli regala un pesce dorato che gli porterà sempre fortuna, ma poi viene richiamata dal padre nel suo regno marino. Sadko decide di abbandonare la moglie per stabilirsi sulle rive del lago, dove ha inizio la serie delle sue fortunate imprese, descritte nelle bïline dell’XI e del XII secolo e, all’epoca della vicenda, dal menestrello Nezhata, collega-rivale di Sadko. Dapprima egli vince – aiutato da Volkhova – una scommessa coi ricchi mercanti di Novgorod, i quali sono costretti a cedergli tutti i loro beni, dopodiché egli parte per mari lontani. Passati dodici anni, Sadko scende negli abissi marini per pagare il tributo di ringraziamento al re del mare, il quale gli offre la mano della figlia prediletta, Volkhova. Dopo una grandiosa cerimonia nuziale, gli sposi partono per tornare sulla terraferma. Arrivano di notte e, alle prime luci dell’alba, Volkhova si trasforma in un fiume. Lijubava, la prima moglie di Sadko, lo raggiunge e i due si riconciliano, mentre l’opera termina con i festeggiamenti della popolazione per lo sbocco al mare che Volkhova ha regalato alla città di Novgorod.
Sadko venne rifiutata dal Teatro Mariinskij di Pietroburgo per ordine dello zar Nicola II (il quale riteneva probabilmente più rappresentative le opere di altri autori russi più vicini all’Impero come Cajkovskij, ad esempio) come «troppo poco allegra»; da allora, Rimski-Korsakov rappresentò le proprie opere al teatro dell’Opera russa, il Solodovnikov di Mosca, un grande teatro privato gestito da Savva Mamontov, che finanziò questo e altri capolavori rimskiani quali La favola dello zar Saltan e Il gallo d’oro .


RIMSKIJ-KORSAKOV E SAN PIETROBURGOtomba di Nikolaij Rimski-Korsakoff


Tomba

Al Cimitero Tikhvin, nel Monastero di Alexander Nevskij, si trova la tomba del compositore.


Teatro

Il teatro, presso il Conservatorio Rimsky-Korsakov, si trova sulla Teatral'naja plošcad', piazza Teatrale, di fronte al teatro Mariinskij. Qui, nel Settecento, fu eretto uno degli edifici teatrali tra i più notevoli di San Pietroburgo, il Bolshoj teatr, (il teatro grande), che alla fine dell'Ottocento, fu ricostruito al fine di ospitare il Conservatorio.


Appartamento
L’appartamento, al numero 28 del Zagorodny prospekt, è stato ricreato esattamente com’era quando vi abitava il compositore, che trascorse qui gli ultimi 15 anni della sua vita (morì nel 1908). Oltre ai mobili, il museo contiene molti suoi effetti personali e perfino le sue bacchette. La tradizione del compositore di tenere un concerto ogni mercoledì sera continua a tutt’oggi, con la differenza che all’epoca l’appartamento ospitava musicisti come Stravinskij, Glazunov, Skrjabin e Rachmaninov che eseguivano le loro opere più recenti.


BIBLIOGRAFIA


Griffiths S., A Critical study of the Music of Rimisky-Korsakov, 1844-1890, Garland Publishing, New York, 1989.
Hofmann R., Rimski Korsakov: sa vie, son oeuvre, Flammarion, Paris, 1958.

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